«Restate vicino all’argano» disse Graham a Thomas. «Starò giù solo il tempo necessario per attaccare la navicella e raccogliere Liska. Fate quindi attenzione al segnale per ritirarci su subito.»
«Vi confesso che non sarò affatto spiacente di svignarmela. E più presto sarà, meglio sarà: questo posto non è allegro.»
Le mura del pozzo cominciarono a scorrere davanti a Graham che affrontava la penosa discesa. L’archeologo si era munito di una nuova torcia elettrica e ne aveva fissato una seconda nella borsa agganciata alla cintura. Questa volta non c’era la navicella a donargli quel senso di sicurezza che, sebbene effimera, aveva rincuorato alquanto Liska e lui durante la prima esplorazione. Adesso Graham pendeva direttamente dal cavo, come un ragno, e girava su se stesso sballottato da tutte le parti.
Le pareti seguitavano a sfilare con monotonia, lui doveva fare un notevole sforzo per non svenire e per vincere la nausea e la sonnolenza. Pensava a Thomas che aveva continuato a dormire tranquillamente mentre si erano scatenate le incontrollabili forze misteriose. Forse era stato meglio che non si fosse accorto di niente. Se avesse visto la corda spezzata e la pietra materializzarsi sotto i suoi occhi avrebbe certo perso la testa, nella migliore delle ipotesi se la sarebbe data a gambe in preda al panico gettando l’allarme in tutto il villaggio, e la cosa sarebbe magari giunta alle orecchie delle autorità londinesi. A considerare bene i fatti, Thomas aveva scelto la condotta più saggia: poiché dormiva, non aveva visto niente, e non vedendo niente non aveva potuto peggiorare la situazione. Inoltre, essendo ben riposato, adesso era stato assai più utile.
Finalmente, come Dio volle, la discesa ebbe fine. Le pareti si allargarono incurvandosi sull’ossario, e Graham cominciò a girare intorno la luce della sua torcia. Il grande cumulo di ossa apparve in distanza con un grigiore confuso, salì incontro all’uomo, si rivelò in tutto il suo macabro candore.
Prima ancora di toccare il fondo Graham lanciò il suo richiamo.
«Liska!»
Gli rispose l’eco della caverna, ma non gli giunse nessuna voce umana. Liberandosi febbrilmente della corda, lo scienziato si sentì per la prima volta inquieto sulla sorte del suo assistente. Per un istante rimase immobile al centro della immensa tomba percorrendola con lo sguardo e fugando le ombre con la lampada. «Liska» tornò a chiamare, e poi più forte: «Liska, sono Graham… Dove siete, Liska?»
La sua voce urtò contro le pareti, rimbalzando d’angolo in angolo, divenendo sempre più debole per spegnersi in un sussurro.
La navicella e il rotolo della prima corda erano sempre là dove le aveva lasciate. Niente mancava dall’equipaggiamento, né viveri, né torce. Sentendo aumentare in sé l’agitazione che l’aveva colto nel non vedere subito il giovane compagno, lo scienziato cercò di rassicurarsi pensando che forse Liska si era addentrato nel corridoio che avevano scoperto insieme, spinto dalla curiosità. Se fosse stato così, allora lui avrebbe dovuto seguirlo rifacendo la sconvolgente esperienza di quel torturante pellegrinaggio. Pazienza! Era uno sforzo terribile che lo aspettava, ma avrebbe costretto il suo corpo a obbedirgli per arrivare sino alla fine. La prospettiva di rivivere gli ultimi allucinanti minuti prima di uscire da quella maledetta trappola gli fece correre i brividi per la schiena. Inoltre, se lui si fosse inoltrato nel tunnel, la pietra lassù avrebbe avuto il tempo di richiudersi un’altra volta, e se non fosse riuscito a trovare Liska né a sbucare a Stonehenge… La lampada gli scivolò di mano, e Graham si asciugò sui pantaloni le mani madide. Non poté fare a meno di imprecare mentalmente contro Liska: e sì che ne aveva di esperienza, quel ragazzo. Possibile che si fosse avventurato nel corridoio senza rifornirsi di una torcia? Ora, dal momento che dalla navicella non mancava nulla, era più logico pensare che non fosse quella del tunnel la strada presa dall’assistente. Ma dov’era dunque, dal momento che non si trovava nella caverna? Graham non sapeva più cosa pensare.
Bruscamente si decise, e in pochi passi raggiunse il posto dove aveva scavato con Liska il passaggio per il corridoio. Sotto i suoi piedi le ossa scricchiolarono sgretolandosi con un rumore secco che risuonava sinistro nel silenzio opprimente. Si lasciò scivolare nel pertugio, raggiunse il corridoio e proiettò la luce della torcia più lontano che poté.
Scorse solo le uniformi pareti verdastre, misteriose e lontane. Ispezionò il suolo e notò che nessuna orma affiancava quelle lasciate dal suo passaggio. Nessuno dunque lo aveva seguito per quella strada.
Rimontato nella caverna esaminò attentamente il suolo attorno allo scavo, e continuò la minuziosa ricerca seguendo la parete nella speranza che Liska avesse scoperto un nuovo passaggio. Pensò anche che l’assistente, scavando, poteva essere rimasto imprigionato da un improvviso cedimento delle ossa.
Aveva esaminato quasi metà della caverna quando il raggio della lampada illuminò l’involucro metallico della torcia di Liska, proprio vicino alla navicella. Si precipitò in quella direzione, ma quasi subito trasalì e dovette fermarsi e asciugarsi le mani improvvisamente sudate.
Rimase così, immobile, a lungo, rifiutandosi di credere all’evidenza. Quello che vedeva era troppo orribile perché lui potesse far qualcosa che non fosse lo starsene lì fermo a guardare, terrorizzato, sentendosi invadere da una disperazione che gli faceva vacillare la mente.
Accanto alla torcia elettrica, giacevano altri oggetti: la fibbia di una cintura, un orologio da polso, qualche chiave, alcune monete, un coltello a serramanico, una matita, bottoni… tutte quelle cose metalliche e inorganiche che un uomo porta generalmente nelle sue tasche o che fanno parte dei suoi vestiti. Ma di vestiti, lì intorno, non c’era traccia. C’era invece un nuovo scheletro che recava al polso un orologio dal braccialetto di metallo, che Graham riconobbe subito: era l’orologio di Liska.
E quello scheletro era tutto ciò che restava di Liska!
La morte dell’assistente doveva essere stata istantanea, come per tutte le migliaia di uomini morti prima di lui in quella trappola spaventosa.
Al momento destinato, apparentemente dopo la chiusura della pietra verde, una grande forza di origine sconosciuta aveva spogliato la vittima della sua carne, dei vestiti e di ogni altra materia organica a parte le ossa.
Quando fu di nuovo in grado di ragionare, Graham pensò che, poiché la pietra era rimasta aperta per treore,lui aveva dovuto impiegare un tempo pressappoco uguale per percorrere tutto il corridoio. Senza dubbio era questa la ragione dello sconvolgimento che l’aveva assalito nel momento in cui stava guadagnando l’uscita.
Soltanto per miracolo, quindi, era sfuggito a quella disintegrazione della carne che aveva ucciso Liska. Il suo assistente aveva subito la stessa sorte riservata migliaia di anni prima alle vittime dei sacrifici le cui ossa coprivano il pavimento della caverna. Graham era convinto che l’imboccatura del pozzo costruito con la misteriosa sostanza verde fosse in origine al livello del suolo, bene in vista, per attirare la curiosità di coloro che, non temendo l’avventura, osavano esplorarlo. La trappola mortale aveva in tal modo la funzione dello specchietto per le allodole! In seguito era sopravvenuto il periodo delle glaciazioni: quando poi i ghiacciai si erano ritirati, uno spessore considerevole di detriti aveva ricoperto la lapide.
Secondo i geologi, i quali non sono affatto d’accordo sulle date del periodo glaciale, l’avvenimento può risalire dai 40.000 anni a 1.000.000 di anni prima della nostra epoca. Ora, poiché il tipo degli scheletri più recenti trovati nella caverna indicava come relativamente vicina l’età dei ghiacci, per giustificare la presenza degli altri resti, quelli più antichi, bisognava che la costruzione del pozzo risalisse a una data anteriore a un milione di anni. Prima della nascita dell’uomo, quindi. O piuttosto, e questo secondo pensiero sconvolse Graham, prima dell’aurora della vita, come se la trappola avesse un rapporto intenzionale, calcolato, voluto, con l’esistenza dell’uomo sulla terra.