Le strade di Mardecin erano pavimentate di granito, consumato da generazioni di piedi e ruote di carro, e gli edifici erano tutti di mattoni o pietra. Alcuni erano vuoti però, sia case che negozi, a volte con le porte spalancate e Nynaeve poteva scorgere gli interni spogli. Vide tre fucine, due abbandonate e un’altra in cui il fabbro stava pulendo gli attrezzi con l’olio e le forge erano fredde. Una locanda con il tetto di ardesia, nella quale uomini malinconici stavano seduti su delle panche sistemate fuori, aveva alcune finestre rotte; in un’altra la stalla accanto aveva le porte mezze divelte e una carrozza impolverata parcheggiata nel cortile, in cui una gallina sconsolata aveva fatto il nido sul sedile del conducente. Qualcuno là dentro stava suonando un tarabuso. Sembrava Aironi in volo, ma il motivo era senza vigore. La porta di una terza locanda era sprangata da due assi piantate di traverso.
La gente affollava le strade, ma si muoveva letargica. Appesantite dal caldo, i volti apatici suggerivano che non c’era davvero motivo di muoversi, tranne l’abitudine. Molte donne, con dei grandi cappelli che quasi nascondevano il viso, indossavano abiti consumati in fondo all’orlo e più di un uomo aveva il colletto e i polsini delle giubbe logori.
C’erano effettivamente dei Manti Bianchi lungo le strade, non molti come aveva detto Thom, ma abbastanza. Nynaeve tratteneva il respiro ogni volta che vedeva un uomo con un mantello bianco e l’armatura lucida che la guardava. Sapeva di non aver lavorato abbastanza a lungo con il Potere per assumere l’aspetto privo di età tipico delle Aes Sedai, ma costoro avrebbero comunque potuto tentare di ucciderla: una strega di Tar Valon è fuorilegge in Amadicia, se avessero anche solo sospettato un legame con la Torre Bianca. Camminavano per le strade apparentemente incuranti della povertà che li circondava. La gente si scansava rispettosa, ricevendo in cambio a volte un cenno del capo e spesso un pio «Cammina nella Luce».
Ignorando i Figli della Luce più che poteva, si mise d’impegno a cercare delle verdure, ma quando il sole raggiunse il culmine, un disco d’oro rovente che bruciava attraverso le nuvole, lei ed Elayne avevano vagato ovunque, da entrambi i lati del ponte, e fra loro due erano riuscite solo a trovare un po’ di piselli, delle radici, alcune pere dure e un cestino per trasportarle. Forse Thom aveva davvero cercato. In questo periodo dell’anno i carretti e le stalle avrebbero dovuto essere pieni dei prodotti del raccolto estivo, ma la maggior parte erano cataste di patate e rape che avevano visto giorni migliori. Ripensando a tutte quelle fattorie vuote mentre si avvicinavano alla città, Nynaeve si chiese come avrebbe fatto questa gente a superare l’inverno. Proseguì comunque nella ricerca. Appesa sottosopra accanto alla porta di un edificio con il tetto di paglia c’era un mazzo di quella che sembrava saggina, con dei piccoli fiori gialli, i gambi avvolti da un fiocco bianco e legati con uno giallo. Poteva essere il debole tentativo di qualche donna di creare una decorazione allegra durante quei tempi di magra. Ma Nynaeve era sicura che non fosse così.
Fermandosi vicino a un negozio vuoto con un pugnale da lavoro sull’insegna che pendeva davanti all’entrata, fece finta di cercare un sasso nella scarpa mentre studiava furtiva il negozio della sarta. La porta era aperta e scampoli di stoffa colorata erano disposti davanti alla piccola finestra, ma nessuno entrava o usciva.
«Non riesci a trovarlo, Nynaeve? Levati la scarpa.»
Nynaeve voltò la testa di scatto, si era quasi dimenticata di Elayne. Nessun altro prestava loro attenzione e nessuno sembrava abbastanza vicino da sentire, ma abbassò comunque la voce. «Il mazzo di saggina vicino alla porta di quel negozio. È un segnale dell’Ajah Gialla, un segnale di emergenza per gli occhi e le orecchie delle Gialle.»
Non c’era bisogno che dicesse a Elayne di non fissarlo, gli occhi della ragazza si mossero appena verso l’ingresso del negozio. «Ne sei sicura?» chiese con calma. «Come fai a saperlo?»
«Certo che ne sono sicura. È giusto. Il pezzo di fiocco giallo che pende è anche diviso in tre.» Fece una pausa per respirare profondamente. A meno che non si sbagliasse del tutto, quell’insulso mazzo d’erba aveva un significato terribile. Se aveva torto si sarebbe resa molto ridicola, cosa che odiava. «Ho trascorso molto tempo a parlare con le Gialle alla Torre.» La guarigione era lo scopo primario delle Gialle, a loro non importava molto delle erbe di Nynaeve, non ne avevano bisogno quando potevano guarire con il Potere. «Una di loro me lo ha spiegato. Non credeva fosse una trasgressione grave visto che era convinta che avrei scelto l’Ajah Gialla. E poi non è stato usato da quasi trecento anni. Elayne, solo alcune donne per ogni Ajah sanno chi sono i loro occhi e orecchi, ma un mazzo di fiori gialli legati e appesi a quel modo dice a qualsiasi Sorella Gialla che qui se ne nasconde una e con un messaggio abbastanza urgente da rischiare di farsi prendere.»
«Come facciamo a scoprirlo?»
A Nynaeve quella domanda era piaciuta. Non ‘cosa facciamo?’. La ragazza aveva coraggio.
«Dammi spago» disse, stringendo forte il cestino mentre si metteva diritta. Sperava di ricordarsi tutto quello che le aveva spiegato Shemerin. Sperava anche che Shemerin le avesse rivelato tutto. La paffuta Gialla era troppo distratta per essere un’Aes Sedai.
L’interno del negozio non era grande e ogni parte del muro era occupata da scaffali sui quali erano adagiati pezzi di seta o di lana fine, rocchetti di filo e lacci, nastri e merletti di ogni grandezza e tipo. C’erano dei manichini sparsi, con abiti confezionati a metà e completi, da un vestito da ballo di lana verde ricamata a uno di seta grigio perla adatto a corte. A prima vista il negozio pareva fornito e in attività, ma l’occhio attento di Nynaeve aveva colto della polvere su uno dei colli alti di merletto di Solinde e su un grosso fiocco di velluto nero alla vita di un altro vestito.
Nel negozio vi erano due donne con i capelli rosso scuro. Una, giovane e magra, che cercava di pulirsi il naso con il dorso della mano, teneva un rotolo di seta rossa e lo stringeva ansiosa. I capelli erano una massa di lunghi riccioli che le scendevano sulle spalle, alla moda di Amadicia, ma sembravano annodati a confronto con quelli dell’altra donna. Questa, bella e di mezza età, era senza dubbio la sarta, come rivelava anche il grande puntaspilli legato attorno al polso. Il suo abito era di ottima lana verde, ben tagliato e confezionato in modo tale da mostrare le sue capacità, ma ricamato sobriamente con dei piccoli fiori bianchi attorno all’alto colletto così da non oscurare le clienti.
Quando Nynaeve ed Elayne entrarono, entrambe le donne sciamarono come se nessuno fosse entrato nel negozio da un anno. La sarta si riprese per prima, guardandole con grande dignità mentre rivolgeva loro la riverenza. «In cosa posso servirvi? Mi chiamo Ronde Macura. Il mio negozio è vostro.»
«Vorrei un vestito con delle rose gialle ricamate sul corpetto» rispose Nynaeve. «Ma senza spine, fai attenzione» aggiunse ridendo. «Non guarisco velocemente.» Cosa diceva non aveva importanza, a patto che includesse le parole ‘giallo’ e ‘guarire’. Ora doveva solo capire se il mazzo di fiori era una coincidenza. In quel caso, avrebbe dovuto trovare un motivo per non comperare un abito con le rose. E il sistema di evitare che Elayne raccontasse la sua misera figura a Thom e Juilin.
Comare Macura la guardò per un po’ con gli occhi scuri, quindi si rivolse alla ragazza, spingendola verso il retro del negozio. «Vai in cucina, Luci, e prepara del tè per queste buone donne. Quello della scatola blu. L’acqua è calda, grazie alla Luce. Vai, ragazza. Posa quella seta e smettila di guardare con la faccia da stupida. Veloce. Veloce. Mi raccomando, la scatola blu, quello migliore» disse, rivolgendosi a Nynaeve mentre la ragazza spariva attraverso la porta sul retro. «Vivo sopra al negozio, vedete, e la cucina è nel retro.» La donna stava sistemando il vestito nervosamente, con il pollice e l’indice che formavano un cerchio. A indicare l’anello del Gran Serpente. Pareva che non sarebbe servita una scusa per non comperare il vestito.