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Nella Torre erano custoditi oggetti per i quali valeva la pena essere pazienti. Il Corno di Valere, il favoloso Corno che avrebbe evocato gli eroi dalla tomba per affrontare l’Ultima Battaglia. Anche la maggior parte delle Aes Sedai era ignorante in materia, ma lui sapeva come scoprire certe cose. Anche il pugnale era custodito lì. Ne percepiva il richiamo dal punto in cui si trovava. Avrebbe potuto indicarlo. Era suo, parte di se stesso, rubato e sepolto qui dalle Aes Sedai. Riprendere il pugnale sarebbe servito come pagamento per alcune perdite. Non sapeva in che modo, ma lo avrebbe fatto. Per le perdite di Aridhol. Era troppo pericoloso farvi ritorno, col rischio di rimanervi di nuovo intrappolato. Fu scosso da brividi. Intrappolato così a lungo, non voleva che accadesse di nuovo.

Naturalmente nessuno la chiamava più Aridhol da molto tempo, ma Shadar Logoth. Dove l’Ombra attende. Un nome appropriato. Tutto era così cambiato. Anche lui. Padan Fain. Mordeth. Ordeith. A volte non era sicuro di quale fosse il suo vero nome, di chi fosse. Di una cosa però era certo. Non era ciò che tutti gli altri credevano. Chi era convinto di saperlo si sbagliava di grosso. Adesso era trasfigurato. Una forza chiusa in lui stesso e superiore a qualsiasi altro potere. Prima o poi lo avrebbero imparato.

Si rese conto di colpo che l’Amyrlin aveva detto qualcosa. Frugando nella propria mente la ritrovò. «Sì, Madre, la giubba mi sta molto bene.» Lasciò scorrere una mano sul velluto nero per mostrare quanto la apprezzava, come se gli indumenti importassero qualcosa. «È molto bella. Ti ringrazio sinceramente, Madre.» Era pronto a sopportare altri tentativi della donna di farlo sentire a proprio agio, pronto a inginocchiarsi e baciare l’anello, ma stavolta lei andò dritta al punto.

«Dimmi di più su Rand al’Thor, mastro Fain.»

Gli occhi di Fain caddero sul quadro che rappresentava i due uomini e raddrizzò la schiena. Il ritratto di al’Thor lo attirava quasi quanto l’uomo in persona, gli infondeva nelle vene rabbia e odio fino a fargli ribollire il sangue. A causa di quel ragazzo aveva sofferto incredibilmente, oltre ogni limite; ma era un dolore che non si permetteva di ricordare, aveva subito cose ben peggiori. Era stato spezzato e rigenerato per colpa di al’Thor. Naturalmente essere rigenerato gli aveva fornito i mezzi per vendicarsi, ma non era questo il punto. Di fronte al desiderio di distruggere al’Thor tutto il resto diveniva irrilevante.

Quando si rivolse di nuovo all’Amyrlin non si accorse che i suoi modi erano imperiosi come quelli della donna e che ne sosteneva lo sguardo. «Rand al’Thor è subdolo e malizioso, non gli importa di niente e di nessuno tranne che del proprio potere.» Donna sciocca. «È uno che non fa mai ciò che ci si aspetta.» Ma se poteva mettergli fra le mani al’Thor... «È difficile da guidare, molto difficile, ma credo ci si possa riuscire. Prima devi legare qualcuno di quelli di cui si fida...» Se la donna gli consegnava al’Thor forse alla fine l’avrebbe lasciata in vita quando se ne sarebbe andato, anche se era un’Aes Sedai.

Oziando seduto su una sedia dorata con indosso solo la camicia e tenendo una gamba sopra al bracciolo, Rahvin sorrise alla donna in piedi davanti al camino ripetendo quanto le aveva detto. I grandi occhi marroni di lei erano leggermente vitrei. Una giovane graziosa, anche con indosso i semplici abiti grigi che usava come travestimento, ma non era ciò che lo interessava.

Dall’alta finestra della stanza non entrava un alito di vento. Mentre parlava la donna aveva il viso imperlato di sudore, come anche l’altro uomo presente. Benché indossasse una elegante giubba di seta rossa ricamata in oro, era rigido come un cameriere, cosa che in fondo era, quasi fosse una sua libera scelta. Naturalmente al momento era sordo e cieco.

Rahvin maneggiava con cura il flusso di Spirito che aveva intessuto attorno alla coppia. Non c’era bisogno di danneggiare preziosi servitori.

Lui naturalmente non sudava. Non lasciava che il calore estivo lo toccasse. Era un uomo alto e grosso, scuro e attraente malgrado le tempie imbiancate. La coercizione non aveva presentato difficoltà con questa donna.

Un cipiglio gli deformò il viso. Con alcuni accadeva. Pochi — molto pochi — avevano una tale forza interiore che la loro mente investigava, anche se inconsapevolmente, alla ricerca di aperture per sfuggirgli. Era sfortunato ad avere ancora bisogno di un tipo del genere. Lei poteva essere gestita, ma continuava a cercare vie di scampo senza sapere di essere intrappolata. Prima o poi non ne avrebbe più avuto necessità, allora avrebbe dovuto decidere se lasciarla andare per conto suo o liberarsi in modo definitivo di lei. Ed entrambe le soluzioni presentavano degli inconvenienti. Nulla che lo minacciasse, naturalmente, ma era un uomo prudente, meticoloso. I piccoli pericoli crescevano se venivano ignorati e lui sceglieva sempre con prudenza i propri rischi. Ucciderla o lasciarla vivere?

La fine del discorso della donna lo trascinò fuori dalle sue fantasticherie. «Quando te ne andrai» le disse, «non ricorderai nulla di questa visita. Solo di avere fatto la solita passeggiata mattutina.» La donna annuì, felice di compiacerlo, e Rahvin legò i flussi di Spinto affinché evaporassero dalla sua mente poco dopo che avesse raggiunto la strada. L’uso ripetuto della coercizione rendeva più facile l’obbedienza anche oltre l’atto in sé, ma durante l’operazione c’era sempre il pericolo che venisse scoperto.

Finito con lei, rilasciò anche la mente di Elegar. Lord Elegar. Un nobile minore, ma fedele ai suoi giuramenti. Si umettò nervosamente le labbra e lanciò un’occhiata alla donna, quindi si inginocchiò davanti a Rahvin. Amici dell’Ombra — adesso erano chiamati Amici delle Tenebre — aveva appena iniziato a scoprire quanto sarebbe rimasto ancorato ai suoi giuramenti ora che Rahvin e gli altri erano liberi.

«Portala in strada dall’uscita posteriore» disse Rahvin, «e lasciala lì. Non deve essere vista.»

«Farò come mi ordini, padrone» rispose Elegar, alzandosi per inchinarsi. Arretrò, sempre inchinandosi, tirando la donna per un braccio. Questa lo seguì docilmente con gli occhi ancora annebbiati. Elegar non le avrebbe rivolto domande. Sapeva bene che c’erano cose che non voleva scoprire.

«Una delle tue bamboline?» echeggiò una voce femminile alle spalle dell’uomo mentre la porta intarsiata si chiudeva. «Hai iniziato a vestirle a quel modo adesso?»

Attingendo da saidin l’uomo si colmò di Potere, la contaminazione della metà maschile della Vera Fonte rotolava fuori dalla protezione dei suoi legami e giuramenti, i legami verso ciò che conosceva erano più potenti della Luce o anche del Creatore.

In mezzo alla camera era aperto un passaggio proprio sopra il tappeto rosso e dorato, l’ingresso in un altro luogo. Ebbe la fugace visione di una stanza decorata da drappi di seta bianca prima che svanisse, lasciando una donna vestita di bianco con una cintura argentata. Il leggero pizzicore della pelle, come una lieve sensazione di fresco, lo avvertì che la donna aveva incanalato. Alta e slanciata, era bella quanto lui era attraente, gli occhi scuri erano laghi profondi e i capelli, decorati con stelle e mezze lune d’argento, le ricadevano in perfette onde nere sulle spalle. Alla maggior parte degli uomini si sarebbe riarsa la gola per il desiderio.

«Cosa significa questo tuo arrivare di soppiatto, Lanfear?» chiese bruscamente. Non abbandonò il contatto con il Potere e preparò una serie di sgradevoli sorprese in caso di bisogno. «Se vuoi parlarmi, manda un emissario e io deciderò quando e dove. E se.» Per tutta risposta Lanfear gli rivolse quel suo dolce e pericoloso sorriso. «Sei sempre stato un porco, Rahvin, ma raramente uno sciocco. Quella donna è un’Aes Sedai. Cosa fai se si accorgono della sua scomparsa? Hai per caso mandato anche degli araldi ad annunciare dove ti trovi?»