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«Credo che non ci sia nulla da fare per lui», mormorò Kirtn.

«Non è morto», disse Rheba testardamente. «Anche prima era così, ma poi si è ripreso».

Lo Fssireeme seguitò a destare inanimato anche sotto la luce che lei aveva avvicinato al suo corpo, sebbene l’emanazione infrarossa fosse intensa, e Rheba chinò il capo con un ansito.

«Non abbiamo molto tempo, Danzatrice del Fuoco». La voce di Kirtn era dura, decisa. «Sei pronta?»

«Pronta per cosa?»

«Per il fuoco».

«Ma qui non c’è nulla da bruciare», obiettò lei.

«Ci sono io».

Quella risposta lasciò Rheba a bocca aperta, muta per l’incredulità. In piedi al centro della cella Kirtn attese, ma le Linee di Potenza di lei non accennarono a illuminarsi neppure un poco.

«Dovrai fondere i cardini, il catenaccio, oppure l’intera porta», disse freddamente lui in Senyas. «Il battente è spesso quasi un palmo, e ti occorrerà molto calore. C’è un solo modo per produrlo: usare il mio corpo e bruciarlo, trasformandolo in energia libera».

«No!», rifiutò lei, inorridita.

«Sai bene che non c’è scelta. Per uscire da questa porta ti serve energia. O questo, o morire entrambi».

«No!»

«Il tuo dovere di Akhenet è di sopravvivere, e di aiutare quel ragazzo a diventare adulto. Ilfn è gravida. A suo tempo avrai figli anche tu, e le nostre due razze non si estingueranno. Ma prima devi fuggire e vivere, Danzatrice del Fuoco, e questo significa che io devo sacrificarmi».

«Mai!» La parola Senyas era inequivocabile. Non conteneva ambiguità, non dava adito a dubbi o a possibilità di scelta, esprimeva un concetto assoluto. «Io non ti ucciderò mai!»

«Non sarà una gran tragedia, Danzatrice. Io sono già morto». Il tono di lui era tagliente come una lama di ghiaccio. «Ancora non capisci? Io sono condannato a morte, fin da quando mi sono unito a Ilfn. Era il tempo sbagliato … il tempo tuo e mio».

«Condannato … ma che stai dicendo?»

«Rez».

«No, non voglio crederlo».

La sua sola risposta fu un fischio dove vibravano tristi note di rifiuto, di rinuncia, di chiusura. Dapprima ella non comprese, poi si rese conto che erano le strofe di apertura della canzone Bre’n della morte. Lo fissò a occhi sbarrati, senza avvertire il bruciore delle lacrime che le avevano offuscato la vista. Avrebbe voluto trovare le parole per contraddirlo, per dimostrargli che aveva torto, e che non doveva lasciarsi consumare cellula per cellula dalla divorante energia esplosiva del rez. Avrebbe voluto gridare e supplicarlo, e pregare, ma sapeva che nello stato in cui era una parola sbagliata lo avrebbe precipitato ancor più in fretta verso il punto di rottura. Aveva bisogno di tempo per pensare ad escogitare un espediente, un piano, un’idea che le consentisse di evitare quel che Kirtn dava ormai per ineluttabile.

Ciò che Kirtn avrebbe voluto dirle era che la voleva fra le braccia, per amarla e fare dell’amore l’atto finale della sua vita. Ma se avessero fatto all’amore, né l’uno né l’altra avrebbero poi avuto la forza di fare quel che era necessario.

«Devi bruciare ogni singola fibra del mio corpo, e dirigere l’energia calorifica sulla porta. Poi uscirai. Ti nasconderai nel tunnel sotto l’anfiteatro e al momento di uscire in scena parteciperai all’Azione, per poter dare il segnale d’inizio della rivolta secondo il piano. Ci saranno due illusionisti Yhelle, e forse sarai costretta a uccidere la donna. In quanto all’uomo, se rifiuta di impersonarmi uccidi anche lui e sulla scena usa una mia immagine di energia. Al termine, lascia che sia M/Dere a dirigere la fuga. Gli J/taals apriranno la strada a te, a Ilfn e a Lheket fino all’astronave. Decolla immediatamente e passa in overdrive prima che cerchino di abbattervi».

Rheba tacque, perché non si fidava della sua voce. L’unica altra occasione in cui aveva visto Kirtn così rigido e duro era stato anni addietro, un mattino d’inverno su Deva, quando lui l’aveva strappata a forza dalle postazioni difensive mentre al pianeta restavano pochi minuti di vita.

«Desidero che tu adoperi tutta l’energia del mio corpo, e che di me non rimanga neppure cenere su questo sporco pavimento. Assorbine il sovrappiù per usarla come arma, nel caso che tu trovi guardie all’esterno».

La voce del Bre’n era così pacata che ella credette di avere un incubo. Come poteva considerare il suo corpo alla stregua di un pezzo di legna da ardere? Di nuovo fu sul punto di esplodere in una negazione rabbiosa, ma vide l’ombra del rez in attesa nel fondo dei suoi occhi d’oro e tacque. Tempo, cercò di dirsi, aveva bisogno di tempo.

Gli passò accanto e andò ad appoggiare le mani alla porta, liberando nel battente lievi correnti di energia. Il suo addestramento di Akhenet le consentì di leggere nel ritorno di quegli impulsi la struttura intima del metallo. Il catenaccio sul lato opposto era irraggiungibile, e i cardini profondamente incassati nella pietra. Lo spessore enorme di quella porta la sorprese e la scoraggiò, ma fu allora che nella sua mente balenò un’intuizione. Eccitata, e anche spaventata, sentì le Linee di Potenza sul suo corpo reagire e illuminarsi in tutta la loro estensione.

Quando si volse a Kirtn era certa di avere la soluzione in mano, ma era così incredibile e pericolosa che non si azzardò a parlargliene. Era qualcosa di mai tentato, eppure si fondava su un gioco da bambini che ella aveva fatto coi suoi coetanei nel tempo ormai lontano della sua infanzia su Deva. Toccami e prendi la mia energia se ci riesci, diceva il gioco. Ed ella avrebbe preso l’energia che lui le dava, risucchiandola e guidandola all’esterno, con la sola differenza che non sarebbe stata quella del suo corpo in fiamme. Era un’altra, e ben più terribile, l’energia che la giovane Danzatrice del Fuoco si proponeva di usare. E se non ce l’avesse fatta, si disse, sarebbero almeno morti insieme.

«Sono pronta», disse.

Si allontanò dalla porta finché fu con la schiena a contatto della parete opposta, poi se ne scostò di un passo e accennò a Kirtn che poteva mettersi dietro di lei. Il Bre’n le poggiò le mani sulle spalle, e subito un violento flusso di energia le percorse le membra facendo brillare come ruscelli d’oro le sue Linee di Potenza. Quando alzò le braccia e le puntò avanti, facendo tintinnare le catene, vide l’arabesco sotto la pelle pulsare al ritmo di due cuori, il suo e quello di lui.

Dieci lame di luce violetta le scaturirono dalle dita unendosi in un fascio che parve infilarsi nella porta, ma ella controllò con attenzione che il deflusso dai loro due corpi fosse minimo. Questo non era pericoloso, anzi rappresentava il normale sforzo lavorativo di due Akhenet collegati in coppia.

Kirtn sentì la sua forza svuotarsi nel corpo della ragazza, innescando il processo che doveva divenire fuoco nelle sue cellule. Ad occhi chiusi desiderò poterla stringere in un modo che non osava confessare neppure a sé stesso, almeno nell’istante finale. Ma era conscio della disciplina di Akhenet e del suo dovere. L’energia d’innesco che le stava dando non aveva cali né esitazioni. Sentì la temperatura della porta aumentare rapidamente, e i suoi occhi vuoti rifletterono come specchi la luminosità ultraterrena creata dalla Danzatrice del Fuoco. Aumentò il flusso dell’energia che le dava, sperando di vedere il metallo cominciare a fondersi in quei pochi attimi di vita che gli restavano.

Ma Rheba si oppose, bloccando quel sovrappiù. Le sue Linee di Potenza parvero espandersi, mentre gli rimandavano indietro energia in quello che era un chiaro rifiuto di lasciarlo morire. Con una sensazione di estraneità Kirtn si rese conto che avrebbe dovuto esser già consumato dalle fiamme senza calore del suo stesso corpo, e invece continuava a sentirvi vivo. Pur assorbendo la sua energia Rheba gliela restituiva quasi del tutto per altre vie, così sottilmente e astutamente che non se ne era accorto affatto. E la porta non accennava a fondersi, a dare via libera alla ragazza in pagamento del suo sacrificio. Solo allora comprese finalmente che questo era proprio quanto lei voleva. E con un grido terribile precipitò nel rez.