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«Io …» La donna s’interruppe, poi passò a parlare in Senyas per essere più chiara. «Non l’ho addestrato a chiamare la pioggia, e non so se possa farlo. Il potenziale elettrico contenuto in un temporale è imprevedibile. Dove sono la sua famiglia Bre’n, la sua famiglia Senyasi, e gli Akhenet più esperti di lui che dovrebbero guidarlo nel suo primo pericolosissimo tentativo? Lui è molto forte. E se io non riuscissi a controllarlo … dovrei ucciderlo con le mie mani, prima che sia lui a fare un’ecatombe». Strinse i denti. «E poi ucciderei me stessa!»

Rheba ricordò la facilità con cui Lheket aveva assorbito l’energia da lei, l’istintiva avidità per quelle correnti di forza che era la caratteristica di ogni Akhenet. Non dubitava che fosse potenzialmente forte. E nessuno sapeva meglio di lei cosa sarebbe successo, se un Akhenet molto dotato ma privo di allenamento fosse esploso nelle loro mani. Lo aveva visto accadere più di una volta su Deva, quando la disperazione aveva spinto Danzatori del Fuoco ancor più giovani di lei a lottare per tenere saldi gli scudi di energia. I risultati erano stati ancor più terribili che se lo stesso plasma stellare fosse penetrato nella bassa atmosfera fino al suolo.

Di fronte a un’alternativa di morte, sarebbe stato meglio lasciare addormentati i poteri di Lheket ancora per qualche tempo, finché tutti loro non avessero potuto dedicarsi ad allenarlo con le dovute cautele.

«Ilfn ha ragione», decise, e lo ripeté fischiandolo in Bre’n per dare maggiore risonanza a quella constatazione. «Saprò sostenere l’Azione usando solo la mia energia corporea. Una volta fuori dall’anfiteatro, sono certa che troverò qualche altra sorgente utilizzabile. Ma non mi piace. Sul palcoscenico sarò … come un’arma scarica».

Guardò ancora Lheket in silenzio. I ciechi occhi verdi erano puntati su di lei, fuori fuoco e tuttavia nella sua direzione. I sensi già sviluppatissimi dell’Akhenet gli consentivano di captare le turbolenze d’energia intorno a lei, e per istinto seguiva i suoi spostamenti come un fiore eliotropico segue quelli del sole. Anch’ella sentiva qualcosa provenire da lui, una potenza dormiente, una segreta sorgente di forza che stagnava nelle profondità del suo corpo. Se quella forza fosse sgorgata senza controllo, Lheket avrebbe potuto uccidere chi gli stava vicino:

Rheba si volse bruscamente, avvertendo la presenza di qualcuno nel corridoio esterno. Dapsl comparve a passi felpati sulla soglia, e dietro di lui entrarono svelti Signore Jal e una donna pallida, di media statura e dalle chiome nere. La faccia di quest’ultima era priva di espressione come un volto di creta non rifinito.

Signore Jal fece arrestare gli altri due con un gesto, e si avvicinò a Rheba. Gli occhi della sconosciuta erano fissi su di lei con ipnotica concentrazione, come se volesse memorizzare i suoi lineamenti. L’individuo dalla pelle azzurra sfiorò dapprima Kirtn e poi la stessa Rheba, con un tocco apparentemente casuale: e all’istante la ragazza avvertì una sofferenza raggelante pervaderle le membra.

Un freddo intenso le annebbiò la mente per alcuni secondi, e subito dopo ella si rese conto di non avere più alcun controllo del suo corpo. Tutto ciò che riusciva a fare era di stare in piedi e ferma, con gli occhi fissi nella direzione in cui guardava prima d’essere toccata da Jal. Non poteva muovere un sol muscolo né aprire la bocca per parlare, ed era a malapena capace di deglutire saliva e di sbattere le palpebre. Sebbene non riuscisse ad osservare Kirtn direttamente, era conscia che anch’egli era paralizzato dall’azione della droga o di qualunque fosse l’arma che Jal aveva usato su di loro.

Prima che gli altri avessero capito cosa stava succedendo, Signore Jal era già passato fra i cinque J/taals. Vedendo che la loro J/taaleri stava zitta e non pareva degnare d’attenzione lo schiavista, non reagirono in alcun modo, e fu così che M/Dere venne anch’essa toccata rimanendo come pietrificata all’istante. Ilfn sollevò un sopracciglio, forse colpita da un vago sospetto, ma non si scostò quando una mano le si poggiò su una spalla, e il suo corpo divenne quello di una statua. Jal ignorò il giovinetto cieco, estrasse di tasca una pistola lancia-aghi, si accostò a Rheba e gliela puntò alla gola, tenendo un dito sul grilletto.

«Caposchiavo», ordinò. «Informa M/Dere che se i cani da guerra fanno tanto di muoversi, io ammazzo la ragazza».

Dapsl ripeté il comando in pessimo e sgrammaticato J/taal, rivelando in quel momento che aveva una certa infarinatura di quella lingua.

«Adesso liberale la bocca, che possa parlare», disse Jal.

Nervosamente l’ometto raggiunse la mercenaria, le punzecchiò la nuca con un ago lungo e sottile e sgambettò subito in zona di sicurezza.

«Dille che voglio quelle bestiacce stese a terra», sibilò Jal, premendo l’arma sotto la mandibola di Rheba.

Se la ragazza avesse potuto almeno girare gli occhi nelle orbite, avrebbe tentato di incenerirlo con un’occhiata. Cercò di sprigionare una saetta d’energia, ma le sue Linee di Potenza risposero allo sforzo emanando appena un lucore quasi invisibile. Si sentiva confusa, e intuì che la droga le paralizzava i pensieri non meno del corpo.

M/Dere borbottò un ordine di malavoglia, e i clepts si sdraiarono sul pavimento. Fissavano Jal con una ferocia nera come la morte, ma non fecero più un movimento.

«Bada, Pelosa, che se parli senza il mio permesso la ragazza muore. Se mi hai capito rispondi un sì, e usa solo quella parola».

La mercenaria attese la rafforzata traduzione di Dapsl, quindi rispose: «Sì».

Jal sorrise freddamente all’ometto. «Avevi ragione, caposchiavo: Rheba è proprio la loro J/taaleri, sebbene io non capisca come … Ma non ha importanza», Inarcò un sopracciglio verso M/Dere. «Come vedi, non ho ancora fatto alcun male alla vostra J/taaleri. Di conseguenza non c’è motivo di combattere. Anzi dovreste ringraziarmi … tenendola in vita io salvo anche il vostro lavoro, che con la sua morte cesserebbe. Non è così?» disse, ignorando gli sforzi che Dapsl faceva per stargli dietro con la traduzione.

Detto ciò, Jal afferrò Rheba con la mano libera, la fece inclinare di lato e poi la sorresse deponendola senza scosse sul pavimento. A quella vista i clepts ringhiarono, ma non mutarono posizione. Neppure M/Dere aprì la bocca: la pistola dell’individuo era costantemente puntata sulla ragazza inerte, e disarmarlo prima che potesse usarla era impossibile.

«È viva e perfettamente sana», disse Dapsl, tornando alla porta. «La droga è innocua … e anche lei è innocua, adesso. Signore Jal non è certo così sciocco da rovinare una schiava costosa».

M/Dere non fece commenti, né si volse a guardare i clepts, che la fissavano come in avida attesa di un suo cenno.

La voce di Signore Jal conteneva un filo di disprezzo: «So bene che voi J/taals vi attenete a regole precise, e conto su questo. Io detesto uccidere o rovinare schiavi che mi sono costati denaro sonante». Si volse alla donna che era entrata con lui. «Hai visto abbanstaza di lei, i’sNara?»

«Si, Signore».

Il tono della pallida femmina era stato informe e vuoto come la sua faccia. Si accostò a Rheba e le girò intorno, studiandone i lineamenti, i capelli, e le sottili linee dorate che s’intrecciavano sul suo corpo. Le aprì il vestito sulla schiena e glielo sollevò per esaminarle le gambe, dove già si scorgevano nuove Linee di Potenza un po’ dappertutto.

«Ha l’abitudine di lavorare nuda?» chiese.

«Qualche volta», disse Dapsl. «Ma è difficile da duplicare. I disegni sulla sua pelle sono molto complicati … e pulsano oscenamente».

«Un vestito, allora», suggerì Signore Jal. «Sì», annuì i’sNara, assente.

Kirtn poteva vedere sia Rheba che le manovre dell’altra donna, ma fin’allora non era riuscito a piegare un dito neppure con uno sforzo di cocente intensità. I suoi frustranti tentativi s’erano risolti in un nulla di fatto. Di tanto in tanto Jal gli gettava un’occhiata, per controllare se fosse sotto il pieno effetto della droga. Ad un tratto la donna chiamata i’sNara parve scossa da una vibrazione, l’aria intorno a lei divenne stranamente nebulosa e il suo corpo si fece indistinto nei particolari. Poi quell’effetto sconcertante svanì, ed ella tornò ad essere nitida e concreta d’aspetto.