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Quel gesto le consentì di vederlo, perché le Linee di Potenza che ancora brillavano trasformavano le sue braccia in fonti di luce aurea. Anche il resto del suo corpo emanava un’identica luminosità, stupefacente e più intensa di quanto avesse visto su altri Danzatori del Fuoco. Seppe solo pensare che quell’incredibile arabesco di nuove linee le avrebbe dato molto prurito, poi i suoi sensi sfumarono nell’incoscienza.

Più tardi Kirtn riaprì gli occhi, e ciò che vide furono le linee dorate di Akhenet della ragazza risaltare nell’oscurità. Quando ebbe messo a fuoco lo sguardo su di lei, la sua mente lottava ancora contro un fatto incomprensibile quanto evidente: era vivo.

«Ma che cosa …» Tossì raucamente, poi fischiò: «Cos’è successo?»

«Eri andato in rez». Lei girò il volto a fissarlo. «Io ho danzato. Io … non so perché non siamo morti».

Sbigottito Kirtn le sfiorò la fronte e le guance. Sotto le sue dita le Linee di Akhenet pulsavano come una fitta maschera d’oro, al punto che la ragazza gli parve una persona diversa e irriconoscibile.

«Tu hai controllato il rez?», chiese sapendo che la domanda stessa era assurda. Ma non più assurda del fatto che lui era ancora vivo.

Quando Rheba tentò di rispondere, aveva la gola così secca che non ci riuscì. Poté solo stringersi a lui con un lieve gemito. Avrebbe voluto dirgli quanta paura aveva avuto, parlargli delle strane immagini che s’erano create in lui, del terribile fiammeggiare dell’energia contro cui aveva lottato, e del modo in cui l’aveva deviata verso la porta per evitare che distruggesse entrambi. Ma non ebbe la forza di aprir bocca.

«Un raggio laser di luce coerente … e tale da fondere lastre di acciaio spesse un palmo!», ansimò quasi Kirtn. Le carezzò i capelli crepitanti di energia. «Ma che demonio di Danzatrice del Fuoco mi sono trovato?»

Il suo fischiare era nitido, e conteneva le armoniche dello stupore che si scioglie alla rivelazione della verità. Non meno meravigliata Rheba s’accorse che il compagno aveva risposto ai suoi pensieri, captando quelle immagini dal suo cervello, quasi che l’accaduto avesse costruito un legame telepatico fra le loro menti.

«Hai sentito i miei pensieri … È stato il rez a fare questo?»

«No». La baciò dolcemente sulle labbra. «Molte coppie di Akhenet sono anche Danzatori della Mente di tipo inferiore. Ma solo quando sono adulti, e unicamente fra di loro, nei momenti in cui si toccano».

Sui loro corpi aleggiavano ancora correnti d’aria, e dai tunnel della prigione arrivava il freddo. Si alzarono a sedere, sorreggendosi a vicenda, e videro che in un angolo della cella qualcosa emetteva luce. Poi l’oggetto si srotolò, scivolando sul pavimento verso di loro, e sbalorditi riconobbero Fssa. Le sue scagliette rilucevano come specchi.

«Fssa!», gridò Rheba. «Santo cielo, sei vivo. Come stai?»

«Sssto benissimo!», sibilò il serpente, con un trillo di esultanza. Le sue scaglie sembravano cromate. «Nessun Fssireeme ha mai vissuto un’esperienza simile, dai tempi di Ssimmi … Mi sentivo come se nuotassi nel calore e non ero mai sazio di assorbirlo. Ero felice. Per così tanti anni ho avuto freddo. Tutti noi Fssireeme abbiamo sempre sofferto un po’ di freddo, da quando la nostra razza ha lasciato Ssimmi».

«Credo anch’io che ti sia scaldato ben bene», osservò Rheba.

«Era anche mio dovere. Quando ho capito che tu soffrivi il caldo, ho cominciato a nutrirmene. L’ho risucchiato via dall’aria, e specialmente da quel metallo fuso laggiù».

Rheba scambiò con Kirtn uno sguardo perplesso. Se era vero, questo spiegava il brusco e provvidenziale raffreddamento del locale.

«Aaaah!», esclamò il serpente. «È stato così bello che non mi sembrava vero. Sapete, finché non è veramente caldo noi Fissreeme sopportiamo e tiriamo avanti. Ma quel fuoco che tu hai fatto è stato fantastico. Piuttosto … devi star attenta a non esagerare, in posti così ristretti. Tu sei fragile, e non sempre ti capiterà d’avere accanto uno Fssireeme che ti protegga dal calore».

Rheba riuscì a ridere malgrado avesse la gola arida da far male. Lo tenne lontano con un gesto. «Fermati, serpente. Non vorrai venirmi fra i capelli, e dopo aver assorbito tutta quell’energia. È meglio che te ne lìberi, o dovrai seguirmi strisciando».

Per emettere il calore che aveva risucchiato nel suo corpo, lo Fssireeme fu costretto ad uscire dalla cella. Gli altri due sentirono provenire ondate d’aria calda dalla sala esterna, e poco dopo quando il serpente rientrò Rheba lo toccò per accertarsi che non scottasse. Fu mentre se lo rimetteva fra i capelli che tornarono a mancarle le forze, e Kirtn dovette sostenerla.

«Sono stanca morta, e ho sete», ansimò, appoggiandosi a lui ad occhi chiusi.

Kirtn tentò di trasmettere in lei un po’ della sua energia psicofisica, ma s’accorse che il rez l’aveva lasciato esausto. Erano entrambi fuori combattimento, distrutti dalla fatica, tuttavia non potevano restare lì.

«L’Azione», mormorò Rheba. «Da quanto tempo siamo qui?»

Kirtn aveva perso la cognizione del tempo e non rispose. Era impossibile sapere se la mezzanotte era ancora lontana, o se la rivolta era già scoppiata da un pezzo. Forse da lì a poco sarebbero scese nella prigione, delle guardie, per rinchiudervi qualche ribelle catturato. Sé fossero stati sorpresi, sfiniti com’erano, sarebbero stati due facili prede.

«Dobbiamo andare», stabilì il Bre’n. — Vacillando raggiunsero la porta, alla base della quale il battente metallico era una massa, appiattita ricoperta da una crosta fredda. Fuori c’era il buio, ma Rheba non tentò neppure di creare un po’ di luce. Non ce la faceva, così come non sarebbe riuscita a recitare sulla scena dell’Azione, né di attraversare la città per raggiungere la libertà con le sue gambe.

«Ho bisogno di energia», disse.

«Lo so. Ma dove puoi trovarne? Non nella zona chiusa, e neppure all’anfiteatro».

«Dimentichi il campo di forza. Devo prendere energia da quella sorgente, o tanto vale sdraiarci a terra e lasciarci uccidere».

Kirtn tacque, ma aveva stretto i denti. Se avessero voluto fuggire da Loo avrebbero dovuto rischiare la vita dell’unica persona che poteva dare figli a Rheba, perché la cupola dell’anfiteatro non sarebbe stata attivata che in caso di maltempo.

E ciò significava che Lheket avrebbe voluto danzare.

Capitolo 25

IL DANZATORE DELLA TEMPESTA

Quando raggiunsero il locale dove in quei giorni avevano lavorato e dormito, lo trovarono deserto. Rheba bevve e si lavò la faccia, poi indossò un abito fornito di cappuccio che Kirtn scovò nell’unico armadio.

«Tiratelo sulla faccia. Non nasconde le tue nuove Linee, ma tieni la testa bassa e le mani in tasca finché non troveremo gli altri», le disse.

Da lontano proveniva un rumore appena udibile, e Kirtn si volse innervosito verso la finestra. Non riuscendo a identificarlo scosse le spalle, ma il suono si ripeté ancora.

«Cos’è?», sussurrò Rheba.

«Non siamo distanti dall’anfiteatro. Potrebbe essere un applauso dei Loos, o qualcosa di simile».

«O le grida degli schiavi in rivolta».

«Assomigliava a un tuono», osservò Fssa fra i suoi capelli.

«Tuono? Ma è la stagione secca». Kirtn non li ascoltava più. Era tornato sulla soglia e sbirciava nel corridoio di destra, quello che portava al tunnel sotto l’anfiteatro. Le fece cenno di muoversi, e si avviarono in fretta per il passaggio male illuminato.

Pochi minuti prima, uscendo dalla prigione, il silenzio di Imperiapolis li aveva informati che la mezzanotte non era ancora scoccata. Gli edifici erario deserti. Cominciarono a vedere i primi schiavi quando il percorso scese sotto il livello del suolo, e ben presto si trovarono a passare fra centinaia di essi fittamente assiepati nel tunnel e nelle diramazioni secondarie. Dal loro atteggiamento capirono che le Azioni di cui facevano parte erano già state rappresentate da un pezzo. Apparivano stanchi, affamati e preoccupati. Nessuno prestò attenzione alla loro presenza. Avrebbero dovuto restare lì finché i loro nuovi padroni non fossero venuti a prenderli, e a differenza degli schiavi di Imperiapolis nessuno di loro sarebbe uscito nelle strade cittadine per celebrare l’Ora del Non-Tempo.