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Devo riconoscere però che senza le vostre annotazioni su come avete creduto di sentir pronunciare le misteriose parole, io mi sarei trovato in alto mare o, nella migliore delle ipotesi, avrei impiegato interi mesi per ottenere gli stessi risultati. Ma questi risultati mi pongono un nuovo problema nel momento in cui la mia vita sta per finire.

Dunque, io ho lavorato sui frammenti Kanja, sul dialetto Ulonga, sull’iscrizione di Isling e sulle frasi delle quali mi avete fornito la pronuncia. Mi piacerebbe sapere dove avete sentito quelle parole, e saldare l’una all’altra le maglie misteriose di questa enigmatica catena. Ma non lo saprò mai.Irimpianti quindi sono inutili, e mi manca il tempo per fare supposizioni.

Usando gli elementi a mia disposizione, potevo seguire due metodi di ricerca. O accostare i frammenti Kanja alla iscrizione di Isling comparandone le radici (e questo sarebbe stato il metodo più logico, ma anche il più lungo), oppure cominciare dalla vostra annotazione, paragonandola al dialetto Ulonga e, in seguito, agli scritti Kanja. Questo sistema, per quanto meno sicuro, era però assai più rapido, ed è quello che ho scelto tenendo conto della fretta che avevate dimostrato per conoscere la traduzione. Naturalmente mi riservavo di adoperare in seguitoi duesistemi alternativamenteper unapiù accurata verifica.

La mia fatica fu assai semplificata dalla riproduzione dei suoni da voi uditi. N’ga n’ga clretl ust s g’lgggar assomiglia stranamente a un canto ulonga che comincia così: ’Nya ’Nya ke re telus tse gul ge gegar. Le piccole differenze di pronuncia si spiegano con facilità con le modifiche apportate dai secoli al linguaggio unicamente parlato.

E in realtà dovremmo piuttosto stupirci che queste differenze non siano molto più sensibili, considerando che il territorio ulonga è lontano migliaia di chilometri da Isling.

Ho avuto la certezza che quello da voi sentito altro non fosse che il canto ulonga, o piuttosto una forma anteriore, e quindi più pura, di quel canto. Se le parole da voi sentite corrispondevano veramente alla iscrizione di Isling, il canto ulonga era dunque solo la contropartita dell’iscrizione, e io mi trovavo in possesso della pronuncia e del testo scritto di cui non avevo mai sospettato l’esistenza.

Ammesso ciò, il problema diventava relativamente facile: si trattava solo di assegnare la raffigurazione grafica alle parole chiave e di colmare le lacune servendosi del dialetto africano. Feci dunque le due cose. Forse non riesco a spiegarmi bene, e quanto vi dico appare poco chiaro, ma in realtà il procedimento era molto semplice, e dal momento che io conoscevo già il significato del canto ulonga, così potevo dire di conoscere il senso dell’iscrizione di Isling. Più esattamente dirò che ero a conoscenza dell’equivalente in lingua inglese, perché non posso giurare di sapere esattamente il senso reale o nascosto di quelle frasi. Le tribù ulonga hanno custodito per tradizione un rito che si è tramandato di generazione in generazione sin da tempi lontanissimi, ma del quale ormai non si conosce più l’origine né lo scopo. Può darsi, e ve lo dico per scrupolo, che abbia un significato particolare il fatto che gli Ulonga si voltino sempre verso Est, e tengano il viso levato al cielo, quando cantano la loro nenia.

Le mie forze diminuiscono rapidamente. Sento che non mi rimane più molto da vivere. Troverete qui unita la trascrizione della pronuncia esatta dell’iscrizione e l’equivalente in inglese. Il fenomeno fatale al quale ho accennato più su sta per avere ragione di me. Ne parlo soltanto perché sembra che abbia qualche rapporto soprannaturale con il problema di cui ci occupiamo.

Circa due ore fa, avevo appena terminato la mia fatica, lessi l’iscrizione di Isling ad alta voce per rendere queste strane frasi il più pronunciabili possibile per comunicarvene il suono. Avevo appena pronunciata l’ultima parola e la sua eco si era spenta nell’aria, quando mi sentii avvolgere da un silenzio innaturale in un’atmosfera diventata stranamente elettrica. Immaginai, a tutta prima, che quella sensazione fosse dovuta allo sforzo eccessivo al quale mi ero assoggettato nelle ultime ore. E allorché mi sembrò di sentir ripetere in lontananza le parole che io stesso avevo appena finito di pronunciare, pensai di essere sull’orlo dell’esaurimento nervoso. È stata un’illusione, la mia? Io non lo so, Graham, e non lo saprò mai.

Una voce gutturale e orribile, di una cacofonia atroce, impossibile a descriversi, sembrava suscitare l’eco ormai spenta. Le pareti della biblioteca parvero allontanarsi all’infinito come in un incubo diabolico, e io mi sentii sperduto al centro di uno spazio senza limiti, avvolto da una palpitante radiazione verdastra, in balia di forze extraterrene. Reagii dibattendomi con tale violenza per sfuggire alla morsa che mi serrava, che andai a sbattere con la testa contro lo spigolo del camino e svenni.

Quando ripresi i sensi, ero terribilmente debole e sconvolto dalla nausea. E mi trovavo steso in una gran pozza di sangue. Capii subito che il colpo e la perdita di tutto quel sangue non potevano avere che un risultato. Sono adesso sotto l’effetto di una profonda depressione. Pazzia, o l’avvicinarsi della morte?

Ho risvegliato forse una potenza sconosciuta che si vendica su di me?

Le idee mi si confondono e non riesco più a dominare i miei pensieri. Ma comincio però a capire come mai voi conoscete la pronuncia di una parte dell’iscrizione di Isling. Che il destino vi protegga, e che la vostra sorte sia migliore della mia.

Che cosa ho visto?

La lettera finiva qui. La firma sarebbe stata illeggibile per chiunque non avesse avuto la familiarità di Graham con la scrittura di Alton. Profondamente turbato, l’archeologo ripiegò le pagine lette e prese a considerare la traduzione fatta dal filologo.

Come al solito, il professore aveva scelto un lavoro accurato. Aveva copiato su un’unica riga i segni e i simboli dell’iscrizione, sotto aveva trascritto le corrispondenti sillabe del canto ulonga, sotto ancora veniva la pronuncia corretta, e infine, su un’ultima riga, c’era la traduzione in inglese.

Dopo un rapido sguardo all’insieme, Graham si concentrò sulla traduzione.

La sua fronte si corrugò mentre leggeva:

Svegliatevi! Lontani Titani del Tempo, e dello Spazio, e dell’Esistenza, creatori della Vita, creatori della Morte, creatori dell’Energia. Nel giorno destinato dagli astri, scendete dal vostro immenso mondo, attraverso le stelle, fino a questo piccolo mondo che voi avete creato. Prendete quello che è vostro e tornate nel vostro universo. O Guardiano del Sigillo, prendi tutto quello che i Titani ci hanno dato e che appartiene a loro, poiché loro stessi lo riprenderanno nel giorno che è stato fissato nelle stelle. Noi apparteniamo a te come a loro. E, aspettandoli, noi ti preghiamo. Titani remoti svegliatevi!

Chi erano questi Titani invocati? Chi era il Guardiano del Sigillo? Forse quella piccola fantastica statuetta verde? Che cosa significava quel parlare di immensi mondi lontani? Quel rito era dunque solo un innocuo e incoerente vaneggiare superstizioso?