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«Non siamo abbastanza importanti» ripeté Siuan, sobbalzando goffa sulla sella. Forse temeva Bela, ma l’occhiata che rivolse a Logain diceva che la sfida alla sua autorità non sarebbe durata a lungo.

Per quanto la riguardava Min sperava che Bryne le considerasse irrilevanti, e forse era così. Finché non avesse scoperto i loro veri nomi. Logain fece accelerare il passo allo stallone e lei spronò Rosa Selvatica per adeguarsi, proiettando i pensieri al futuro e non al passato.

Infilando i guanti di pelle dietro la cintura, Gareth Bryne prese dallo scrittoio il cappello di velluto con le falde ripiegate. Il cappello era all’ultima moda di Caemlyn. Aveva provveduto Caralin, a lui non interessava la moda, ma la donna riteneva che dovesse vestire in modo adeguato alla posizione che ricopriva ed era lei la mattina a preparagli gli abiti di seta e velluto.

Mentre lo indossava vide il proprio riflesso in una delle finestre dello studio. L’immagine era tremolante e piccola. Per quanto strizzasse gli occhi, il cappello e la giubba grigi, con i ricami a spirali d’argento sulle maniche e il colletto, non assomigliavano affatto all’elmetto e all’armatura ai quali era abituato. Quella parte della sua vita era finita. E questo... Serviva a riempire le ore vuote. Tutto qui.

«Sei certo di volerlo fare, lord Gareth?»

L’uomo si voltò dalla finestra verso Caralin, in piedi di fianco alla propria scrivania, dall’altro lato della stanza. Era coperta dai libri contabili della tenuta. La donna l’aveva gestita per tutti gli anni in cui era stato via, e senza dubbio ancora faceva un lavoro migliore del suo.

«Se le avessi fatte lavorare per Admer Nem come vuole la legge» proseguì, «te ne saresti sbarazzato.»

«Ma non l’ho fatto» le rispose. «E non lo rifarei se ci fosse un nuovo processo. Lo sai bene quanto me. Nem e i suoi parenti maschi avrebbero provato a molestare quelle ragazze giorno e notte. Mentre Maigan e il resto delle donne avrebbero reso le loro vite come il Pozzo del Destino, se le ragazze non fossero cadute per sbaglio in un vero pozzo e annegate.»

«Nemmeno Maigan potrebbe usare un pozzo» osservò amaramente Caralin, «non con questo tempo. Comunque capisco il tuo punto di vista, lord Gareth. Ma ormai hanno avuto più di un giorno e una notte per scappare in qualsiasi direzione. Le troverai non appena lo decidi se emani l’ordine di cercarle. Se possono essere trovate.»

«Thad può farlo.» Thad aveva più di settant’anni, ma riusciva ancora a rintracciare il vento del giorno prima fra le pietre alla luce lunare ed era stato più che contento di lasciare il mattonificio al figlio.

«Se lo dici tu, lord Gareth.» Lei e Thad non andavano d’accordo.

«Be’, quando le riporterai indietro saprò cosa farne nella residenza.» Qualcosa nella voce della donna, per quanto fosse casuale, aveva catturato la sua attenzione. Un accenno di soddisfazione. Dal giorno del suo arrivo, Caralin aveva introdotto una sequenza di graziose cameriere e fattrici nella residenza, tutte volenterose e impazienti di aiutare il lord a dimenticare i suoi affanni. «Sono delle spergiure, Caralin. Temo che riserverò loro il lavoro nei campi.»

Una breve tensione esasperata nelle labbra della donna confermò i suoi sospetti, ma Caralin mantenne un tono di voce indifferente. «Le altre due forse, lord Gareth, ma la grazia della ragazza domanese sarebbe sprecata nei campi e servire a tavola andrebbe altrettanto bene. Una bella donna. Comunque naturalmente sarà fatto come desideri.»

Dunque era lei che Caralin aveva scelto. Davvero una donna bella e giovane. Anche se era insolitamente diversa dalle altre domanesi che aveva conosciuto. Un po’ esitante da un lato e troppo precipitosa dall’altro. Come se stesse provando le sue arti per la prima volta. Ma era impossibile. Le domanesi addestravano le figlie a manipolare un uomo fin dalla culla. Non che quella donna non avesse ottenuto alcun risultato, ammise. Se Caralin l’avesse aggiunta alle fattrici... Davvero una bella donna.

Ma allora perché non era suo il viso che gli riempiva la mente? Perché si ritrovava a pensare a degli occhi azzurri? Che lo sfidavano come se desiderassero che avesse una spada, spaventati ma che si rifiutavano di arrendersi alla paura. Mara Tomanes. Di sicuro quella era una donna che manteneva la parola data, anche senza giuramenti. «La riporterò indietro» mormorò. «Scoprirò perché non ha tenuto fede al giuramento.»

«Come dici tu, mio signore» rispose Caralin. «Ho pensato che sarebbe adatta a farti da cameriera personale. Sela sta diventando un po’ troppo vecchia per correre su e giù per le scale quando è al tuo servizio, la sera.»

Bryne batté le palpebre. Cosa? Oh. La ragazza domanese. Scosse il capo per la sciocchezza di Caralin. Ma lui stava comportandosi in maniera meno sciocca? Qui era il lord e doveva rimanervi a prendersi cura della sua gente. Eppure Caralin lo aveva fatto meglio in tutti questi anni. Lui conosceva i campi di battaglia, i soldati e le campagne, forse anche un po’ di intrighi di corte. Caralin aveva ragione. Doveva togliersi la spada e quello stupido cappello, far scrivere a lei le descrizioni e... Invece disse: «Tieni bene d’occhio Admer Nem e la sua gente. Cercheranno di imbrogliarti meglio che possono.»

«Come vuoi tu, mio signore.» Le parole erano perfettamente rispettose, ma il tono di voce gli suggeriva di andare a insegnare a suo nonno a tosare le pecore. Ridacchiando Bryne uscì.

La residenza era poco più di una fattoria eccessivamente grande, due piani di mattoni e pietra sotto a un tetto d’ardesia, rimpiazzata di volta in volta da generazioni di Bryne. La casata Bryne possedeva quella terra, o forse piuttosto il contrario, da quando Andor era stato ricostituito dopo la distruzione dell’impero di Artur Hawkwing, migliaia di anni fa; e per tutto quel tempo aveva mandato i suoi figli a combattere nelle guerre del regno. Adesso lui non avrebbe fatto altre guerre, ma era troppo tardi per la casata Bryne. C’erano stati troppi conflitti e troppe battaglie. Lui era l’ultimo discendente. Senza moglie, figli o figlie. La linea si estingueva con lui. Tutto aveva una fine e la Ruota del Tempo girava.

Venti uomini attendevano vicino a dei cavalli sellati in un cortile in pietra davanti alla tenuta. Uomini con i capelli anche più grigi dei suoi, se li avevano. Tutti soldati esperti, ex militari, comandanti e portabandiera che lo avevano servito in un momento o l’altro della sua carriera. Joni Shagrin, che era stato il primo portabandiera delle guardie della regina, era in prima fila con la testa bendata, anche se Bryne sapeva con certezza che le figlie avevano incaricato i nipotini di farlo restare a letto. Era uno dei pochi ad avere famiglia, qui o altrove. La maggior parte aveva scelto di venire a servire Gareth Bryne piuttosto che bersi le pensioni pensando a un passato che nessun altro, tranne un vecchio soldato, era disposto a sentire.

Tutti avevano delle spade sopra le giubbe e pochi portavano lunghe lance dalle punte d’acciaio rimaste appese a una parete per anni fino a quella mattina. Dietro ogni sella era avvolta una coperta e bisacce piene, pentole, bollitori e qualche borraccia, come se stessero partendo per una campagna invece che per una spedizione di una settimana a caccia delle tre donne che avevano incendiato il fienile. Era la possibilità di rivivere i vecchi giorni, o almeno far finta.

Si chiese se fosse questo che lo turbava. Era certamente troppo vecchio per andare appresso agli occhi graziosi di una donna abbastanza giovane da essere sua figlia. Forse anche sua nipote. Non sono così sciocco, si disse con fermezza. Caralin poteva lavorare meglio senza lui fra i piedi.

Un magro castrone dinoccolato galoppò lungo il viale di querce che portava alla strada e il cavaliere smontò di sella prima che l’animale si fermasse del tutto. L’uomo quasi inciampò, ma riuscì a portarsi i pugni al petto per il saluto. Barim Halle, che aveva servito al suo comando come capo squadrone anni fa, era duro e nodoso, calvo e con delle sopracciglia bianche che sembravano voler fare ammenda per la mancanza di capelli.