Mat annuì mentre faceva scivolare il pugnale in una delle custodie nascosta sotto la manica. Era come quella volta che aveva ottenuto sei per ventitré volte di seguito. Non poteva fargliene una colpa. Essere fortunato non era tutto. Notò con un po’ di invidia che nessun Aiel barcollava mentre si univano alla folla in partenza.
Passandosi una mano fra i capelli Mat si sedette pesantemente sul bordo della fontana. I ricordi che una volta gli avevano affollato la testa come uvetta in una torta adesso erano mescolati ai suoi. In una parte della mente sapeva di essere nato nei Fiumi Gemelli ventitré anni prima, ma poteva anche ricordarsi con chiarezza che aveva guidato l’attacco laterale che aveva sconfitto i Trolloc a Maighande e ballato alla corte di Tarmandewin, più un centinaio di altre cose, migliaia. Per la maggior parte erano battaglie. Rammentava di essere morto più volte di quanto gli piacesse ricordare. Non c’erano separazioni fra queste vite ormai. Non poteva distinguere i propri ricordi da quelli degli altri a meno che non si concentrasse.
Allungandosi raccolse il cappello mettendoselo in testa e si appoggiò la strana lancia sulle gambe. Invece di una ordinaria punta, c’era qualcosa che somigliava a una lama di spada lunga sessanta centimetri, marchiata con una coppia di corvi. Lan gli aveva spiegato che quella lama era stata forgiata con l’Unico Potere durante la Guerra dell’Ombra, la Guerra del Potere. Il Custode sosteneva che non avrebbe mai avuto bisogno di essere affilata e che non si sarebbe mai spezzata. Mat non voleva provarlo a meno che non fosse necessario. Forse era durata tremila anni, ma si fidava poco del Potere. Lungo il manico nero erano incise delle scritte precedute e chiuse da un corvo, intarsiate con uno strano metallo anche più scuro del legno. Erano nella lingua antica, ma naturalmente adesso poteva leggerla.
In fondo all’ampia strada, a circa un chilometro di distanza, c’era una piazza che nella maggior parte delle città sarebbe stata definita grande. I commercianti aiel erano andati via per la notte ma i padiglioni erano ancora là, della stessa lana grigiastra delle tende aiel. A centinaia erano giunti nel Rhuidean da ogni angolo del deserto per la fiera più grande che gli Aiel avessero mai visto, e altri ne giungevano ogni giorno. Erano stati i primi a iniziare a vivere in città.
Mat non voleva guardare nell’altra direzione, verso la grande piazza. Poteva vedere il profilo dei carri di Kadere che attendevano un ulteriore carico per il giorno seguente. Quel che sembrava una soglia ritorta di granito vi era stata caricata la notte. Moiraine si era accertata con particolare cura che venisse sistemata bene.
Non avrebbe chiesto cosa sapesse della soglia. Meglio che si dimenticasse che fosse vivo, anche se. la possibilità era ridotta, ma qualsiasi cosa conoscesse, Mat era certo di saperne di più.
Lui l’aveva attraversata, uno sciocco alla ricerca di risposte. Ciò che invece aveva ottenuto era una testa piena di ricordi di altri uomini. Quello e la morte. Strinse la sciarpa attorno al collo. E altre due cose. Un medaglione d’argento con incisa una testa di volpe che portava sotto alla camicia e l’arma che aveva sulle ginocchia. Una piccola ricompensa. Fece scorrere leggermente le dita sopra la scritta. Le memorie non scompaiono mai, riportava. Quei tipi dall’altro lato della soglia avevano un senso dell’umorismo che andava bene per gli Aiel.
«Puoi farlo sempre?»
Mat voltò la testa di scatto per osservare la Fanciulla che si era seduta vicino a lui: Alta anche per un’Aiel, forse più alta di lui, aveva i capelli biondo oro e gli occhi azzurri come il cielo del mattino. Era più grande di lui, forse di dieci anni, ma questo non lo aveva mai frenato. Però era Far Dareis Mai.
«Mi chiamo Melindhra» proseguì «della setta Jumai. Puoi farlo sempre?»
Mat capì che alludeva al lancio del pugnale. La donna aveva dichiarato la setta di appartenenza ma non il clan. Gli Aiel non lo facevano mai, a meno che... doveva essere una delle Fanciulle shaido venute per unirsi a Rand. Mat non capiva bene tutta questa faccenda delle società, ma ricordava gli Shaido che avevano cercato di trapassarlo con una lancia, come Rand. A Couladin non piaceva nessuno che fosse associabile a Rand e quello che odiava Couladin lo odiavano anche gli Shaido. D’altro canto Melindhra era venuta nel Rhuidean. Una Fanciulla. La donna aveva sul viso un lieve sorriso e nello sguardo c’era una luce invitante.
«La maggior parte delle volte» rispose sinceramente Mat. Anche quando non l’avvertiva, la fortuna era dalla sua parte. Quando la percepiva tutto era perfetto. Melindhra proruppe in un sorriso che si allargò come se pensasse che stesse vantandosi eccessivamente. Le donne sembravano decidere se stavi mentendo o meno indipendentemente dalle prove. Ma in fondo se piacevi loro non importava, oppure credevano vera anche la bugia più oltraggiosa.
Le Fanciulle erano pericolose, indipendentemente dal clan di appartenenza — aveva imparato che tutte le donne lo erano — ma gli occhi di Melindhra non stavano guardando lui.
Mat estrasse dagli oggetti vinti una collana di spirali d’oro, ognuna con uno zaffiro blu incastonato nel centro, il più grande della misura del pollice della sua mano. Riusciva a ricordarsi di un tempo — i suoi ricordi — in cui la più piccola di queste pietre avrebbe rappresentato la sua fortuna.
«Si intonano bene con i tuoi occhi» disse, mettendole fra le mani la pesante collana. Non aveva mai visto una Fanciulla indossare qualsiasi tipo di bigiotteria, ma l’esperienza gli aveva insegnato che a ogni donna piacevano i gioielli. Stranamente apprezzano i fiori quasi allo stesso modo. Mat capiva gli esseri femminili anche meno della sua fortuna, o di quanto fosse accaduto dall’atro lato della soglia ritorta.
«Davvero un bel lavoro» rispose la fanciulla tenendola in mano. «Accetto la tua offerta.» La collana scomparve nel sacchetto appeso alla cintura e Melindhra si protese in avanti per spostare il cappello di Mat. «Hai dei begli occhi, come quelle pietre chiamate occhio di tigre.» Si voltò per sollevare i piedi e appoggiarli sul bordo della fontana, avvolgendo le braccia attorno alle gambe e studiandolo attentamente. «Le mie sorelle di lancia mi hanno raccontato di te.»
Mat sistemò di nuovo il cappello e la guardò sospettoso da sotto alle falde. Cosa le avevano detto? E di quale ‘offerta’ stava parlando? Era solo una collana. L’invito era scomparso dagli occhi della donna, adesso sembrava un gatto che contemplava un topo. Questo era il problema con le Fanciulle della Lancia. A volte era difficile capire se volevano ballare con te, baciarti o ucciderti.
La strada stava svuotandosi e le ombre crescevano, eppure Mat riconobbe Rand che procedeva lungo la via con la pipa fra i denti. Era probabilmente il solo uomo del Rhuidean che se ne andava in giro accompagnato da un capannello di Far Dareis Mai. Sono sempre intorno a lui, pensò. Gli fanno la guardia come un branco di lupe, pronte a eseguire qualsiasi suo ordine. Alcuni uomini forse lo avrebbero invidiato, almeno per questo. Non Mat. Per la maggior parte delle volte. Se fosse stato un branco di ragazze come Isendre, allora...
«Scusami un momento» si rivolse in fretta a Melindhra. Appoggiando la lancia al bordo della fontana saltò fuori e incominciò a correre. La testa gli ronzava ancora, ma non forte come prima e non barcollava. Non si preoccupava nemmeno delle sue vincite. Gli Aiel avevano una visione molto precisa di cosa fosse permesso; prendere durante un’incursione era un conto, il furto tutta un’altra cosa. Gli uomini di Kadere avevano imparato a tenere le mani in tasca da quando uno di loro era stato colto a rubare. Dopo una fustigazione che gli aveva portato via la pelle dalle spalle ai talloni, era stato allontanato. La sola borraccia che gli era stato permesso di tenere con sé non sarebbe bastata per raggiungere il Muro del Drago, anche se avesse avuto addosso gli abiti. Adesso gli uomini di Kadere non avrebbero raccolto una moneta di rame abbandonata in terra.