«Andate in pace» disse Rand allungando una mano. Al’Thor. Sì, Rand al’Thor. «Io non vi farò del male, ma potreste essere comunque colpiti se rimanete.»
Gli occhi castani della donna rotearono. Sarebbe svenuta sul posto se l’uomo non l’avesse afferrata con le labbra sottili che si muovevano veloci, come se stesse pregando senza però riuscire a pronunciare le parole.
Rand volse gli occhi nella stessa direzione in cui stava guardando l’uomo. Aveva allungato abbastanza la mano e la testa del drago dalla criniera dorata era in vista. «Non vi farò del male» disse proseguendo e lasciandoli dov’erano. Doveva prendere Ravhin. Doveva ucciderlo. E poi?
Nessun rumore tranne quello degli stivali contro le mattonelle. In fondo alla testa un mormorio debole e addolorato che parlava di Ilyena e di perdono. Si sforzò per captare Rahvin che incanalava, per sentire l’uomo colmato dalla Vera Fonte. Nulla. Laidi gli ustionava le ossa, gelava la carne, raschiava l’anima, ma senza era difficile vedere se non quando eri molto vicino. Un leone fra l’erba alta gli aveva detto una volta Asmodean. Un leone rabbioso. Asmodean era fra quelli che non avrebbero dovuto morire? O Lanfear? No, non...
Ebbe solo un momento di preavviso per lanciarsi a terra, un momento infinitesimale fra il percepire i flussi intessuti improvvisamente e una barra di luce bianca spessa come un braccio, fuoco liquido che tagliò il muro, ondeggiò come una spada nel punto in cui si era trovato il torace di Rand. Dal punto in cui era partita la barra, da entrambi i lati del corridoio, mura e fregi, porte e arazzi cessarono di esistere. Pezzi recisi di muro e blocchi di pietra, pezzi di intonaco, ricaddero al suolo.
Era la paura che avevano i Reietti di usare il fuoco malefico. Chi glielo aveva detto? Moiraine. Lei certamente meritava di vivere.
Il fuoco malefico lasciò le mani di Rand, un’asta bianca e brillante che venne scagliata nel punto di origine dell’altra svanì mentre colpiva il muro, lasciando un’immagine purpurea che gli ondeggiava davanti agli occhi. Rand rilasciò il flusso. Aveva finalmente avuto successo?
Alzandosi in piedi incanalò Aria, spalancando le porte rovinate con tale forza da scardinarle. La stanza era vuota. Una sala delle udienze, con sedie disposte davanti a un grande camino di marmo. Il fuoco malefico di Rand aveva rimosso un pezzo di arco che conduceva in un piccolo cortile con una fontana e un pezzo di colonna scanalata lungo il passaggio laterale.
Rahvin non era andato da quella parte e non era morto nell’esplosione. Nell’aria permaneva un residuo, resti di saidin che svanivano. Rand lo riconobbe. Diverso dal passaggio che aveva creato per il volo aleggiato fino a Caemlyn, o quello per Viaggiare — adesso sapeva cosa aveva fatto — nella stanza del trono. Ma ne aveva visto uno simile a Tear, ne aveva fatto uno anche lui.
Adesso ne stava creando un altro. Un passaggio, un’apertura, un buco nella realtà. Dall’altro lato non vi era oscurità. Non aveva saputo che il passaggio fosse lì se non avesse visto la tessitura, forse non se ne sarebbe accorto. Davanti a lui c’erano gli stessi archi che davano sullo stesso cortile con la fontana, il medesimo passaggio affiancato da colonne. Per un istante i tagli netti nell’arco e colonna causati dal fuoco malefico tremolarono, si riempirono, quindi tornarono a essere buchi. Ovunque quel passaggio conducesse, era in un altro luogo, un riflesso del palazzo reale come una volta era stato il riflesso della Pietra di Tear. Rimpianse vagamente di non averne parlato con Asmodean quando ne aveva avuto l’opportunità, ma non era mai stato in grado di parlare di quel giorno con nessuno. Non importava. Quel giorno aveva avuto Callandor, ma l’angreal che aveva in tasca aveva già dimostrato di essere abbastanza per dare la caccia a Rahvin.
Entrandovi velocemente rilasciò il flusso e corse nel corridoio mentre il passaggio svaniva. Rahvin avrebbe percepito l’apertura se fosse stato abbastanza vicino e vi avesse provato. Il piccolo uomo grasso di pietra non significava che poteva restarsene fermo ad aspettare di essere attaccato.
Nessun segno di vita, tranne lui e una mosca. Anche a Tear era stato lo stesso. Le lampade nel corridoio erano spente, con gli stoppini chiari che non avevano mai visto la fiamma, eppure anche in quello che avrebbe dovuto essere il corridoio più scuro, c’era luce, proveniente da ovunque e da nessun luogo. A volte quelle lampade si muovevano, insieme ad altri oggetti. Fra uno sguardo e l’altro un’alta lampada poteva muoversi di trenta centimetri, un vaso in una nicchia di qualche centimetro. Piccole cose, come se qualcuno le avesse spostate mentre distoglieva lo sguardo. Qualsiasi cosa fosse, era uno strano luogo.
Gli venne in mente, mentre correva sotto al colonnato cercando di captare Rahvin, che non aveva più sentito la voce che si lamentava per Ilyena da quando aveva incanalato il fuoco malefico. Forse era riuscito a cacciare via Lews Therin.
Meglio. Si fermò ai limiti di uno dei giardini del palazzo. Le rose e i cespugli di stelle bianche sembravano soffrire per la mancanza d’acqua proprio come nel mondo reale. Su alcune delle guglie bianche che si elevavano al di sopra dei tetti garriva la bandiera con il leone bianco, ma potevano cambiare in un baleno. Bene, se vuol dire che non devo condividere la testa con...
Si sentiva strano, incorporeo. Sollevò un braccio e lo fissò. Poteva vedere il giardino attraverso di esso, come fosse fatto di nebbia. Stava dissolvendosi. Quando guardò si accorse di poter vedere la pavimentazione attraverso se stesso.
No! Non era stato un suo pensiero. Un’immagine incominciò a consolidarsi. Un uomo alto con gli occhi scuri e il volto con espressione preoccupata, fra i capelli più bianco che nero. Io sono Lews Ther...
Sono Rand al’Thor, pensò. Non sapeva cosa stesse accadendo, ma il debole Drago incominciava a svanire dal braccio nebbioso che teneva davanti a sé. Il braccio incominciò a scurirsi, le dita ad allungarsi. Io sono io, si disse. Echeggiò nel vuoto. Io sono Rand al’Thor.
Lottò per creare l’immagine mentale di se stesso, faticò per creare l’immagine di quello che vedeva ogni giorno mentre si radeva, quello che vedeva nello specchio quando si vestiva. Era una lotta frenetica. Non si era mai guardato bene. Non lo aveva mai fatto con attenzione. Le due immagini si sovrapposero e scemarono, il vecchio uomo con gli occhi scuri e il giovane con quelli grigio azzurri. Lentamente quella del giovane si rafforzò e quella del vecchio si indebolì, le braccia ripresero consistenza. Le sue braccia, con i Draghi avvolti su di esse e gli aironi marchiati sui palmi. Vi erano stati momenti in cui aveva odiato quei marchi, ma adesso, anche rinchiuso nel vuoto, quasi sorrise nel vederli.
Perché Lews Therin aveva cercato di prendere il sopravvento? Per infilare lui dentro Therin. Era sicuro dell’identità corretta di quell’uomo dal volto sofferente. Perché adesso? Perché in questo posto poteva farlo, qualsiasi luogo fosse? Aspetta. Era stato Lews a gridare quel no inflessibile. Non un attacco da parte di Lews Therin, ma di Rahvin, senza usare il Potere. Se l’uomo avesse potato farlo a Caemlyn, lo avrebbe fatto. Doveva essere una capacità che aveva sviluppato in quel posto. E se l’aveva sviluppata Rahvin, forse lo aveva fatto anche lui. L’immagine di se stesso era stata quella che lo aveva trattenuto, che lo aveva riportato indietro.
Si concentrò sul più vicino cespuglio, un oggetto alto una spanna e lo immaginò svanire, diventare nebbioso. Obbedientemente, svanì, ma non appena l’immagine mentale che aveva formato si ridusse a nulla, il cespuglio di rose riapparve improvvisamente, nella forma originaria.
Rand annuì freddamente. Quindi c’erano dei limiti. C’erano sempre limiti e regole e quelli vigenti in quel luogo non li conosceva. Ma conosceva il Potere, quanto Asmodean gli aveva insegnato e quanto aveva imparato da solo, saidin ancora lo colmava, tutta la dolcezza della vita, tutta la corruzione della morte. Rahvin doveva averlo visto attaccare. Con il Potere dovevi vedere qualcosa per influire su esso, o sapere esattamente dove si trovava rispetto a te, fino al millesimo. Forse qui era diverso, anche se non ne era convinto. Desiderava quasi che Lews Therin non si fosse nuovamente zittito. L’uomo forse conosceva questo posto e le sue regole.