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Le nuove Linee di Potenza pulsavano sul suo corpo di Akhenet, esili tracce di luce nel grigiore di quel tetro stanzone. L’alba era vicina. Senza pensare ad altro Rheba si distese, e girata sul fianco aderì al Bre’n, gettando i lunghi capelli d’oro su una spalle di lui come uno scialle. Le sue mani si mossero indipendenti dalla volontà, cercando il contatto della fine peluria sulle braccia e dietro la schiena del compagno. Ma ad un tratto s’accorse di aderire a lui in modo eccessivo: stava tremando, e il suo corpo di femmina cercava quello di Kirtn in un’intimità che spaventò per prima lei stessa. Si ritrasse ansando, sconvolta, chiedendosi cosa fosse a farle contorcere le viscere annichilendo insieme i suoi sentimenti.

Restò seduta sul freddo pavimento fino all’alba, senza muoversi e con lo sguardo fisso sulla parte opposta, praticando la disciplina di autocontrollo degli Akhenet e svuotando la sua mente da ogni altra cosa.

Capitolo 20

PIANI DI FUGA

«Questo è l’anfiteatro, e qui fra le due estremità c’è il palco imperiale del Loo-chim», disse Dapsl, eseguendone accuratamente il disegno su un foglio di plastica appuntato al muro. «Tutti gli altri China saranno seduti dalla parte opposta, di fronte, secondo un ordine di precedenza che uno schiavo come me non può presumere di capire».

Rheba si appoggiò con una spalla al muro, cercando di tenere gli occhi aperti. Le prove dell’Azione erano durate tutta la mattina, e le pareva di avere le ginocchia di sabbia e le palpebre appesantite col piombo. Accanto a lei Lheket si agitava nervosamente, così pieno d’energia e ben riposato da farle invidia. Aveva bellissimi occhi verdi, e in quel momento li teneva puntati su di lei come se potesse vederla, ma la loro fissità le rivelava che erano colmi di tenebra. Gli sfiorò una mano e mormorò alcune parole rassicuranti. Ilfn non c’era, essendo uscita con la scusa di cercarle una pomata per la pelle ma in realtà per contattare gli schiavi ribelli, e l’assenza di lei disturbava molto il ragazzo.

In risposta al tocco di Rheba Lheket alzò una mano e la mosse in cerca dei suoi capelli, tipico gesto di un Senyasi giovane verso una donna di poco più anziana. Ma la ragazza li aveva annodati in una stretta acconciatura dietro la nuca, e la mano di lui brancolò delusa nel vuoto. Notando il suo disappunto Rheba se li sciolse, e scuotendo il capo li fece ricadere lungo la schiena. Sentendosene sfiorare Lheket sorrise, con aria infantile.

«Mi fanno il solletico», mormorò, in lingua Senyas.

La ragazza rispose al suo sorriso, prima di ricordare che lui non poteva vedere. Allora gli accarezzò una guancia. «Taci, Danzatore della Tempesta, o quell’antipatico di Dapsl si arrabbierà».

Lheket ubbidì, ma le prese una lunga ciocca di capelli e la tenne in pugno. Un po’ seccata Rheba sbuffò e cerco di tirarla via, però le dita di lui si strinsero con più forza. Con un sospiro cedette e gli si accostò di più. Privo della vicinanza di Ilfn, il ragazzo mostrava di aver bisogno di un contatto sostitutivo, e le sue mani erano sempre alla ricerca di qualcuno. Non che ella lo biasimasse per questo: esser schiavo sul pianeta Loo, e per di più cieco, avrebbe snervato in breve tempo perfino un adulto.

Si chiese se Ilfn fosse riuscita a parlare con l’esponente dei ribelli che stavano organizzando il colpo di mano. Immaginava con quale scarso compiacimento sarebbero venuti a sapere che una decina di altri schiavi sconosciuti intendevano unirsi a loro. Ma non avevano scelta, perché solo a quel patto Ilfn avrebbe messo a loro disposizione le chiavi verbali delle porte esterne.

Accorgendosi dell’occhiataccia di Dapsl, cercò di prestargli più attenzione. Non si curava troppo di seguire il suo disegno, visto che ci pensava Kirtn a memorizzare le istruzioni, ed a lui la mappa serviva principalmente per studiare possibili vie di fuga dall’anfiteatro pieno di aristocratici e di guardie. Gii J/taals invece erano contrarissimi, anche se non capivano una parola. La loro esperienza militare sarebbe stata il cardine attorno a cui avrebbe ruotato il piano di Kirtn.

«… questa rampa sale al locale dietro il palcoscenico», stava dicendo l’ometto. «Voi attenderete giù nel tunnel finché non sarete chiamati in scena, quindi vi porterete presso questi quattro segni azzurri sull’ala sinistra del palcoscenico».

Kirtn annuì, fissando il disegno che cresceva sotto lo stilo dello schiavo. «Ci sono tende d’energia, un sipario, o pannelli divisori di qualche genere? E per le luci chi provvede?»

«Non c’è niente di tutto questo. Le Azioni che non possono produrre l’illuminazione necessaria vanno in scena con la luce del giorno. L’anfiteatro è antico, risale ai tempi pre-Confederazione. Fu costruito da gente che non voleva o non sapeva produrre spettacoli con l’ausilio dell’elettricità. Dietro le quinte non ci saranno tecnici, né operai o altri».

Rheba trattenne il fiato, rendendosi conto di ciò che rivelavano le parole dell’ometto: non ci sarebbero stati impianti elettrici, né fonti di energia da cui lei potesse attingere.

Kirtn aveva posto le sue domande proprio per esserne certo, e anch’egli si accigliò, ma non fece commenti. La loro Azione sarebbe andata in scena di notte, insieme ad altre che utilizzavano la bioluminescenza naturale. Dunque Rheba sarebbe stata impotente, a meno che non avesse dato fuoco al palcoscenico per trasformare le semplici fiamme in forme di energia più complessa.

Ma il palcoscenico era di pietra, come il resto dell’anfiteatro, cossiché non rimaneva che l’atmosfera. Ma estrarre calore dal cielo notturno, concentrarlo e mutarlo in energia plasmabile, avrebbe richiesto troppa fatica. Rheba rifletté con un sospiro che sarebbe stato già abbastanza difficile produrre gli effetti di luce fredda necessari all’Azione.

«L’anfiteatro è a cielo scoperto», osservò Kirtn, che stava evidentemente seguendo i suoi stessi ragionamenti. «Cosa pensa di fare il Loo-chim se si mette a piovere? Signore Puca e Signora Kurs guarderanno le Azioni stando seduti sotto la pioggia?»

Dapsl sbuffò seccato. «Si dà il caso che questa sia la stagione secca, se non te ne sei accorto. Non è quasi mai successo che abbia piovuto, nell’Ultima Notte dell’Anno».

Rheba fissò pensosamente il ragazzo che stava immobile al suo fianco, con la ciocca di capelli in mano. Un Danzatore della Tempesta, pensò. E una tempesta significava un’enorme quantità di energia.

«Ne sei sicuro?», chiese Kirtn. «Vuoi dire che il pianeta dispone di un controllo metereologico?»

Dapsl scosse il capo. «Roba simile non esiste. In caso di maltempo l’anfiteatro ha un campo di forza di emergenza, che può essere attivato per respingere la pioggia. Ma non preoccuparti, non ce ne sarà bisogno. O avete paura di un po’ d’acqua?»

Rheba fece un gesto d’indifferenza. «Campo di forza o no, che importa?», disse, come se quel particolare non avesse importanza alcuna.

Dapsl si tormentò l’estremità delle trecce bisunte e le gettò indietro, bofonchiando qualcosa fra i denti. Poi riprese a spiegare ai membri della sua piccola compagnia come agire sul palcoscenico, nello spettacolo da cui sarebbero forse dipese le loro vite.

«Poiché dal Loo-chim abbiamo avuto l’onore, e l’altissimo privilegio, di essere l’ultima Azione di quella straordinaria giornata, verrete chiamati fuori dal tunnel quando ormai mancherà poco al termine dell’anno. La durata dell’Azione è stata calcolata al secondo, cosicché finirà esattamente allo scoccare della mezzanotte. Il tempo avrà un’importanza cruciale: terminare pochi secondi troppo presto o troppo tardi guasterebbe la cerimonia, provocando il dispiacere del Loo-chim. Ed è inutile sottolineare cosa significa questo».