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«Ve lo avevo detto, Signore: guardate il Peloso come poltrisce. Non vuole più lavorare. E quel maledetto serpente è sparito. L’Azione sarà una porcheria se non collaborano tutti. Vogliono rovinarci!»

Jal interruppe con un gesto secco il suo lamentoso berciare, e si avvicinò cautamente agli J/taals. Vestiva un abito lungo e frusciante di seta verde, eon arabeschi in oro e disegni spolverati, di brillantini. Nella stanza faceva piuttosto freddo, e quell’abbigliamento leggero rivelava che la bassa temperatura non disturbava affatto l’individuo di pelle azzurra.

«E così hai deciso di morire», contrastò esibendo indifferenza.

«Ho capito che la mia Danzatrice del Fuoco non è più viva», rispose Kirtn senza guardarlo.

«Ridicolo. Cosa te lo fa pensare?»

«Non abbiamo potuto scambiarci gli enzimi vitali».

Nello sguardo di Jal vi fu un’ombra d’incertezza. «Non sono ancora due giorni da quanto l’ho trasferita altrove. Di certo la tua sgualdrina può sopravvivere senza di te molto più a lungo».

Kirtn gli voltò le spalle ostentando d’ignorare la sua presenza, e con un moto di rabbia l’altro lo afferrò per un braccio. «Guardami in faccia quando ti parlo, schiavo!»

Kirtn notò che la mano dell’uomo era calda quanto quella di un Senyasi o di un Bre’n, eppure egli non pareva sensibile quanto loro agli effetti del freddo. Un’improvvisa riflessione lo fece fremere.

«Non l’avrai lasciata al freddo?», esclamò. «Il luogo dove l’hai rinchiusa è riscaldato o no?»

Jal si scostò, irritato. «Non sono affari tuoi, Peloso. Da quel che mi ha detto Dapsl, e da ciò che ricordo d’aver visto su Onan, so benissimo cosa succederebbe a metterla vicino a una sorgente d’energia. Dove si trova ora c’è soltanto pietra, e nulla a cui possa dar fuoco, neppure i suoi vestiti. Ma non morirà per così poco. Sono secoli che mettiamo gli schiavi in quella prigione».

«Non erano dei Senyasi!», ringhiò Kirtn.

Il Bre’n faticava a controllare il desiderio di agguantare Jal e spezzargli il collo. L’impulso di uccidere era così forte che riusciva solo a pensare al sangue, alla violenza, alla vendetta, e per un attimo seppe d’essere sulla soglia oltre la quale c’era il rez. Per calmarsi, inoltre, non era certo adatta la vista dei due orecchini che l’altro portava fin troppo in vista. Ne distolse lo sguardo.

«I Senyasi non sopportano bene il freddo», disse, con voce che solo la ferrea volontà di farsi capire tratteneva dal trasformarsi in un urlo. «Una temperatura che per voi è appena fresca, per lei può essere fatale. Mi hai sentito?»

Jal considerò con sospetto quell’affermazione. «Stai cercando di convincermi a mettere una fonte di energia nella sua cella, furbone? E poi solo gli Dei Gemelli sanno cosa saprebbe combinare quella ragazza».

Kirtn fischiò un ordine in Bre’n, e subito Lheket lasciò il fianco di Ilfn per venirgli accanto come se lo vedesse. Lui lo prese per una spalla. «Guarda il suo vestito e confrontalo col tuo».

Riluttante Signore Jal si decise a palpeggiare la stoffa con la sua mano bluastra. La smorfia seccata che esibiva s’incrinò, nel sentire che il giovinetto indossava ben tre abiti l’uno sopra l’altro. Esaminandogli una mano s’accorse che aveva la pelle d’oca per il freddo.

Resosi conto del motivo che vi era dietro il rifiuto di lavorare di Kirtn, s’accostò a Dapsl e lo rimproverò con parole che risuonarono incomprensibili quanto aspre, colpendolo ogni tanto con secchi ceffoni. La scena convinse ancor di più Kirtn che a Rheba stava accadendo il peggio. Al termine della breve strapazzata lo schiavo era ancor più purpureo in faccia e un tremito scuoteva le sue mani.

Jal gli volse le spalle. «Farò in modo che la ragazza abbia caldo quanto basta», dichiarò.

Gli occhi dorati di Kirtn lo fissarono fra ironici e sprezzanti, rivelandogli in quale conto teneva la sua promessa. «Sei così abituato a mentire, che una parola di verità ti brucerebbe la lingua».

L’individuo sibilò una bestemmia oscena, strappò la sferza neuronica a Dapsl e lasciò andare una frustata che colpì il Bre’n a un gomito. La peluria del suo braccio si rizzò, percorsa da un bagliore violetto, ma dalla bocca di lui non uscì un lamento. Imbestialito Jal lo colpì ancora due volte, è il solo risultato fu che sulla faccia di Kirtn si disegnò un sorriso duro. Il suo autocontrollo di Akhenet gli consentiva di sopportare ben altro.

Il Signore guardò la sferza come se dubitasse del suo funzionamento, poi la scaraventò fra i piedi di Dapsl maledicendo il giorno in cui aveva conosciuto le incorreggibili razze dei Bre’n e dei Senyasi.

«Devi rimetterti al lavoro. Esigo che stanotte siate tutti pronti!», urlò.

«Allora porta qui Rheba».

«Impossibile!»

Con un’alzata di spalle Kirtn tornò ad appoggiarsi al muro e incrociò le braccia. Non s’era aspettato di vederlo cedere così facilmente. Gli bastava che l’altro s’irritasse abbastanza da sbattere in cella anche lui … magari nella stessa cella di Rheba. Due corpi umani uniti insieme bruciano molta più energia che isolati, e altrettanta ne producono.

Malgrado il sorriso sempre più crudo e provocante del Bre’n, Jal restò impassibile. «Se te la lascio vedere, sei disposto a recitare a dovere questa notte davanti al Loo-chim?»

Kirtn finse di considerare poco soddisfacente quella proposta, ma aveva già preso la sua decisione. «Portami da lei», stabilì.

Jal staccò dalla cintura ingemmata un piccolo apparecchio fornito di minischermo, e con un tocco fece lampeggiare l’indicatore dell’ora. Poi sbuffò. «È già tardi. Fra poco più di un’ora dovrete scendere nel tunnel e tenervi pronti al vostro posto. Ma … va bene: ti concedo pochi minuti con lei».

«No. Voglio stare con Rheba fino al momento di andare in scena».

«Non forzare la mia pazienza».

«O accetti, o non vedrai nessuna Azione».

Jal gli indicò Ilfn, Lheket, gli J/taals e i clepts. «E tu manderesti a morte tutti loro pur di stare pochi minuti con quella kaza-flatch della malasorte?»

«Ti ho già risposto».

L’altro gettò uno sguardo a Dapsl, che distolse il viso, poi osservò i’sNara quasi che si aspettasse un parere da lei. L’illusionista aveva riassunto le sue vere sembianze al termine dell’ultima prova, perché Kirtn non tollerava di aver davanti agli occhi il simulacro di Rheba un secondo più del necessario.

«Potresti prendere il posto di tutti e due, i’sNara?», chiese Jal.

La donna mosse la mano sinistra nel gesto che fra gli Yhelle era come scuotere il capo. «O l’una o l’altro, Signore. Non entrambi. Però potresti chiamare f’lTiri».

Jal parve poco entusiasta. «f’lTiri è solo un Nono Grado. L’Azione dovrà essere perfetta, altrimenti il Loo-chim non me lo perdonerà mai». Si volse a Kirtn. «Sia come chiedi, Peloso. Ma se stanotte non sarai un dio del palcoscenico, l’alba che vedrai sorgere sarà l’ultima della tua vita».

Kirtn rise, una risata aspra e selvaggia che fece alzare in piedi Ilfn e spaventò Lheket. Il fischio della donna Bre’n, si levò ansioso a placare quel suono agghiacciante, e Jal guardò altrove a disagio. Per darsi in contegno l’individuo si aggiustò le maniche della preziosa tunica.

«Ti condurrò io stesso giù nella prigione. Non mi fido a lasciarti solo con una guardia. Camminerai davanti a me a testa china, come usano tutti gli schiavi allorché vengono condotti in cella per punizione».

Kirtn accennò di sì con aria docile, ma l’eco della sua terribile risata vibrava ancora nell’atmosfera. Quando Jal estrasse una pistola lancia-aghi e gli indicò la porta con un cenno dell’arma, uscì e lo precedette lungo il corridoio. Costretto a tenere il capo chino non poté vedere come avrebbe voluto i passaggi che attraversarono, ma fu abbastanza per farsene una mappa mentale. Voleva essere in grado di uscire dalla prigione con la massima rapidità.