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«Danzatrice del Fuoco …»

La voce del serpente fu rauca ed esile, ma penetrò nella nebbia che avvolgeva i sensi della ragazza più dolce di una melodia. Un’altra convulsione la scosse, poi sollevò le ginocchia unite e le circondò con le braccia stringendosele al petto con forza. Non era mai stata così intorpidita dal freddo, e ogni movimento le costava tanta sofferenza che non le sarebbe importato nulla di morire.

«Danzatrice del Fuoco …» Il fischio le giunse ancora da qualche luogo, fuori dal bozzolo di agonia in cui era chiusa.

«Kirtn … sei tu? Dove sei? Sei ferito?», ansimò.

Sentendola parlare, il serpentello si permise finalmente di estrarre un po’ di calore dal corpo di lei, fidando che appena in piedi ella avrebbe potuto accedere un fuoco e scaldare l’ambiente. L’energia che le prese servì a farlo uscire dallo stato d’inerzia, e il suo fischiare riacquistò una nota chiara.

«Non sono Kirtn. Sono Fssa».

Rheba non lo udì neppure. Aveva aperto gli occhi, e con spavento aveva visto innanzi a lei solo un muro di tenebra. «Sono diventata cieca! …», singhiozzò. «Oh, stelle del cielo, Jal mi ha accecata!»

Fssa ci mise qualche secondo per capire cosa stava dicendo. Cercò d’informarla che quel luogo era buio solo perché non vi entrava neppure un filo di luce dall’esterno, ma ella gemeva il nome di Kirtn incessantemente, come una bambina smarrita e resa folle dalla paura, e non udiva nulla se non i suoi stessi singhiozzi. Il serpente decise di rubarle un altro po’ di calore corporeo, giusto quel che bastava per consentirgli di fischiare forte. La nota che emise fu così acuta da stordire la ragazza, che smise di gridare e continuò a piangere in silenzio.

«Rheba, sono Fssa. Puoi sentirmi?»

Nei tremiti che la scuotevano ci fu una pausa. «F-Fssa?»

«Sono io, sì».

«C-cosa è successo? D-dov’è Kirtn? Perché ci t-troviamo qui? Kirtn sta bene?» Il balbettio le scaturiva dalla bocca come scintille crepitanti da un fuoco, ma un fischio del serpente la invitò alla calma e si azzitti.

«Ricordi che Signore Jal era venuto nella nostra stanza?», chiese Fssa, con voce tesa per agganciare bene le parole all’attenzione di lei.

«Io …» Un lungo brivido la scosse. Ora avvertiva in pieno la realtà di quel freddo polare. «S-sì ricordo».

«Dopo che ti ha stordita ci ha parlato, rivelando fra l’altro che razza di infido spione fosse il caposchiavo».

«C-caposchiavo?»

«Dapsl». Il serpente conferì al nome una nota di disprezzo. «Quando Signore Jal ha dato a quell’escremento purpureo la sferza neuronica, io l’ho capito subito che era un caposchiavo dei Signori».

«Ah, s-sì. Un caposchiavo, dici?», balbettò lei.

«È il rango più elevato fra gli schiavi favoriti dei Signori, superiore anche a quello di caposala nei locali di tortura. Una bestia, un tirapiedi del padrone». Fssa parlava con voce sconsolata. Da quando erano stati sbattuti lì aveva avuto tutto il tempo di riflettere sull’accaduto. «Siamo stati raggirati. Quel vigliacco parla J/taal. Lo parla in modo ignobile, però lo capisce piuttosto bene».

«Credi che Jal abbia saputo della rivolta?»

Il mugolio del serpente era già tutta una risposta, ma aggiunse: «È stato informato della parte che riguardava noi. Però la rivolta andrà avanti anche in nostra assenza. Quel che preme a Signore Jal è che noi restiamo vivi, almeno per ora, e che l’Azione venga rappresentata. Cosicché lui e Dapsl non hanno detto niente al Loo-chim e agli altri aristocratici. Gli altri schiavi giocheranno le loro carte».

«M-ma l’Azione? Io dovrò recitare. Loro n-non possono andare in scena alla Concatenazione s-senza di me».

«Jal ha pensato a tutto. Una illusionista Yhelle farà la tua parte. È del Decimo Grado, capace di duplicarti alla perfezione. Per quanto riguarda la canzone Bre’n, credo che sarà un a solo invece di un duetto».

«Ma le fiamme, e le luci?»

«Ci saranno, anche se illusorie. I Chim non noteranno niente».

«P-però, se l’Azione riesce bene, resteremo uniti. E ciò vuol dire che in futuro potremo forse tentare qualcosa», osservò lei, cercando di schiarirsi le idee.

Il fischio di Fssa suonò scoraggiante. «Intanto Signore Jal ha detto che se gli altri tenteranno di ribellarsi tu morirai. Sei il suo ostaggio».

«S-se Jal non mi fa uscire da questo frigorifero, sarò un ostaggio morto prima di sera», ansimò lei battendo i denti. «I Loo devono essere molto più adattabili di me alle basse temperature. Normalmente f-farei un fuoco, ma ora non riesco n-neppure a muovermi».

«Prova ad accendere un fuoco!», supplicò lui.

La risata di Rheba suonò come un lamento. «E con cosa, serpente?»

Dopo una lunga pausa lo Fssireme propose, incerto: «Non puoi usare la pietra per produrre calore?»

«Non senza un catalizzatore adatto. Energia libera, capisci? Se potessi raggiungere con la mente una sorgente di energia, farei bruciare anche la pietra. Ma non sento nessuna energia, neppure oltre i muri».

I brividi della sue membra erano adesso diminuiti, ma ciò non significava che si stesse scaldando, anzi il contrario. Il freddo le scivolava nelle ossa sempre più, sebbene contraesse i muscoli per far circolare il sangue.

«Fssa …», mormorò debolmente. «Sono cieca?»

«No, Danzatrice del Fuoco. Il luogo in cui ci hanno rinchiusi è un antichissimo carcere sotterraneo, e non c’è luce».

«Il buio e il freddo mi spaventano. Io sono abituata ad estrarre energia dalla luce, e dal calore dell’aria», disse lei sottovoce.

Avrebbe potuto illuminare quella prigione. Sarebbe stata la cosa più facile del mondo, se fosse riuscita ad usare l’energia del suo stesso corpo. Ma sentiva di averne a malapena per restare in vita. Comunque non era particolarmente desiderosa di osservare le caratteristiche di quella tomba, rifletté per consolarsi. Le catene tintinnarono quando cambiò posizione nel tentativo di scoprire, se riusciva a muovere qualche muscolo. Ma subito un forte tremito la scosse lungamente, innaturale e convulsivo. Pian piano tornò all’immobilità assoluta e al silenzio. Tese le orecchie e non udì altro che il proprio respiro.

Dieci minuti più tardi chiamò: «Fssa?»

Non ci fu risposta.

«Fssa … Hai freddo anche tu?»

Soltanto silenzio. Le catene le strisciarono sul volto, quando alzò le mani per toccarsi la testa in cerca dello Fssireeme. Non lo trovò. D’improvviso comprese che col solo sforzo di parlarle il serpentello aveva oltrepassato il limite delle proprie possibilità fisiologiche. L’esigua massa corporea non gli consentiva di trattenere il calore come un essere umano. Pur senza essere un’esperta in fisica, Rheba fu certa che il piccolo alieno non poteva regolare la sua temperatura interna come gli animali a sangue caldo: condizioni climatiche di quel genere avrebbero finito per ucciderlo.

«Fssa, rispondi. Dove sei?»

Il suo grido risuonò fra le gelide pareti di pietra. Nonostante la terribile spossatezza creò allora una debole sfera di luce fredda. Era qualcosa che perfino un Danzatore del Fuoco di pochi anni avrebbe saputo fare facilmente, eppure lo sforzo bastò per farla accasciare.

La cella che poté vedere a quel modo non era certo vasta: appena quattro passi di lato. Ciò malgrado le occorsero due minuti buoni prima di individuare il serpente. Era a un metro dietro la sua nuca, arrotolato a spirale, immobile e più scuro e sottile di quanto lo avesse mai visto. Sembrava un pezzo di spago nero abbandonato nella polvere.