Выбрать главу

La fatica accumulata durante la fuga in quell’interminabile viale gli pesava addosso come un supplemento di accelerazione. Davanti ai suoi occhi balenavano forme di colore rosso dovute al sangue che gli affluiva alla rètina, e cercò di chiuderli. Ma perfino quel conforto gli fu negato, perché il peso delle palpebre era qualcosa di tremendo che gliele teneva spalancate a forza, mentre il Devalon schizzava via nel cielo come una meteora.

Pur senza patire troppo disagio, Rheba sentiva adesso la forte pressione del suo stesso corpo sull’imbottitura del sedile, e ogni più piccolo sfregamento della pelle su di esso le provocava dolore. Cercando di muoversi il meno possibile gettò un’occhiata a Kirtn, conscia della sua sofferenza. Avrebbe preferito che il compagno fosse svenuto come Jal, ma sapeva che a lui piaceva restare lucido. Come tutti quelli della sua razza, il Bre’n eira dotato di un notevole controllo psicofisico che gli consentiva di ignorare il dolore. Era una caratteristica indispensabile, senza la quale né loro né le giovani Senyasi. avrebbero potuto sopravvivere a quella che era l’adolescenza di una Danzatrice del Fuoco.

La striscia blu di un allarme pulsò su un monitor dell’apparato difensivo, con l’accompagnamento di una nota sonica così intensa che ella se la sentì nelle ossa. I suoi occhi corsero al reticolo del puntamento d’arma, dove i sensori automatici riportavano le immagini di tre puntini rossi: erano astronavi dei Sorveglianti uscite dall’orbita intorno ad Onan, e la loro rotta stimata puntava sul circoletto verde centrale che rappresentava il Devalon. Stavano già facendo convergere su di loro gli scandagli di puntamento dei laser da battaglia, in attesa di poter ridurre le distanze. Erano veloci, e quel che era peggio il calcolatore di bordo dava per certo che sarebbero riusciti ad averli a tiro prima che l’astronave potesse balzare in overdrive.

A quella constatazione, la ragazza provò un vuoto allo stomaco per lo sgomento. Stava già accelerando al massimo delle loro possibilità, e cominciava a risentirne l’effetto anche lei. Tenne le mani sui comandi dell’overdrive e cercò di schiarirsi la mente traendo lunghi respiri. Non poteva chiedere al Devalon più di quanto l’astronave stava già dando. E questo non era abbastanza.

Ad un tratto decise che doveva rischiare il tutto per tutto, e senza aspettare un secondo di più. Le sue mani tirarono indietro le lucide leve dell’overdrive. Era una pazzia tentare quella manovra a così breve distanza dal pianeta, il cui campo gravitazionale era ancora molto forte, e lo scafo reagì con un gemito di strutture che scricchiolavano. Un vero e proprio schiaffone scaraventò di lato la testa della ragazza, che gridò all’unisono con lo scafo torturato. Poi gli schermi parvero andare tutti fuori fase, e il Devalon fu sbalzato nello spazio non-dimensionale dell’overdrive.

Quando l’astronave si rimaterializzò nello spazio normale, a circa otto anni luce dal pianeta Onan, stava roteando furiosamente su sé stessa. Il balzo era stato brevissimo, e pur compiuto a caso li aveva portati oltre le possibilità d’avvistamento dei Sorveglianti, ma il vero miracolo stava nel fatto che il Devalon non si fosse spaccato in mille pezzi. Nel tempo di cinque minuti gli impianti automatici rimisero la nave in assetto, arrestandone la rotazione, poi si controllarono a vicenda e non trovando avarie informarono il pilota che poteva inserire i dati di una nuova rotta.

Ma nessuna mano si alzò a sfiorare la tastiera del computer di bordo. Sulla poltroncina imbottita Rheba giaceva rovesciata da un lato, con una mano incastrata fra le leve dell’overdrive e la testa ciondoloni. Dalla sua bocca un lento rivolo di sangue gocciolava sul pavimento della cabina silenziosa.

Capitolo 3

DESTINAZIONE LOO

Quando il ritorno della coscienza portò con sé il dolore, Kirtn gemette penosamente. Poi il ricordo di quant’era accaduto si fece strada nel groviglio dei suoi pensieri, e di colpo fu lucido ma, mentre si sganciava la cintura di sicurezza, gli parve che in tutte le. sue articolazioni fossero conficcati aghi roventi.

«Rheba …?»

Non ci fu risposta.

«Rheba, come ti senti?», fischiò con uno sguardo spaventato alla figura riversa sul posto di pilotaggio. «Rispondimi!»

S’inginocchiò davanti a lei e con delicatezza le sollevò la testa, sfiorando il collo in cerca delle pulsazioni delle arterie. Il cuore di lei palpitava debolmente, come un uccellino stanco di battere le ali. Era sanguinante, malconcia, e tuttavia ancora viva. Kirtn sospirò, stabilendo che era soltanto svenuta per il contraccolpo del balzo in overdrive. Un po’ di riposo nella cuccetta-utero le avrebbe risanato le ferite in breve tempo.

Per alcuni secondi il Bre’n non fece altro che toccare con la punta delle dita la vita che pulsava nelle vene della ragazza. I Sorveglianti erano stati molto vicini a distruggerli, lo sapeva com’era certo che avrebbero usato le armi senza esitare. Non s’era mai sentito così vicino alla morte, da quando il sole di Deva era sfuggito definitivamente al controllo degli Akhenets: i Danzatori del Fuoco, i Danzatori della Tempesta, i Danzatori della Terra,, i Danzatori dell’Atomo, i Danzatori della Mente … nessuno, mentre gli stessi Bre’n scivolavano nel rez, era stato in grado di deflettere il plasma infuocato che scaturiva dalla stella in esplosione.

Il lamento di Rheba che emergeva dall’inconscienza parve sottolineare i suoi ricordi angosciosi.

«Va tutto bene, Danzatrice», le mormorò. Poggiò le labbra su quelle ustionate di lei. «Sei riuscita a portarci fuori dalla bocca del drago, piccola».

«Ah, sì?», sussurrò ella. «Invece mi sento come il drago di cui parli mi avesse masticata ben bene». Aprì gli occhi del tutto. «La prossima volta sarà meglio lasciare che i Sorveglianti ci catturino».

Lui si passò la lingua sulle labbra che s’era morso a sangue, e sorrise. «Catturare una Danzatrice del Fuoco e il suo Bre’n? Nessuno può farcela contro di noi, bambina».

«Nessuno, salvo una stella che esplode», ansimò lei.

Gli occhi dorati del compagno si oscurarono un attimo. «Ce la fai a metterti seduta?»

Rheba si raddrizzò con un gemito, e la poltroncina sensibile si adattò alla nuova posizione del suo corpo. Ma quando appoggiò le mani ai braccioli le sfuggì un mugolio di dolore.

«Fammele vedere», ordinò Kirtn.

Con una smorfia lei gli porse le mani. Aveva vesciche sui polpastrelli, le palme ustionate, e le Linee di Potenza Akhenet erano un disegno livido sotto la pelle. Ma esse ora non terminavano più ai polsi: partendo dalla punta delle dita s’intrecciavano fin sugli avambracci, assottigliandosi e proseguendo in lunghe curve fino alle spalle.

Kirtn zufolò una nota di sorpresa, osservandola con improvvisa intensità. «Ma che diavolo è successo fra te e quei Sorveglianti?»

La ragazza fremette, al ricordo della disperazione che l’aveva invasa quando aveva temuto che quegli uomini uccidessero il suo Bre’n. Usò il dorso delle mani per strofinarsi leggermente le braccia.

«I raggi dei loro laser stavano per colpirti, e io … io dovevo fermarli. Ho cercato di deflettere l’energia di lato. Deflettere il fuoco … be’, non è forse questa la ragione di vita d’una Danzatrice del Fuoco?»

Lui annuì distrattamente, seguendo con un dito il tracciato delle nuove Linee di Potenza comparse sulle sue braccia.