L’altra donna la guardò sorpresa. Per un attimo perse i suoi modi aggraziati mentre inciampava in un sasso. Imprecò in un modo che avrebbe meravigliato anche i conducenti di carri di Kadere — e le avrebbe meritato lo spino blu da parte di Bair — ma non smise di correre. «Non capisco perché ti sconvolga tanto» disse quando terminò di inveire. «Ho dormito vicino a uomini molte volte durante le incursioni, abbiamo anche condiviso le coperte per scaldarci se la notte era molto fredda, ma ti disturba che io dorma a metri di distanza da lui. È parte delle vostre usanze? Ho notato che non vuoi fare i bagni di sudore nella tenda quando ci sono gli uomini. Non ti fidi di Rand al’Thor? O non ti fidi di me?» Verso la fine della frase la voce di Aviendha era diventata un sussurro preoccupato.
«Certo che mi fido di te» protestò Egwene con veemenza. «E di lui. È solo che...» Si interruppe incerta su come proseguire. Le norme morali degli Aiel erano molto più severe di quelle alle quali lei era abituata, ma per altri versi avrebbero spinto la Cerchia delle Donne di Emond’s Field a decidere se svenire o andare a prendere un bastone robusto. «Aviendha, se il tuo onore è in qualche modo coinvolto...» Era un argomento pericoloso. «Di certo se lo spieghi alle Sapienti non ti costringeranno ad andare contro il tuo onore.»
«Non c’è nulla da spiegare» rispose atona l’altra donna.
«Lo so che non capisco ji’e’toh, ma...» Iniziò Egwene e Aviendha rise.
«Dici di non capire, Aes Sedai, eppure tu vivi secondo le sue regole.» A Egwene dispiaceva mentirle a quel modo — era stato difficile convincere Aviendha a chiamarla solo Egwene e a volte ritornava sui suoi passi — ma il segreto doveva essere mantenuto con tutti se non voleva che nessuno lo sapesse. «Tu sei Aes Sedai e abbastanza forte con il Potere da vincere contro Amys e Melaine assieme» continuò Aviendha, «ma hai promesso che avresti obbedito, per cui lavi le pentole quando te lo dicono e corri quando te lo ordinano. Forse non conosci ji’e’toh, ma lo segui.»
Ovviamente non era la stessa cosa. Stringeva i denti e faceva quello che le ordinavano perché era il solo modo per imparare a camminare nei sogni e lei voleva apprendere tutto, più di qualsiasi altra cosa. Anche il solo pensiero di vivere secondo le regole di questo stupido ji’e’toh era assurdo. Faceva quel che doveva solo e perché doveva.
Stavano tornando al punto di partenza. Quando lo raggiunse, Egwene disse: «E uno» e corse nell’oscurità mentre tutt’intorno soltanto Aviendha poteva vederla; nessun altro si sarebbe accorto se fosse tornata alla tenda in quel momento. Aviendha non lo avrebbe detto, ma a Egwene non venne mai in mente di smettere di correre prima di aver terminato i cinquanta giri del campo.
6
Passaggi
Rand si svegliò nel buio più completo e rimase sotto le coperte cercando di capire cosa poteva aver interrotto il suo sonno. Doveva essere stato qualcosa. Non il sogno. Stava insegnando a nuotare ad Aviendha in uno stagno del Waterwood a casa, nei Fiumi Gemelli. Era dell’altro. Lo percepì di nuovo, come il debole refolo di un disgustoso miasma che passava sotto la porta. Non era proprio un odore. Una sensazione non ben definita, ma l’avvertiva come odore. Putrido, come qualcosa morta da una settimana in acque stagnanti. Scomparve di nuovo ma stavolta non del tutto.
Gettando via le coperte si alzò avvolgendosi in saidin. Denteo al vuoto, colmato con il Potere, percepì che il corpo rabbrividiva, ma il freddo sembrava altrove rispetto a dove si trovava lui. Aprì la porta con cautela e uscì. Le finestre arcuate alle due estremità del corridoio lasciavano filtrare la luce lunare. Dopo l’oscurità della sua stanza era quasi come la luce del giorno. Nulla si muoveva, ma poteva sentire... qualcosa... che si avvicinava. Qualcosa di cattivo. Provocava in lui la stessa sensazione della contaminazione che scorreva in lui con il Potere.
Si portò una mano alla tasca della giubba, per prendere una piccola scultura rotonda raffigurante un uomo con una spada appoggiata sulle ginocchia. Un angreal; con quello era in grado di incanalare più Potere di quanto avrebbe potuto fare e senza correre rischi. Non credeva che fosse necessario. Chiunque avesse mandato questo attacco contro di lui non sapeva con chi aveva a che fare adesso. Non avrebbero mai dovuto svegliarlo.
Esitò per un momento. Poteva combattere contro qualsiasi cosa fosse stata inviata, ma era convinto che si trovasse ancora al piano di sotto. Dove dormivano le Fanciulle, a giudicare dal silenzio. Se avesse avuto fortuna non avrebbe dovuto disturbarle, a meno che non fosse sceso a combattere fra di loro. Quello le avrebbe certamente svegliate e non sarebbero rimaste da una parte a guardare. Lan diceva che dovevi sceglierti il territorio su cui combattere, se potevi, e aspettare che il nemico venisse a te.
Sorridendo corse su per le vicine scale ricurve fino a raggiungere l’ultimo piano. Il livello più alto del palazzo era una grande stanza dal soffitto leggermente a cupola e piccole colonne sparse e con scanalature a spirali. Tutto intorno c’erano finestre stondate con i vetri che inondavano la stanza di luce lunare. La polvere e la sabbia sul pavimento mostravano ancora le sue impronte dall’ultima volta che era salito lassù e nessun altro segno. Era perfetto.
Camminando verso il centro della stanza si piazzò sopra al mosaico che rappresentava l’antico simbolo delle Aes Sedai, largo tre metri e mezzo. Era il posto giusto. «Sotto questo simbolo egli conquisterà.» Questo dicevano le Profezie del Rhuidean su di lui. Rimase in piedi a gambe divaricate sopra la linea sinuosa, un piede sulla lacrima nera che adesso veniva chiamata la Zanna del Drago ed era usata per rappresentare il male, l’altro sulla bianca, adesso chiamata la Fiamma di Tar Valon. Alcuni sostenevano che fosse dalla parte della Luce. Il luogo adatto per incontrare il suo aggressore, fra la Luce e l’oscurità.
Il fetore divenne sempre più forte e l’odore di zolfo bruciato riempì l’aria. Di colpo qualcosa si mosse, camminando furtivamente lontano dalle scale come delle ombre della luna, lungo il lato esterno della stanza. Lentamente li riconobbe: tre cani. Più scuri della notte e più grandi di cavalli nani. Gli occhi che brillavano argentei, lo circondarono attenti. Con il Potere che lo colmava poteva avvertire i cuori degli animali battere, come il cupo martellare di tamburi. Non riusciva a sentirli respirare però. Forse non lo facevano.
Rand incanalò e si ritrovò con una spada fra le mani, la lama leggermente ricurva e marchiata con l’airone sembrava forgiata nel fuoco. Si era aspettato un Myrddraal, o forse qualcosa di peggio dei Senza Occhi, ma per dei cani, anche della progenie dell’Ombra, la spada sarebbe bastata. Chiunque li aveva mandati non lo conosceva. Lan sosteneva che ormai aveva quasi raggiunto il livello di un maestro spadaccino e il Custode non era prodigo di complimenti.
Ringhiando col rumore di ossa ridotte in polvere, i cani lo attaccarono da tre lati, più veloci di cavalli al galoppo.
Rand non si mosse fino a quando non gli furono quasi addosso, quindi fluì, un corpo unico con la spada, di figura in figura, come se stesse danzando. Nel battito di un ciglio la figura chiamata Turbine sulla montagna divenne Il vento soffia oltre il muro, e quindi L’apertura del ventaglio. Grandi teste nere si staccarono dai grossi corpi, mentre i denti gocciolanti risplendevano come acciaio lucidato, ancora snudati, e rimbalzarono sul pavimento. Rand stava già spostandosi dal mosaico mentre le figure scure crollavano in preda alle convulsioni.
Ridendo tra sé rilasciò la spada ma rimase connesso a saidin, al Potere furioso, la dolcezza e la contaminazione. Al di fuori del vuoto scivolava il disprezzo. Cani. Progenie dell’Ombra senza dubbio, ma comunque solo... la risata morì.