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Molte si chiedevano perché Elaida avesse riesumato quel trittico dai magazzini dove giaceva coperto di polvere. Anche se nessuna ne parlava apertamente, sentiva le chiacchiere. Non capivano la necessità di quella rappresentazione del prezzo da pagare in caso di fallimento.

Il secondo dipinto era all’ultima moda, su tela, una copia di un artista di strada del lontano Occidente. Quello metteva ulteriormente a disagio le Aes Sedai che lo guardavano. Due uomini che combattevano fra le nuvole, apparentemente sospesi in cielo e che impugnavano fulmini come armi. Uno aveva il volto di fuoco. L’altro era giovane e alto, con i capelli rossi. Era il giovane che incuteva timore, che faceva serrare i denti anche a Elaida. Non era certa se fosse per la rabbia o per evitare che battessero. La paura poteva e doveva essere controllata. Il controllo era tutto.

«Allora abbiamo finito» concluse Alviarin alzandosi con leggerezza dallo sgabello. Le altre la imitarono, sistemandosi le gonne e gli scialle nei preparativi per andare via. «Fra tre giorni mi aspetto...»

«Vi ho forse dato il permesso di andare via, Figlie?» Erano le prime parole che Elaida pronunciava da quando aveva detto loro di sedere e la guardarono sorprese. Sorprese! Alcune tornarono agli sgabelli, ma non di corsa. Nemmeno una parola di scusa. Aveva tollerato quest’atteggiamento troppo a lungo. «Dal momento che siete in piedi, potete rimanervi fino a quando avrò finito.» Un attimo di confusione colse quelle che si erano quasi sedute ed Elaida proseguì mentre si sollevavano. «Non ho sentito dire alcunché in merito alla ricerca di quella donna e le sue amiche.»

Non c’era bisogno di specificare che ‘quella donna’ era colei che l’aveva preceduta come Amyrlin. Sapevano a chi si riferiva ed Elaida trovava ogni giorno più difficile anche solo pensare a quel nome. Tutti i suoi attuali problemi — tutti! — potevano essere ricondotti a ‘quella donna’.

«È difficile» spiegò Alviarin pacata, «visto che abbiamo sostenuto le voci della sua esecuzione.» Il suo sangue era ghiaccio. Elaida sostenne quello sguardo con fermezza fino a quando non aggiunse un tardivo, «Madre.» Ma era troppo placido, addirittura casuale.

Elaida puntò gli occhi sulle altre, rendendo la voce ferma. «Joline, tu sei incaricata della ricerca e delle investigazioni sulla sua fuga. Non ho sentito nulla in entrambi i casi tranne che parlare di difficoltà. Forse una punizione giornaliera ti aiuterà a perfezionare la tua accuratezza, Figlia. Scrivi cosa ritieni sia adeguato per te e sottoponilo alla mia attenzione. Se dovessi giudicarlo... non idoneo, lo triplicherò.»

Il sorriso onnipresente di Joline svanì, con soddisfazione di Elaida. La donna aprì la bocca, quindi la richiuse sotto il suo sguardo deciso. Alla fine le rivolse una profonda riverenza. «Ai tuoi ordini, Madre.» Le parole erano tese, la remissività forzata, ma per ora bastava.

«E cosa mi dite del tentativo di riportare indietro le fuggiasche?» Se possibile, il tono di Elaida era anche più grave. Il ritorno delle Aes Sedai che erano fuggite quando ‘quella donna’ era stata deposta significava il ritorno delle Azzurre nella Torre. Non era sicura che si sarebbe mai più fidata di loro. Come di chiunque fosse fuggita invece di aiutarla nella sua ascesa. Malgrado tutto però la Torre doveva essere di nuovo integra.

Javindhra era a capo dell’incarico. «Di nuovo, ci sono delle difficoltà.» I lineamenti di Elaida rimasero più severi che mai, ma si umettò velocemente le labbra mentre l’uragano infuriava sul suo viso. «Madre.»

Elaida scosse il capo. «Non voglio sentire parlare di difficoltà, Figlia. Domani mi presenterai una lista di tutto ciò che hai fatto, incluse le misure prese per accertarti che non trapelassero voci di qualsiasi dissidio nella Torre.» Quest’ultimo aspetto era mortalmente importante. C’era una nuova Amyrlin, ma il mondo doveva vedere la Torre unita e più forte che mai. «Se non hai abbastanza tempo per condurre il lavoro che ti ho assegnato, forse dovresti dimetterti da Adunante delle Rosse nel Consiglio. Devo tenerlo in considerazione.»

«Non sarà necessario, Madre» rispose velocemente la donna dal volto duro. «Domani avrai il rapporto che hai chiesto. Sono sicura che presto molte ricominceranno a tornare.»

Elaida non ne era così sicura, per quanto volesse — la Torre deve essere forte, deve! — ma aveva chiarito le cose. Anche sul viso di Alviarin c’era un’espressione pensierosa e preoccupata. Se Elaida era pronta a prendersela con una della sua precedente Ajah e anche più duramente con una Verde che era stata con lei fin dal primo giorno, forse avevano sbagliato a trattarla come una semplice figura di rappresentanza. Erano state loro a metterla sul trono dell’Amyrlin Seat, ma adesso lei ‘era’ l’Amyrlin. Qualche altra mossa nei prossimi giorni avrebbe completato la lezione. Se fosse stato necessario avrebbe fatto scontare una punizione a ogni donna fino a quando non le avessero implorato pietà.

«A Cairhien ci sono soldati tarenesi come anche andorani» proseguì, ignorando la disattenzione nello sguardo delle altre, «soldati tarenesi inviati dall’uomo che ha conquistato la Pietra di Tear.» Shemerin serrò le mani grassocce e Teslyn chiuse gli occhi. Solo Alviarin rimase impassibile come uno stagno ghiacciato. Elaida allungò il braccio e indicò il dipinto dei due uomini che combattevano con i fulmini. «Guardatelo. Guardatelo! O vi vedrò tutte carponi a strofinare i pavimenti! Se non avete la spina dorsale nemmeno per osservare un dipinto, quale coraggio avrete per quello che sta per accadere? Non c’è spazio per le codarde nella Torre!»

Le donne alzarono gli occhi con lentezza, muovendo i piedi come ragazzine nervose invece che Aes Sedai. Solo Alviarin lo guardò, apparentemente imperturbabile. Shemerin strinse le mani e le spuntarono delle lacrime. Bisognava fare qualcosa con questa donna.

«Rand al’Thor. Un uomo che può incanalare.» Le parole lasciarono le labbra di Elaida come un colpo di frusta. Le provocarono un nodo allo stomaco tanto che temette di vomitare. In qualche modo mantenne l’espressione impassibile e andò avanti, pronunciando quelle frasi a forza, come pietre scagliate da una fionda. «Un uomo destinato a impazzire e spargere orrore con il Potere prima di morire. Di più. L’Arad Doman, Tarabon e tutto ciò che si trova fra le due terre è in rovina per la ribellione causata da lui. Se la guerra e la carestia a Cairhien non possono essergli imputate con certezza, senza dubbio ha scatenato una guerra più grande qui, fra Tear e Andor, quando la Torre ha bisogno di pace! Nel Ghealdan alcuni Shienaresi folli predicano di lui a una moltitudine troppo grande per essere tenuta sotto controllo dall’esercito di Alliandre. Il pericolo più grande che la Torre abbia mai fronteggiato, la minaccia più temibile che il mondo abbia mai affrontato e voi non riuscite a parlarne? Non potete guardare quest’immagine?»

La risposta fu il silenzio. A tutte tranne Alviarin sembrava si fosse gelata la lingua. La maggior parte fissava il ragazzo nel quadro, come uccelli ipnotizzati da un serpente.

«Rand al’Thor.» Il nome aveva un sapore amaro nella bocca di Elaida. Una volta aveva avuto quel ragazzo, dall’aspetto così innocente, a portata di mano. E non era riuscita a vedere chi fosse. La donna che l’aveva preceduta lo sapeva — lo sapeva, la Luce sola sa da quanto, e lo aveva lasciato andare in giro libero. ‘Quella donna’ le aveva confessato, molto prima di fuggire, quando fu interrogata, duramente, cose che aveva difficoltà a credere — se i Reietti erano davvero liberi tutto poteva essere perduto — ma in qualche modo era riuscita a non fornire alcune risposte. Quindi si era dileguata prima di poter essere interrogata di nuovo. ‘Quella donna’ e Moiraine. ‘Quella donna’ e le Azzurre lo avevano sempre saputo. Elaida voleva entrambe le donne alla Torre. Le avrebbero rivelato tutto quello che sapevano. La avrebbero pregata in ginocchio di ucciderle prima che avesse finito.

Si costrinse ad andare avanti, anche se le parole le uscivano di bocca a stento. «Rand al’Thor è il Drago Rinato, Figlie.» Le ginocchia di Shemerin si piegarono e cadde seduta a terra con un tonfo. Anche altre sembravano avere le ginocchia deboli. Elaida le sferzò con lo sdegno. «Non ci sono dubbi. È quello nominato nelle Profezie. Il Tenebroso si sta liberando dalla prigione, l’Ultima Battaglia sta giungendo e il Drago Rinato deve trovarsi lì per affrontarlo, o il mondo sarà destinato al fuoco e alla distruzione fino a quando la Ruota del Tempo girerà. Quest’uomo è libero, Figlie. Non sappiamo dove sia. Sappiamo di una dozzina di posti dove non si trova. Non è più a Tear. Non è qui nella Torre, schermato e al sicuro, come dovrebbe essere. Porta il turbine sul mondo e dobbiamo fermarlo se vogliamo che ci sia qualche speranza di sopravvivere a Tarmon Gai’don. Dobbiamo averlo fra le mani per essere sicure che combatta l’Ultima Battaglia. O alcune di voi credono che andrà di sua volontà, come profetizzato, a morire per la salvezza del mondo? Un uomo che probabilmente sta già impazzendo? Dobbiamo controllarlo!»