«Capisco» fu la risposta atona. «Hai preso Caemlyn. Ho sentito dire che Tear è tua e lo sarà presto anche Cairhien, se non è già successo. Intendi conquistare il mondo con i tuoi Aiel e l’esercito di uomini che incanalano il Potere?»
«Se devo» rispose Rand altrettanto atono. «Qualsiasi governante o alleato sarà per me il benvenuto, finché mi accetterà allo stesso modo, ma sino a ora non ho visto che manovre per ottenere il potere, oppure aperta ostilità. Lord Bashere, a Tarabon e Arad Doman regna l’anarchia e non lontano dalle due nazioni, a Cairhien. L’Amadicia mira ad Altara. I Seanchan — potresti aver sentito delle voci anche riguardo loro in Saldea, le peggiori probabilmente sono vere — dall’altro lato del mondo ci guardano tutti con avidità. Uomini che combattono le loro insignificanti battaglie personali con Tarmon Gai’don all’orizzonte. Abbiamo bisogno di pace. Prima che giungano i Trolloc, prima che il Tenebroso si liberi, ci serve tempo per prepararci. Se il solo modo in cui posso ottenere tempo e pace per il mondo è l’imposizione, lo farò. Non voglio, ma lo farò.»
«Ho letto il Ciclo Karaethon» rispose Bashere. Infilandosi i calici sotto al braccio per un momento, ruppe il sigillo di cera sulla brocca e li riempì di vino. «Cosa più importante, anche la regina Tenobia ha letto le Profezie. Non posso parlare per Kandor, Arafel o lo Shienar. Credo che si schiereranno dalla tua parte, anche i bambini nelle Marche di Confine sanno che l’Ombra aspetta nella Macchia per discendere su di noi, ma non posso parlare per loro.» Enaila guardò sospettosa il calice, ma salì le scale e lo passò a Rand. «In verità» continuò Bashere, «non posso nemmeno parlare per la Saldea. La governante è Tenobia, io sono solo il suo generale. Ma penso che, una volta inviato un messaggero veloce da lei, la risposta sarà che la Saldea marcia con il Drago Rinato. Nel frattempo ti offro i miei servigi e quelli di novemila soldati di cavalleria della Saldea.»
Rand fece roteare il calice fissando il vino rosso scuro. Sammael a Illian e altri Reietti la Luce sola sapeva dove. I Seanchan che aspettavano oltre l’oceano Aryth e uomini pronti a scattare per il proprio interesse, qualunque costo fosse costretto a pagare per il mondo. «La pace è ancora molto lontana» sussurrò Rand. «Ancora per qualche tempo tutto sarà sangue e morte.»
«È sempre così» rispose sereno Bashere, ma Rand non sapeva quale delle frasi stesse commentando. Forse si riferiva a entrambe.
Infilandosi l’arpa sotto braccio Asmodean si allontanò da Mat e Aviendha. Gli piaceva suonare, ma non per le persone che non ascoltavano e nemmeno apprezzavano. Non era certo di quanto fosse accaduto quella mattina, nemmeno di volerlo sapere. Troppi Aiel si erano sorpresi quando era apparso, sostenendo di averlo visto morto. Asmodean non desiderava conoscere i dettagli. Nel muro davanti a lui c’era uno squarcio profondo. Sapeva cosa aveva creato quei bordi precisi, le superfici levigate come ghiaccio, più lisce di quanto qualsiasi mano avrebbe potuto renderle in cento anni.
Pigramente, ma anche con un brivido, si chiese se essere rinato a questo modo facesse di lui un uomo nuovo. Non credeva. L’immortalità l’aveva perduta. Era un dono del Sommo Signore. Usava il nome solo nella sua testa, qualsiasi cosa domandasse al’Thor. Era una prova sufficiente a dimostrare che era ancora se stesso. L’immortalità era svanita — sapeva che era solo frutto di immaginazione, ma a volte sentiva il tempo trascorrere, trascinandolo verso una tomba in cui non aveva mai pensato di scendere — e attingere il poco saidin cui riusciva ad accedere era come bere acque di scarico. Non gli dispiaceva che Lanfear fosse morta. Nemmeno che fosse morto Rahvin, ma in particolare Lanfear, per quello che gli aveva fatto. Avrebbe riso quando fossero morti anche gli altri, per sempre. Non era rinato come un uomo nuovo, ma sarebbe rimasto appeso a quel ciuffo d’erba sul bordo precipizio per tutto il tempo che poteva. Prima o poi le radici avrebbero ceduto e la sua sarebbe stata una caduta interminabile, ma fino ad allora era ancora vivo.
Aprì una porticina con l’intenzione di cercare la strada per la dispensa. Doveva esserci del vino decente. Fece un passo e si fermò, pallido in viso. «Tu? No!» Le sue parole erano ancora sospese nell’aria quando la morte lo colse.
Il sudore imperlava il volto di Morgase, che si rimise il fazzoletto nella manica e sistemò di nuovo il cappello di paglia logoro. Almeno era riuscita a comperare un abito da cavallo decente, anche se la delicata lana grigia non era confortevole con quel caldo. Per la verità era Tallanvor che lo aveva acquistato. Lasciando andare il cavallo al passo osservò l’alto giovane che cavalcava fra gli alberi. Le rotondità di Basel Grill mettevano in risalto l’altezza di Tallanvor. Le aveva dato il vestito dicendole che le stava meglio di quella cosa pruriginosa con la quale era fuggita da palazzo, guardandola dall’alto, senza mai battere ciglio, senza mai dire una parola rispettosa. Lei per prima aveva deciso che non era prudente che tutti sapessero chi fosse, specialmente dopo aver scoperto che Gareth Bryne aveva abbandonato la Sorgente di Kore. Perché l’uomo aveva deciso di andare a caccia di incendiarie di fattorie quando aveva bisogno di lui? Non importa. Se la sarebbe cavata altrettanto bene senza. Ma c’era qualcosa che la disturbava negli occhi di Tallanvor quando la chiamava semplicemente Morgase.
Sospirando si voltò indietro. Il grosso Lamgwin cavalcava scrutando la foresta, Breane al suo fianco lo guardava come tutto il resto. Il suo esercito non era cresciuto dopo Caemlyn. In troppi avevano sentito parlare di nobili in esilio senza alcun motivo e di leggi ingiuste nella capitale per limitarsi a ridere al minimo accenno di intervento a sostegno della legittima governante. Dubitava che, se anche avessero saputo chi era a rivolgersi loro, questo avrebbe fatto la differenza. Adesso stava attraversando Altara, rimanendo il più possibile nella foresta perché sembrava che ovunque vi fossero gruppi di uomini armati; cavalcava in compagnia di un uomo di strada sfregiato, una donna esaltata che era fuggita da Cairhien, un grosso locandiere che non poteva fare a meno di inchinarsi ogni volta che lo guardava e un giovane soldato che a volte la fissava come se indossasse uno degli abiti che piacevano a Gaebril. E naturalmente Lini. Non c’era modo di dimenticarsi di Lini.
Come se quel pensiero ne avesse evocato la presenza, la vecchia nutrice si avvicinò. «Meglio se tieni gli occhi avanti» disse con calma. «Un giovane leone attacca rapidamente e quando meno te lo aspetti.»
«Credi che Tallanvor sia pericoloso?» chiese dura Morgase. Lini la guardò di traverso, soppesandola.
«Solo nel modo in cui ogni uomo può esserlo. Ha una piacevole figura, non trovi? Molto alto. Mani forti, mi pare. Non serve a nulla lasciare che il miele invecchi troppo prima che te lo mangi.»
«Lini» disse Morgase per avvisarla. La vecchia donna aveva fatto di queste allusioni troppo spesso negli ultimi tempi. Tallanvor era un uomo attraente, le mani sembravano forti e aveva dei bei polpacci, ma era giovane e lei era una regina. Meno che mai aveva bisogno di incominciare a guardarlo come un uomo invece che come un sottoposto e un soldato. Stava per dire tutto questo a Lini, e che aveva perso il buon senso se pensava che lei si sarebbe messa con uno di dieci anni più giovane del figlio più piccolo, ma Tallanvor e Gill si voltarono. «Fai silenzio, Lini. Se metti stupide idee in testa a quel ragazzo, ti lascerò da qualche parte.»
Per come sbuffò, qualsiasi nobile di Cairhien avrebbe inflitto a Lini un periodo di punizione da trascorrere in una cella per meditare. Se Morgase avesse ancora avuto un trono, lo avrebbe fatto.
«Sei certa di volerlo, fanciulla? Sarebbe troppo tardi poi per cambiare idea, una volta che salti dalla scogliera.»