Rheba la guardò sbigottita. «No. Io … non lo sapevo».
«Cosa ne è stato dei tuoi genitori?»
«Morirono, colpiti da una delle prime ondate di plasma stellare. Dopo quel giorno, tutti dovemmo lavorare fino allo spasimo per tenere attivo il nostro scudo di energia contro il sole. Gli anni che avrei dovuto impegnare studiando la storia, e la biologia dei Senyasi e dei Bre’n, li trascorsi lottando insieme agli altri. Deflettere il fuoco … questa è stata la mia infanzia».
«Ma come potevi, a quell’età … Ah, già. Dimenticavo che le tue Linee di Potenza sono molto sviluppate. Senza dubbio potevi fare il lavoro di un Akhenet più anziano». La donna Bre’n fece cenno a Rheba di accostarsi a lei. «Vieni a sederti qui, Danzatrice del Fuoco. Tu mi detesti un pochino, vero? Ma ci sono cose che non sai; e devo dirtele».
«Io non ti detesto», protestò subito lei.
Ilfn rise piano, e la fissò divertita. «Le tue Linee di Potenza sono dieci anni più avanti del resto del tuo corpo, però questo non fa di te un’adulta. In molte cose sei ancora una bambinetta inesperta, credimi». Le premette gentilmente una mano su una spalla. «Coraggio, siediti. Su Deva non saresti mai stata costretta ad aver paura delle emozioni che provi verso il tuo Bre’n: te ne avrebbero insegnato il significato, prima ancora che tu cominciassi a provarle».
«Deva non esiste più».
«È vero», fu il sussurro di Ilfn. Poi la sua voce assunse il tono da Mentore Bre’n: «Ora ascolta me, Akhenet. Tu oscilli a ogni respiro fra la bambina e la donna. La bambina che è in te detesta la mia femminilità da adulta, rifiuta il richiamo del corpo di Lheket, e odia tutto ciò che può mettersi fra te e il tuo Bre’n. Non devi temere di negare questa realtà. L’istinto Senyasi di legarsi ai Bre’n è forte come quello Bre’n di legarsi ai Senyasi. E c’è una ragione per l’esistenza di questo istinto: senza Kirtn tu saresti semplicemente condannata a morte, vittima dei tuoi stessi poteri. Senza di te sarebbe Kirtn a morire, ucciso dall’impossibilità di esaudire certe particolari necessità dei Bre’n. Io non voglio mettermi fra te e lui, non più di quanto vorrei essere per sempre la concubina di Signore Puca. Ma gli schiavi non hanno scelta. O quantomeno, le loro scelte sono tutte spiacevoli».
Rheba distolse lo sguardo dai suoi occhi dorati e luminosi, a disagio. Sapeva di aver sofferto ben poco, a paragone di quello che lei aveva dovuto subito dai Loos.
«Io spero … che Kirtn ti piaccia», disse, imbarazzata. Si sentiva sciocca e confusa, come una bambina alle prese con cose più grandi di lei. «Cercherò di non essere gelosa e di capire. So che sarebbe sbagliato provare gelosia e detestarsi. Tu sei mia sorella. Una mia sorella Bre’n. I tuoi bambini saranno anche i miei».
Le sue ultime parole suonarono sicure, automatiche, tutto ciò che le restava nella memoria dei pochi rituali Akhenet appresi nell’infanzia. Per la prima volta capì quale fosse l’atteggiamento contenuto in quelle cerimonie che segnavano i momenti principali nella vita degli Akhenet, il succedersi di quei mutamenti. L’unione di Kirtn e Ilfn per avere dei bambini era uno di quei mutamenti, e il rituale avrebbe dovuto dirle cosa fare e cosa pensare, rassicurandola che il mondo non le stava affatto crollando intorno. Lei non aveva potuto apprendere il senso di quella che su Deva sarebbe stata una cerimonia, per applicarlo alla sua vita privata. Come in un lampo comprese che nell’unirsi due coppie di Akhenet non realizzavano un insulso scambio di partner, bensì creavano un gruppo familiare con incroci genetici vitali per la sopravvivenza delle due razze. E seppe che la sua ignoranza stava rischiando di mettere a repentaglio non solo il suo rapporto con Kirtn ma la loro stessa vita.
Ilfn le accarezzò i capelli. «Grazie per avermi chiamata sorella. So che non hai potuto discutere la mia scelta con Kirtn, poiché non c’è scelta alternativa. È molto importante che tu abbia detto queste parole … Non credevo che mi sarebbe accaduto di sentirmi ancora chiamare sorella!»
Rheba la guardò con più attenzione, conscia solo allora che Ilfn era una persona con tutto un passato dietro di sé. Una persona che aveva avuto una famiglia, delle attività, degli amici e un compagno, e che adesso aveva soltanto dei ricordi dolorosi.
La donna Bre’n era tornata serena. «Avrò dei bambini, e saranno dei bambini bellissimi. Il mio Senyasi-padre era un Danzatore della Mente, e si occupava di genetica. Mi regalò un’abilità mentale tutta particolare: quella di scegliere le possibilità genetiche dei miei figli. Mi sono chiesta se immaginasse quanto ciò sarebbe stato utile alle nostre due razze». Guardò Rheba e sorrise della sua espressione. «E poi mi diede quest’altro grande dono … Lheket. I vostri bambini saranno molto più dotati di quanto lo siete voi due, Danzatrice del Fuoco, te lo assicuro. I miei e i tuoi avranno il futuro nelle loro mani, e saranno forti come i Bre’n e i Senyasi non sono mai stati».
Rheba sbatté le palpebre, incapace di farsi una visione del futuro come quella che sembrava brillare negli occhi dell’altra. Per lei il passato era cenere, e il futuro qualcosa d’ipotetico su cui non aveva alcun modo di fare progetti. C’era la possibilità che nessuno di loro avrebbe avuto un futuro. Per lei la sola realtà era il presente, e ciò che poteva toccare al presente con le sue mani, cioè Kirtn. Ora a Kirtn s’era aggiunta un’altra realtà, la donna Bre’n col suo Akhenet. Ma questo era tutto.
Come quand’era una bambinetta, il desiderio di essere sola con Kirtn tornò a dominarla, irragionevole. Nella sua ricerca di altri superstiti non aveva tenuto conto del fatto che fra lei e Kirtn sarebbe venuto qualcun altro. Sapeva che la sua sofferenza era infantile, ma non per questo essa era meno reale.
Ilfn stava osservando Lheket. «I vostri figli sono ancora lontani molti anni nel futuro. Ma i giovani come te non si rendono conto di quanto veloci scorrano gli anni». Accarezzò una guancia a Rheba. C’erano sottilissime Linee di Potenza dove ella passò le dita. Linee di nuova formazione, già pronte a splendere di luce dorata. «Sei migliore di quel che pensi, e hai più potere di quanto immagini. Prenditi cura del tuo Bre’n. Lui ha bisogno di te, bambina-donna … ha molto bisogno di te!»
La ragazza si scostò, preoccupata. «Cosa intendi dire?»
Ilfn scosse la testa e non parlò.
«Spiegati», insisté Rheba. «Io non ho potuto studiare e imparare. Non ho avuto una normale vita familiare. Se c’è qualcosa di cui Kirtn ha bisogno, io devo saperlo. Dimmelo!»
«Non posso farlo. È proibito».
«Proibito … perché?»
«Ogni Akhenet deve realizzare senza aiuto il tipo di rapporto che adotta con sé stessa e col suo Bre’n», rispose Ilfn con riluttanza e restando volutamente nel vago. «È una scelta che emerge dalle profondità di te stessa. Descriverla e precisarla annienterebbe la spontaneità che deve esserne la base. E sarebbe meglio per voi suicidarvi, piuttosto che vi accada questo».
«Non capisco». La voce di Rheba era tesa e allarmata. «Prima dici che sto sbagliando, o che non sto facendo quel che dovrei, e poi affermi che non puoi dirmi nient’altro».
Ilfn si volse e fissò in silenzio il suo Akhenet. Il suo profilo era freddo e distante come un’immagine di ghiaccio nella penombra. Con un sussulto Rheba si accorse che le ricordava il volto da lei visto nell’orecchino di Lheket, o meglio una delle molteplici espressioni di quell’enigmatica Faccia Bren. Si girò di scatto a guardare Kirtn, e per la prima volta vide in lui qualcosa di estraneo e sconosciuto. Bambina-donna … ha molto bisogno di te!
Il Bre’n addormentato sospirò, si mosse appena, e il gioco di ombre sul suo viso cambiò. Con una stretta al cuore Rheba riconobbe che era bello, di forme perfette, espressivo nella sua statuaria immobilità anche nella posa che il sonno avrebbe dovuto rendere scomposta. La sua muscolatura mascolina aveva dolcezza e forza insieme. Per il desiderio di abbracciarlo strettamente ella fremette. Avrebbe voluto stendersi accanto a lui, e poi costruire intorno a loro una gabbia d’energia che li isolasse dal mondo esterno, insieme e per sempre.