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Non c’era modo di rifiutare. Aveva promesso alle Sapienti di dimenticare d’essere Aes Sedai, cosa facile visto che non lo era, e di fare esattamente quello che le avrebbero chiesto. Questa era la parte difficile; era stata lontana dalla Torre così a lungo che era tornata padrona di se stessa. Ma Amys le aveva detto senza mezzi termini che camminare nei sogni era pericoloso pure quando sapevi cosa stavi facendo e forse anche di più. Se non riusciva a obbedire nel mondo reale, difficilmente ne sarebbe stata in grado in quello dei sogni, e loro non volevano prendersi la responsabilità. Per cui Egwene aveva alcuni incarichi che divideva con Aviendha, accettava le punizioni meglio che poteva e saltava ogni volta che Amys, Melaine o Bair dicevano rana. Non che volessero altro se non che servisse loro da bere. No, stanotte era il turno di Aviendha.

Pensò di infilarsi le calze, ma alla fine si mise le scarpe e basta. Calzature robuste, adatte al deserto. Rimpiangeva le scarpine di seta che aveva indossato a Tear. «Come ti chiami?» chiese, cercando di essere amichevole.

«Cowinde» fu la docile risposta.

Egwene sospirò. Cercava sempre di essere affabile con le gai’shain, ma queste non rispondevano mai. Ancora non si era abituata ad avere dei servitori, anche se i gai’shain erano qualcosa di diverso. «Eri una Fanciulla?»

Il rapido lampo dei fieri occhi azzurri le disse che aveva indovinato, ma con la stessa velocità la donna abbassò di nuovo il capo. «Sono gai’shain. Il prima e il dopo sono ignoti, esiste solo il presente.»

«Quali sono la tua setta e il tuo clan?» Di solito non c’era bisogno di chiedere, nemmeno con i gai’shain.

«Servo la Sapiente Melaine della setta Jhirad, degli Aiel Goshien.»

Mentre era indecisa fra due mantelli, uno di resistente lana marrone e un altro a tasselli di seta blu che aveva comperato da Kadere — il mercante aveva venduto tutto ciò che aveva nei carri per fare posto al carico di Moiraine, a un ottimo prezzo — Egwene si soffermò a guardare la donna. Non era la risposta giusta. Aveva sentito che esisteva una forma di tetraggine che prendeva i gai’shain; quando finiva il loro termine di un anno e un giorno si rifiutavano di abbandonare l’abito bianco. «Quando scade il tuo periodo?» chiese Egwene.

Cowinde si accucciò e ripeté, «Sono gai’shain.»

«Ma quando sarai in grado di ritornare alla tua setta, alla tua fortezza?»

«Sono gai’shain» la donna si stava rivolgendo ai tappeti di fronte a lei. «Se la risposta non ti piace, puniscimi, ma non posso dartene un’altra.»

«Non essere sciocca» disse secca Egwene. «E tirati su, non sei un rospo.»

La donna vestita di bianco obbedì immediatamente e si mise a sedere sui talloni, aspettando remissiva un altro comando. Quel breve lampo di animosità poteva non essere mai esistito.

Egwene respirò profondamente. Per la donna la tetraggine era finita. Una sciocchezza, ma non avrebbe potuto dire nulla per farle cambiare idea. E comunque doveva andare alla tenda sauna, non stare qui a parlare con Cowinde.

Rammentando la corrente d’aria fredda, Egwene esitò. Le folate gelide avevano depositato in una ciotola due grandi fiori bianchi, con i petali parzialmente chiusi. Provenivano da una pianta grassa chiamata segade, che era piena di spine. Li aveva visti quella mattina fra le mani di Aviendha che li osservava; la donna aiel era saltata quando si era accorta della sua presenza, quindi glieli aveva subito donati, dicendo che li aveva raccolti per lei. Forse in Aviendha era rimasto abbastanza della Fanciulla da non voler ammettere che le piacevano i fiori. Anche se a pensarci bene, occasionalmente aveva notato delle Fanciulle che ne portavano uno fra i capelli o sulla giubba. Stai solo cercando di attardarti, Egwene al’Vere. Adesso smettila di essere sciocca e testarda! Ti stai comportando da stupida come Cowinde. «Fai strada» disse ed ebbe solo il tempo di mettersi il mantello sulle spalle prima che la donna aprisse la tenda e uscisse nel freddo gelido della notte.

Sopra la testa erano visibili le stelle nell’oscurità e i tre quarti di luna erano luminosi. Il campo delle Sapienti era un gruppo di circa due dozzine di tende basse, a nemmeno cento passi dal punto in cui terminava una delle strade lastricate del Rhuidean, di argilla essiccata e rocce. Le ombre proiettate dalla luna facevano sembrare la città un insieme di strani precipizi e dirupi. Ogni tenda aveva i lembi abbassati e l’odore misto di fuochi e di cucina riempiva l’aria.

Le altre Sapienti venivano in questo luogo quasi quotidianamente per le riunioni, ma trascorrevano le notti con le sette di appartenenza. Alcune adesso dormivano nel Rhuidean. Non Bair. Era il luogo più vicino alla città che era stata disposta a raggiungere. Se Rand non si fosse trovato lì, senza dubbio avrebbe insistito per accamparsi fra le montagne. Egwene camminava più velocemente possibile, tenendo chiuso con entrambe le mani il mantello, da sotto al quale passavano spifferi freddi ogni volta che faceva un passo. Cowinde dovette sollevare l’abito bianco per rimanerle davanti e riuscire a starle dietro. Egwene non aveva bisogno della guida della gai’shain, ma visto che la donna le era stata inviata si sarebbe vergognata e forse anche offesa se non glielo avesse consentito. Stringendo i denti per evitare che battessero, Egwene desiderò che la donna corresse.

La tenda sauna assomigliava a qualsiasi altra, bassa e larga con le entrate chiuse, ma il buco per il fumo era coperto. Nelle vicinanze un fuoco si era consumato fino a lasciare solo delle braci incandescenti fra alcune rocce grosse come la testa di un uomo. Non c’era abbastanza luce per identificare il piccolo monticello in ombra di fianco all’ingresso, ma sapeva che si trattava di indumenti femminili ripiegati.

Respirando profondamente si tolse in fretta le scarpe, fece cadere il mantello ed entrò. Un momento di tremito e freddo prima che il lembo della tenda si richiudesse alle sue spalle, quindi fu travolta dal vapore, che in un attimo la fece brillare di sudore mentre ancora boccheggiava e tremava.

Le tre Sapienti che le stavano insegnando a camminare nei sogni erano sedute e sudavano rilassate, con capelli lunghi fino alla vita che pendevano umidi. Bair stava parlando con Melaine, gli occhi verdi e i capelli rosso oro dell’una erano in netto contrasto con il viso rugoso e i capelli bianchi della vecchia donna. Anche Amys aveva i capelli bianchi — o forse erano di un biondo così chiaro da sembrarlo — ma non pareva vecchia. Lei e Melaine potevano entrambe incanalare — non molte Sapienti potevano — e c’era in lei qualcosa dell’aspetto privo di età tipico delle Aes Sedai. Moiraine, magra e piccola in confronto alle altre, sembrava imperturbabile, anche se grondava sudore e i capelli scuri aderivano alla testa, con l’espressione regale di chi non avrebbe mai ammesso d’essere senza vestiti. Le Sapienti usavano dei sottili pezzi di bronzo chiamati staera per rimuovere il sudore e la sporcizia accumulata durante il giorno. Aviendha era accovacciata vicino al grande mucchio di pietre nere calde e fumanti al centro, adoperando con cautela un paio di molle per spostare le pietre. Quindi, per aumentare il vapore, ci versò sopra dell’acqua presa da un contenitore apposito. Se avesse lasciato che il vapore si diradasse troppo, come minimo sarebbe stata rimproverata. La prossima volta sarebbe toccato a Egwene di occuparsi delle rocce.

Si sedette pian piano a gambe incrociate vicino a Bair — invece che strati di tappeti qui c’era solo roccia, calda, levigata e umida — e si accorse con stupore che Aviendha era stata frustata di recente. Quando la donna aiel si accomodò con cautela di fianco a Egwene, tentò di apparire ferma, impassibile, ma non poté nascondere un sussulto.

Egwene non se lo aspettava. Le Sapienti imponevano una dura disciplina — anche più dura di quella impartita nella Torre, il che richiedeva un bello sforzo — ma Aviendha imparava a incanalare con cupa determinazione. Non poteva camminare nei sogni, ma di certo si impegnava molto ad apprendere le arti delle Sapienti come aveva fatto con le armi da Fanciulla. Naturalmente dopo essersi lasciata sfuggire con Rand che le Sapienti lo controllavano nei sogni, per tre giorni le avevano fatto scavare buche profonde e riempirle di nuovo, ma era una delle poche occasioni in cui sembrava aver compiuto un passo falso. Amys e le altre due l’avevano indicata così tante volte come modello di compassata obbedienza e forza morale che a volte Egwene aveva voglia di urlare, anche se Aviendha era un’amica.