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«Il dovere è un freddo compagno», mormorò Ilfn, «ma è meglio che niente. Sì, io pure credo che su Deva non ci saremmo cercati l’un l’altro. Tu sei molto più giovane dell’uomo che io amavo un tempo, e più duro … E tuttavia dovremo avere dei figli duri quanto te, che sappiano sopravvivere. Io li voglio. Sei d’accordo, Akhenet?»

«Non hai bisogno di chiederlo. E non si tratta solo di dovere».

Ilfn lo guardò, improvvisamente timida. «Spero che tu non ti consideri troppo giovane per diventare padre», disse.

«Non lo sono fino a questo punto», rise Kirtn, divertito dalla sua espressione.

«E la tua Akhenet? Quanti anni ha?»

«Non è più un’adolescente, ma neppure un’adulta», borbottò lui.

Ilfn si fece indietro con un fischio d’imbarazzo. «Scusami. Non voglio interferire col tuo desiderio. Hai la mia simpatia, Akhenet … ma ti aspettano giorni duri. Lei non è del tutto adulta, però da come ne parli capisco che è bella».

«Diciamo che non penso più a lei come a un’adolescente», ammise Kirtn.

«Dimmi quanti anni ha», insisté Ilfn.

«Il doppio del tuo ragazzino».

Lei si accigliò subito. «Una Senyasi ventiduenne non dovrebbe essere pronta ad accettarti per altri dieci anni … Eppure tu pensi a lei come a un’adulta. E lei è maturata in fretta. Questo significa che si è sviluppata una situazione potenzialmente pericolosa, per la tua e per la sua vita. Non si scherza con l’energia di una Senyasi … né con la mente di un Bre’n!»

Kirtn era riluttante a dirle la verità. «Io non l’ho mai toccata come toccherei una donna, salvo che una volta, forse. Mi ero messo in mente di convincere il Loo-chim che fra noi c’era uno scambio di enzimi vitali, una scusa per impedire che ci separassero, e il gioco mi prese la mano. Poi lo stesso o quasi a lei, proprio oggi, per irritare Signore Jal. Ma non è stato nulla d’importante. Lei è quello che è … troppo giovane

Dopo una pausa Kirtn si controllò. «Torniamo a noi. Io non sono qui per volere di Signore Puca, ma a causa di sua sorella. È Signora Kurs che vuole vederti incinta, per toglierti così dall’alcova del suo gemello e riavere i suoi favori».

La donna Bre’n lo guardò a lungo, poi scosse la testa con espressione addolorata. «Tu non puoi. Almeno, non con la tua Akhenet in questa età così delicata per entrambi. Diventare il mio compagno significherebbe frustrare e nello stesso tempo aumentare il tuo desiderio per lei. Impossibile. Rischi il rez».

«Ma se non divento il tuo compagno di letto, Rheba mi sarà tolta. E tu sai cosa accadrebbe allora».

«Rez!», sussurrò lei. Si tormentò nervosamente le mani. «Dunque siamo sopravvissuti a Deva, e a ciò che è successo poi, solo per finire nel rez».

«Non lo so. Ma di noi quattro, io sono il solo che può essere sacrificato senza compromettere il futuro della nostra razza».

«Che stai dicendo?»

«Se tu avrai un bambino Bren, la razza non si estinguerà. Il tuo Akhenet e Rheba potranno avere figli Senyasi. Una volta che tu sia incinta, io divento il meno importante di noi».

«È un ragionamento troppo freddo per me. Sei davvero duro», mormorò Ilfn.

«Sono l’unico compagno che tu possa avere, a quanto ne sappiamo. Dovrai prendermi così come sono».

«Mi hai frainteso. Io sono troppo vecchia per te, e tu troppo giovane per me, ma insieme dovremo avere figli capaci di sopravvivere. Questo è certo. E forse … forse la tua Danzatrice del Fuoco capirà le tue necessità prima che il rez ti porti via con sé».

«Forse», borbottò Kirtn. Ma ci credeva neppure lui.

Capitolo 18

SAFFAR E HMEL

Arrotolato sulle ginocchia di Rheba, Fssa canticchiava dolcemente e con voce morbida godendosi il contatto delle dita di lei che gli carezzavano il dorso. La ragazza era seduta presso la parete di un vasto stanzone, e osservava pigramente gli J/taals che chiacchieravano fra loro poco più in là. Vedendo arrivare Dapsl si alzò, lieta che la pausa fosse finita, e i mercenari la imitarono. M/Dere attese che ella fosse pronta, quindi diede il segnale d’inizio della scena che dovevano provare.

Il piccolo schiavo dalla pelle purpurea urlò alcune frasi imbestialite, e Rheba fece cenno al serpente che non importava tradurle: si trattava di insulti, e ormai tutti loro avevano imparato a conoscerli alla perfezione.

«Fermi dove siete, ho detto!», berciò ancora Dapsl. «Non ho ancora dato il segnale d’avvio. E il segnale lo dò soltanto io. Chiaro?»

La sferza neuronica che teneva nella mano destra si muoveva come se fosse stata viva. Era un nerbo flessibile di colore violetto, che nel toccare il suolo crepitava scaricando l’energia di cui era saturo. Nel notare l’occhiata ostile di M/Dere, Dapsl le lasciò andare una frustata a un braccio che la fece trasalire da capo a piedi.

«Bada a quel che ti dico, tu. Oppure finiremo tutti quanti nella Fossa!», abbaiò l’ometto.

Ad onta del dolore violento M/Dere non s’era mossa d’un millimetro, ma i suoi occhi colmi di luce nera non erano fissi su di lui: la donna guardava Rheba, la sua J/Taaleri, come in attesa di ordini. Rheba le restituì un’occhiata inespressiva. Non aveva certo difficoltà a intuire i suoi sentimenti. Volendo avrebbe potuto colpire Dapsl con la stessa energia della sferza e nel momento in cui l’aveva usata, e se non l’aveva fatto era solo per non fargli vedere quali fossero ì suoi poteri. Inoltre Dapsl sarebbe scappato in cerca di Jal per riferirgli l’accaduto, e forse avrebbe ottenuto da lui un’arma più potente. Ma mancavano sette giorni alla Concatenazione, e Rheba non voleva destare i sospetti di nessuno. Avrebbe dovuto sopportare, evitare di mostrare le sue capacità, e fingersi docile finché possibile.

«Mi hai sentito, Pelosa?», strillò ancora Dapsl, e di nuovo lo staffile neuronico sferzò il braccio di M/Dere.

Stavolta i capelli di Rheba svolazzarono come serpentelli, agitati da un’energia che ella non sapeva più trattenere, e nascosto fra essi Fssa diventò scuro per la paura.

«Basta!», sibilò la ragazza. «Un altro colpo di quella frusta, e io non lavorerò più. Non ci sarà nessuna Azione, e tu andrai nella Fossa, sporco vermiciattolo!»

«E lo stesso accadrà a te, schifosa kaza-flatch!», gridò l’altro, agitando il nerbo che vibrava di luce violetta.

«Forse. Ma io sopravviverei alla Fossa, e tu no».

«Al Signore Jal questo tuo atteggiamento non piacerà. E lui sa che senza la frusta quei dannati animali non lavorano».

«Devi scegliere, e adesso: lo la sferza neuronica, o me?», stabilì lei.

L’ometto la fissò a lungo, poi con una bestemmia oscena spense la sferza, la spezzò in due, la calpestò selvaggiamente e la scaraventò nell’angolo opposto del locale.

«Eccoti accontentata!», ringhiò. «E adesso?»

«Siamo a tua disposizione», disse lei calma, e fece cenno agli J/Taals di riprendere i loro posti.

Dapsl avanzò a lunghi passi, per quanto glielo permetteva la sua scarsa statura. Li osservò l’uno dopo l’altro e poi disse soltanto: «La scena numero uno. Avanti!»

Stavolta M/Dere attese il cenno di lui e l’Azione cominciò senza intoppi. Poggiato a terra in mezzo al locale stava Arcobaleno, immobile e isolato nella penombra e sempre in forma di corona. Da un lato entrarono gli J/taals e i loro cani da guerra, che muovendosi con lentezza ma in preda a convulsioni oscene andarono a disporsi in circolo. Le loro facce contratte, i gemiti rabbiosi e i gesti scoordinati rappresentavano il Male di cui essi erano i diavoli servitori. Il copione li voleva di guardia alla corona magica, chiusa in un antro sotterraneo nel più profondo dell’inferno, ed essi vi giravano intorno ciecamente, ciascuno come immerso nei suoi personali incubi diabolici.