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L’archeologo tornò verso la navicella con la lentezza di chi è estremamente stanco. Prese un telo che aveva portato con l’intenzione di raccogliervi ciò che di interessante avesse trovato nel pozzo, e vi riunì quel che restava del disgraziato assistente. Poi posò il misero fardello sul fondo della navicella, attaccò solidamente il cavo e fece il segnale convenuto con Thomas.

Mentre cominciava la lenta salita, lo scienziato pensava tristemente alle ore che lo aspettavano. Per prima cosa bisognava spiegare alle autorità locali quello che era successo a Liska.

Era però convinto che a Isling non sarebbero stati troppo zelanti nel condurre l’inchiesta, e nemmeno lui, d’altra parte, aveva intenzione di aiutarli molto.

8

Tornato a casa, Graham dormì profondamente fino al pomeriggio del giorno dopo. Il lungo sonno lo ricompensò delle estenuanti emozioni: una leggera colazione fu sufficiente a rinvigorirlo. Poi lo scienziato si mise a scorrere la posta arrivata durante la sua assenza. Una busta rigonfia attirò subito la sua attenzione. L’aprì togliendone un foglietto scritto a mano, e una seconda busta.

Sul primo foglio lesse:

6, Hammervil Ct.

Londra W.C.1.

7 agosto

Caro professor Graham,

il manoscritto qui accluso è stato trovato nell’ufficio del defunto professor Charles Alton.

Lo scienziato stava scrivendo il vostro indirizzo quando è rimasto vittima di un fatale

incidente. Nel caso desideriate altri particolari, mi troverete sempre a vostra disposizione

all’indirizzo sopra segnato…

La lettera era firmata da James Martin, il segretario di Alton.

Sulla seconda busta, una mano tremante aveva tracciato l’indirizzo di Graham. La scrittura incerta e disuguale aveva solo una vaga rassomiglianza con quella chiara, bella e leggibile di Charles Alton. L’archeologo strappò la busta e ne tolse numerosi fogli scritti a mano. Con una rapida occhiata si rese conto della stupefacente trasformazione progressiva che la scrittura del filologo aveva subito. Ferma e netta all’inizio, si deformava a mano a mano per finire in ghirigori quasi incomprensibili.

Senza aspettare oltre, Graham cominciò a leggere, e più volte, nel corso della lettura, dovette fermarsi, incerto di aver capito giusto.

È un uomo morto che vi scrive. Quando leggerete questa lettera, io avrò già raggiunto l’immensa massa dei simboli, per decifrare e tradurre i quali ho speso tutta la vita. Saranno, queste che vi scrivo, le mie ultime parole. Voi ne siete il depositario più degno e il più competente. Voi che siete la causa involontaria della mia fine.

Il mio istinto mi dice, senza possibilità di equivoco, che la mia ora è vicina. Io l’accetto poiché è stabilito che ognuno deve accettare il proprio destino, ma me ne vado con il rimpianto di non essere giunto ad una comprensione piena e completa di questo ultimo problema che mi avete sottoposto. Vi ho chiamato al telefono, ma eravate assente e non ho potuto parlarvi. E non avrò più, ne sono certo, l’occasione di farlo. Le mie ore sono contate, molto parsimoniosamente! Posso dunque solo scrivere quello che avrei voluto dirvi. Spero soltanto di arrivare alla fine di questa lettera.

Per la verità, credo che nessun altro al mondo avrebbe potuto misurarsi vittoriosamente con l’iscrizione che mi avete chiesto di decifrare. Non è peccato d’orgoglio il mio! Devo soltanto al caso di aver indirizzato i miei studi e le mie ricerche in un campo che altri scienziati, per valore e intelligenza non inferiori a me, non hanno approfondito.

È dunque per il timore che altrimenti vada perso questo mio sforzo finale, e con la speranza che voi arriviate a capire la natura del fenomeno che fra breve mi spezzerà la vita, che io vi mando i risultati delle mie fatiche, anche se incompleti e incerti. Essendo inoltre al corrente che vi siete ingolfato in una terribile avventura, mi auguro che la mia sorte vi illumini sui pericoli che vi minacciano.

Come sapete, ho passato la maggior, parte della mia vita viaggiando. L’interesse che ho sempre nutrito per le lingue, sia quelle vive sia quelle morte, mi ha spinto fin nei più remoti paesi dove ho vissuto parecchie avventure. Le mie ricerche sulle origini e gli sviluppi dei linguaggi mi hanno condotto a studiare moltissimi popoli, terre, secoli, e muoio prima di essermi impadronito della completa conoscenza dei diversi simboli usati dall’uomo. Questo è stato il sogno di tutta la mia vita. E anche se non l’ho raggiunto appieno, ho però acquistato una grande familiarità con le lingue scritte e parlate di tutto il mondo. Sono pure riuscito a scoprire una lingua fino ad oggi sconosciuta, e un’altra ancora completamente caduta in dimenticanza. Sono questi due linguaggi che nel nostro caso hanno avuto somma importanza.

Circa quindici anni fa, presi parte alla spedizione Richter-Angley. Partiti daHyderabad,ci siamo diretti verso nord, sino a Chitral, vero punto di partenza agli effetti della spedizione. Da qui seguimmo un difficile percorso attraverso la catena montuosa del Kush, superando l’altipiano del Pamir per proseguire verso i monti Altai e poi, ad Est, attraverso il deserto dei Gobi in direzione di Pechino. Nostro scopo era di ritrovare le tracce dell’uomo primitivo nella regione nota con il nome di Culla dell’Umanità.

Fummo molto fortunati, quella volta. A circa duecentoventi chilometri a nord di Chitral, in una regione assolutamente selvaggia, incappammo miracolosamente nelle rovine di un tempio, o santuario che fosse. Qui facemmo la prima importante scoperta: qualche foglio di antica pergamena, tutto ciò che restava di un’opera che in origine doveva essere assai voluminosa. Quei fogli erano coperti da caratteri che avevano un lieve legame con il sanscrito, ma assai più antichi di quella pur antichissima lingua. Per darvene meglio un’idea, dirò che somigliavano al sanscrito come l’inglese moderno somiglia all’anglosassone originale.

Battezzai questa nuova lingua col nome di Kanja in onore della località dove avevamo trovato i frammenti di pergamena. In seguito, rifacendomi appunto al sanscrito, identificando le radici delle nuove parole e cercando di indovinare quando i metodi sintetici e analitici non mi potevano aiutare, riuscii a compilare una traduzione corredata da una grammatica rudimentale e da una ipotetica pronuncia dell’antico linguaggio. Può darsi che abbiate visto la monografia da me pubblicata sull’argomento:Iframmenti Kanja, tradotti con note sulla loro relazione con il sanscrito.

Quegli scritti erano di natura religiosa e comprendevano brani di un rituale. Tralascio qui la spiegazione dettagliata del loro contenuto che non ha nulla a che fare con quanto ci interessa.

Molti anni più tardi, partecipai a un’altra spedizione che si spinse all’interno del continente nero. E fu laggiù, in Africa, che feci la mia seconda scoperta: il dialetto Ulonga, di cui nessuno aveva mai sentito parlare. A quell’epoca io cercavo di completare i miei studi comparativi sui primitivi linguaggi africani. Feci la scoperta in quella parte dell’Africa dove si estendono i territori dell’Abissinia, dell’Uganda e del Sudan, ed ebbi la fortuna di poter realizzare qualche registrazione. Non potrò mai completare gli studi già a buon punto, e non pubblicherò mai i risultati del mio lavoro, ma non considero perse le mie fatiche poiché quelle registrazioni mi hanno fornito la chiave per decifrare la vostra iscrizione.