I garzoni guardavano le fiamme impauriti. - Fate rinforzare quel gancio, monsignore! e forse il principio di causalità reggerà! - Così dicendo il filosofo si avviava alla porta insieme a Venafro.
- Splendida padella però! - diceva dandole un ultimo sguardo dalla soglia.
- Splendida davvero, - confermò Venafro. - E sarebbe un gran peccato che cadendo s'ammaccasse.
- Ma a che serve quel manico così lungo? - A far saltare le frittelle, - rispose Venafro. - Oggi stesso, credo, potrete vederla in funzione. È un bello spettacolo vedere i garzoni che sorreggono in due il manico e, dandosi il tempo con la voce, gettano verso l'alto la padella e fan saltare ciò ch'essa contiene.
Oggi si cuoceran frittelle, perché ho visto intridere farina di castagne con il latte.
- Voglio vedere questo spettacolo, - disse il filosofo avviandosi alla sua stanza.
Più tardi, quando già si avvicinava l'ora che aguzza negli stomaci l'appetito, Venafro bussò alla stanza del filosofo per avvertirlo di scendere se voleva vedere la padella in funzione. E fu davvero uno spettacolo superbo. La cucina era tutta illuminata da rami resinosi infissi nelle pareti e piena di gente in grande animazione. Un canto sonoro scandiva un ritmo ben marcato sottolineato a tratti da un altissimo "ohè". Due robusti garzoni con le braccia ignude reggevano per il manico la gran padella su un fuoco vasto e vivacissimo che altri stimolavano di continuo con lunghi arnesi di ferro. Altri due garzoni sbracciati come i primi attendevano di sostituire quelli che reggevano la padella in un alterno avvicendarsi. Il canto, cui tutti i servi della cucina davano voce, s'alzava assordante e ad ogni "ohè" scandito a piena gola i garzoni gettavano verso l'alto la padella e le frittelle roteavano nell'aria in uno scintillio di grasso ardente per ricadere capovolte nella medesima padella tra infiniti spruzzi scoppiettanti. Al canto si mescolavano le risa in un frastuono lieto ed assordante. Venafro e il filosofo, fermi sulla soglia, guardavano sorridendo la scena avvolta di fumo e di calore. L'abate Celorio sedeva al suo solito posto.
Quando, più tardi, in caldissimi vassoi di rame, le frittelle furono portate in tavola, i commensali si trovarono di fronte ad una vivanda di rara squisitezza. Il delicato dolce della polpa di castagne, sottolineato da grani di uva passita assai più intensamente dolci e dal severo sapore delle noci rotte in pezzi alquanto grossi, era coronato dall'esser fritto in strutto salato, che creava, col dolce, e contrasto ed intesa raffinata. Le frittelle caldissime furono servite con gran boccali di vino bianco frizzante e asprigno, freddo di neve, che, meraviglioso potere del vino, invece di raffreddare i corpi dei commensali li riscaldava ed eccitava ancor di più.
Tutti godettero a lungo di quell'insolita pietanza che sembrava saper vincere il freddo dell'inverno, il grigiore del cielo, la tristezza e la noia. E sia per la virtù della pietanza, sia per la gran virtù dell'allegrissimo vino, discorsi lieti s'intrecciavano lungo tutta la tavola, si scontravano e si sopraffacevano in un chiacchierio indistricabile e fitto di cui risonava, io credo, tutto il castello. E già la marchesa teneva in mano la limpida ampolla per mescere a tutti quell'acqua di vita che tanto beneficio fa, nel crudo inverno, e agli animi e ai corpi. Quand'ecco nella sala apparve, pallido, sbigottito, il paggio Irzio, e più che di consueto la sua lingua inciampava nelle parole.
- Madonna, monsignore... la padella...
Il duca s'alzò di scatto:
- La padella?
- La padella... monsignore... madonna... la padella... Poiché più oltre il giovinetto non poteva dire e quasi veniva a meno per l'affanno, Venafro lo fece sedere e con voce suadente lo calmò.
- Parla figliuolo; che ha fatto la padella? - La padella, monsignore... è caduta! - Oh! e si è ammaccata? dimmi, si è ammaccata? - Non lo so, monsignore; ma l'abate... ah, madonna, l'abate è morto! Allora d'un tratto si avvidero tutti che l'abate Celorio non sedeva a tavola coi commensali. Per la novità delle frittelle nessuno se n'era accorto.
- Morto? - interloquì il duca.
- Morto, monsignore, morto con la testa spaccata, là sulla panca, l'hanno trovato i garzoni, è stato il diavolo hanno detto, ci sono tanti diavoli nei camini, almeno mille, dicono i garzoni, e li hanno anche visti, che stavano tutti nascosti nella cenere, e poi saltavano su appena li toccavano con l'attizzatoio... - e in preda a una crisi di nervi il paggio si gettò ai piedi della marchesa e nascose il volto, singhiozzando, nel suo grembo. Mentre la marchesa cercava di calmare il paggio accarezzandogli la testa, il duca e Venafro si dirigevano alla cucina per vedere l'accaduto.
- Temo proprio che si sia ammaccata, monsignore, - diceva Venafro.
- Eh sì, - rispose il duca. - Peccato... la migliore padella dei Challant.
Alcuni giorni dopo, terminate le esequie del povero abate Celorio, che solenni furono al pari delle altre, anche se ormai sensibilmente era diminuito il numero delle voci che cantavano i salmi talché il duca, rivolto a Venafro, aveva detto durante la cerimonia: - Sapete, Venafro? Penso che dovremo chiamare dei coristi: i vuoti di voce cominciano ad essere molesti, - la stessa sera delle esequie il filosofo giaceva su un basso giaciglio col capo in grembo alla marchesa, e lei, chinando la testa sul volto di lui, diceva: - Dimmi, filosofo, perché devi partire? - Non lo so, marchesa; io non posso fermarmi.
Lei, in silenzio, gli accarezzò il volto. Lui le prese le mani e le baciò.
- Il tuo corpo è stato per me il centro dell'universo. Non mi importa chi sei. Mi basta che tu esista. Non m'importa che non possa amarti per tutta la vita; un po' più a lungo, forse, sarebbe bello... Ho sentito il tuo piacere come se fosse il mio, ho goduto del tuo piacere come del mio. Ho amato il tuo corpo come il mio.
Ora l'uomo stava in piedi e prendeva la destra di lei, e accostandola al suo viso la baciava, mentre lei, accostando al suo viso la mano di lui, nello stesso tempo la baciava.
- Come mai da qualche giorno si mangia così male in questa casa? - chiese il duca guardando madonna Camilla, che per essere la più anziana delle dame della marchesa fungeva da dispensiera e sovrintendeva alla cucina. Madonna Camilla sembrava aspettare quella domanda perché disse d'un fiato: - Giustappunto, è ora che si faccia qualche cosa. Come credete che si possa cucinare senza focolare? E i servi non vogliono più saperne di avvicinarsi al focolare. Ma che cosa devo fare se la signora marchesa dice che sono tutte sciocchezze e non vuole che si chiami l'esorcista? Il duca non realizzò molto da questa risposta ma si pentì immediatamente di averla provocata, perché si ricordò di colpo dello stato di conflittualità permanente in cui madonna Camilla viveva con tutte le altre donne del mondo, e in particolare con quelle che la sorte aveva messo sul suo cammino. A parte questa peculiarità del suo carattere che le dava quel particolare tono asprigno con cui parlava, taceva e viveva, era una bravissima donna e una dispensiera avveduta e per nulla al mondo la marchesa si sarebbe privata del suo aiuto. In modo particolare amava la cucina: si sarebbe detto che quella dolcezza e amorevolezza che le erano precluse in tutti gli altri campi del vivere, le riversasse lì, nel predisporre e allestire vivande, per cui teneva un gran libro, segretissimo e sottratto agli occhi di chicchessia, da cui traeva ispirazione per pranzi che voleva particolarmente raffinati e in cui andava scrivendo cose sue riservatissime intese a migliorare una vivanda già nota o a fissare nella memoria la composizione d'una nuova.
- Madonna Camilla vuol dirvi, - intervenne la marchesa, - che i garzoni da qualche giorno si rifiutano di sostare a lungo nella cucina, e soprattutto accanto al camino: devono aver sentito dire che nel camino albergano i diavoli e dopo la misteriosa morte del povero abate Celorio - Io l'ho detto più volte che bisogna far esorcizzare il camino; madonna però non vuol saperne, - disse secca la dama.