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Quindi Bair disse ridendo, «Hai sempre sostenuto di non avere bisogno di un marito e che non ne volevi uno. Io ne ho seppelliti tre e non mi dispiacerebbe averne un altro. Sono molto utili quando fa freddo di notte.»

«Una donna può cambiare parere.» La voce di Melaine era abbastanza ferma, ma tradita da un profondo rossore sulle guance. «Non posso stare lontana da Bael e non posso ucciderlo. Se Dorindha mi accetterà come sorella moglie, preparerò la corona di fiori nuziale da deporre ai piedi di Bael.»

«Che cosa farai se ci cammina sopra invece di raccoglierla?» volle sapere Bair. Amys ricadde all’indietro, ridendo e dandosi delle manate sulle gambe.

Egwene non pensava che ci fosse quel rischio, almeno per quelle che erano le usanze aiel. Se Dorindha decideva di accettarla come sorella moglie, Bael non avrebbe avuto molta voce in capitolo. Il fatto che un uomo potesse avere più di una moglie adesso non la stupiva più. Non molto. Terre differenti significano usanze diverse, si ricordò con fermezza. Non era mai stata capace di chiedere, ma per quanto ne sapeva potevano esserci donne aiel con due mariti. Era gente strana.

«Vi chiedo di agire come mie sorelle prime in questa faccenda. Credo di piacere abbastanza a Dorindha.»

Non appena Melaine pronunciò quelle parole, l’ilarità delle due donne si trasformò in qualcos’altro. Ridevano ancora, ma l’abbracciarono e le dissero che erano felici di essere lì per lei e quanto sarebbe stata felice con Bael. Amys e Bair sembravano dare per scontata l’accettazione di Dorindha. Le tre andarono via a braccetto, ridendo e scherzando come ragazzine. Non prima di aver ordinato a Egwene e Aviendha di riordinare la tenda.

«Egwene, una donna delle tue terre potrebbe accettare una sorella moglie?» chiese Aviendha, usando un bastone per rimuovere la copertura dal buco per il fumo.

Egwene sperava che lo facesse alla fine; il calore cominciò a dissolversi immediatamente. «Non lo so» rispose raccogliendo velocemente le tazze e il vasetto del miele. Anche gli staera vennero riposti sul vassoio. «Non credo. Forse se si trattasse di una cara amica» aggiunse velocemente. Non aveva senso denigrare le usanze aiel.

Aviendha sbuffò e iniziò ad aprire la tenda.

Con i denti che le tremavano facendo lo stesso rumore delle tazze e gli staera di bronzo sul vassoio, Egwene uscì di corsa, come se fosse una nottata mite e loro si trovassero nelle camere da letto di qualche residenza. Una figura vestita di bianco, chiara alla luce della luna, le prese il vassoio dalle mani ed Egwene iniziò velocemente a cercare il mantello e le scarpe. Non erano fra gli indumenti a terra.

«Ho fatto portare le tue cose alla tua tenda» le disse Bair mentre si allacciava la blusa. «Non ne hai ancora bisogno.»

Il morale le scese sotto i piedi. Saltellando sul posto strinse le braccia nell’inutile tentativo di riscaldarsi, almeno non le avevano ordinato di restare ferma. Di colpo si rese conto che la figura vestita di bianco che aveva preso il vassoio era troppo alta per essere quella di una donna. Anche aiel. Serrando i denti guardò furiosa le Sapienti, alle quali non sembrava interessare se si stesse congelando a morte. Forse alle donne aiel non importava che un uomo, non un gai’shain, l’avesse vista nuda, ma importava a lei!

In un attimo Aviendha si unì a loro e, vedendola saltellare, rimase in piedi senza fare alcuno sforzo per cercare i suoi indumenti. Come le Sapienti, non sembrava soffrire il freddo.

«Dunque» disse Bair sistemandosi lo scialle sulle spalle. «Tu, Aviendha, non solo sei testarda come un uomo, ma non riesci nemmeno a ricordarti di un semplice incarico che hai svolto molte volte. Tu, Egwene, sei altrettanto ostinata e pensi ancora di poterti gingillare nella tua tenda quando vieni convocata. Speriamo che correre cinquanta volte attorno al campo mitighi la vostra testardaggine, schiarendovi la mente, e vi ricordi come reagire quando venite chiamate o di fronte ai vostri incarichi. Andate.»

Senza una parola Aviendha si diresse verso i margini del campo, schivando agilmente le corde delle tende. Egwene esitò solo un momento prima di seguirla. La donna aiel correva piano per darle modo di raggiungerla. L’aria della notte era gelida e l’argilla crepata a terra altrettanto fredda, così cercava di rattrappire le dita dei piedi. Aviendha procedeva senza sforzo.

Quando arrivarono all’ultima tenda e svoltarono a sud, Aviendha disse: «Sai perché studio così duramente?» Né la corsa né il freddo avevano alterato la voce della donna.

Egwene tremava così tanto che non riusciva a parlare. «No, perché?»

«Perché Bair e le altre ti portano sempre come esempio e mi dicono con quanta facilità apprendi, di come non devono mai spiegarti la stessa cosa due volte. Mi ripetono che dovrei essere come te.» Guardò Egwene di traverso e lei si mise a ridere mentre correvano insieme. «Questo è un motivo. Le cose che sto imparando a fare...» Aviendha scosse il capo, con uno stupore palese anche alla luce della luna. «È il Potere. Non mi sono mai sentita a quel modo. Così viva. Posso percepire l’odore più debole, sentire il più piccolo movimento nell’aria.»

«È pericoloso restarvi in contatto troppo a lungo» spiegò Egwene.

Correre sembrò riscaldarla un po’ anche se di tanto in tanto ancora rabbrividiva. «Te l’ho già detto e so che le Sapienti hanno fatto lo stesso.»

Aviendha tirò su con il naso. «Pensi che mi trafiggerei da sola il piede con la mia lancia?»

Per un po’ procedettero in silenzio.

«Rand ha davvero...?» chiese alla fine Egwene. Il freddo non aveva niente a che vedere con la difficoltà di pronunciare quelle parole, infatti stava di nuovo incominciando a sudare. «Mi riferisco a... Isendre.» Non riusciva a spiegarsi più chiaramente.

Alla fine Aviendha disse lentamente, «Non credo che lo abbia fatto.» Sembrava arrabbiata. «Ma per quale altro motivo quella dovrebbe ignorare le frustate se lui non mostrasse il suo interesse? È una gattamorta abitante delle terre bagnate che non aspetta altro che gli uomini vadano da lei. Ho visto come la osserva, anche se cerca di nasconderlo. Gli piace guardarla.»

Egwene si chiese se la donna considerava anche lei una gattamorta delle terre bagnate. Probabilmente no o non sarebbero state amiche. Ma Aviendha non si preoccupava mai se quello che diceva poteva ferire qualcuno e probabilmente sarebbe rimasta sorpresa di scoprire Egwene ferita.

«Se le Fanciulle la fanno andare in giro in quel modo,» ammise Egwene con riluttanza «qualsiasi uomo guarderebbe.» Al pensiero che anche lei si trovava all’aperto nuda, inciampò e fu sul punto di cadere mentre si guardava intorno ansiosamente. Il campo era sgombro per quanto riusciva a vedere. Anche le Sapienti si erano ritirate nelle loro tende. Al caldo fra le coperte. Stava sudando, ma le gocce di sudore sembravano congelarsi appena si affacciavano.

«Appartiene a Elayne» disse Aviendha con fierezza.

«Conosco bene le vostre usanze, ma le nostre sono diverse. Non è promesso a Elayne.» Perché lo sto difendendo? Dovrebbe essere lui a prendersi le frustate! Pensò. Ma l’onestà la fece proseguire. «Anche gli uomini aiel hanno il diritto di dire di no, se gli viene chiesto.»

«Tu e lei siete sorelle prossime, come tu e io» protestò Aviendha, rallentando prima di riprendere. «Non mi hai chiesto di controllarlo per suo conto? Non vuoi che lei lo abbia?»

«Certo che lo voglio. Se anche lui la vuole.» Non era proprio così. Voleva che Elayne fosse felice, visto che era innamorata del Drago Rinato, e avrebbe fatto di tutto tranne legare Rand mani e piedi perché Elayne ottenesse quello che desiderava. Ne sarebbe stata capace se fosse servito. Ammetterlo era un’altra cosa. Le donne aiel erano molto più dirette di lei. «Altrimenti non sarebbe giusto.»

«Le appartiene» insisté Aviendha.

Egwene sospirò. Aviendha si rifiutava di capire le usanze altrui. Era ancora stupita del fatto che Elayne non avrebbe chiesto a Rand di sposarla, che fosse un uomo a porre quella domanda. «Sono sicura che le Sapienti domani mattina saranno più disponibili ad ascoltare le tue ragioni. Non possono farti dormire nella camera da letto di un uomo.»