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Continuò a marciare per ore e ore. Il sentiero saliva sempre più in alto sulle altissime montagne che si rizzavano da ogni lato. Buio ovunque, tranne sul sentiero che restava visibile. Quando giunse a una certa altezza, le tenebre si fecero meno fitte. Davanti a lui si stendeva un cerchio a forma di coppa, circondato da massi giganteschi sui quali stava sospesa una fosforescenza leggera e impalpabile che ne illuminava la grandezza maestosa. Lentamente, seguendo il viottolo che varcava l’orlo della coppa, l’uomo discese nel circo.Icorpuscoli luminosi che formavano la fosforescenza palpitavano, e l’aria era percorsa da fremiti.

Si sarebbe detto che l’arrivo di Graham fosse atteso.

Quando giunse al centro geometrico del circo, Graham si fermò, proprio sull’orlo di un abisso. Allora le particelle luminose si raggrupparono a formare un cerchio di fiamme turbinanti. Prima che lui potesse muoversi, un solido muro di fredde radiazioni si alzò con un’immensa ondata.

E tutta la luce divenne fiamma. E tutte le fiamme divennero oro. Un gemito lontano si levò, crebbe, ingigantì. E tutta la luce divenne fiamma, e la fiamma era verde. L’aria sembrava vivere animata da una forza titanica, e uno scroscio, simile a quello di una cascata nella quale si fossero riunite tutte le acque della terra, annullò ogni altro rumore.

E tutta la luce divenne fiamma, e la fiamma era nera. Urlavano le tempeste scatenate negli abissi, e un tunnel saliva oltre gli spazi sconfinati dell’Universo. Sconvolto, stordito da tutte quelle forze incontrollabili, in balìa della loro furia selvaggia, l’uomo tentò di gridare, ma nessun suono gli usci dalla gola contratta.

E la fiamma si ammassò, si proiettò verso lozenith,trasformata in un’enorme e solida colonna di fuoco al sommo della quale si raggruppò una incandescenza ancora più viva. Graham cercò di muoversi, ma ormai era allo stremo. Improvvisamente al centro dell’uragano la colonna si immobilizzò come… come se essi aspettassero…

Riuscì finalmente a muoversi vacillando. Si diresse verso il pozzo, sballottato, flagellato dal vento. Tentò di afferrarsi a qualcosa per non essere trascinato via, scivolò, e infine poté urlare. Ma troppo tardi, troppo tardi… Gli giunse soltanto la risposta del vento turbinante intorno alla colonna di fuoco.

A una distanza incalcolabile, incredibile, vide l’infuocato flusso vivente lanciarsi come un razzo nelle profondità dello spazio.

Gridò ancora e ancora. Gli rispose un gemito inumano, il respiro del mare senza confini, l’eco di una voce cosmica che si allontanava nel nulla. E Graham sprofondò nell’abisso.

Ebbe l’impressione di precipitare da una grande altezza entro una voragine senza fine. Poi si ritrovò immerso nell’acqua fredda, e aprendo gli occhi si accorse di dibattersi in un mare quasi tranquillo. Nel cielo, un punto ingrandiva a vista d’occhio scendendo verso di lui. Lo seguì con lo sguardo, ma non provò alcuna gioia al pensiero di essere tratto in salvo. La grande stanchezza che era in lui gli impedì perfino di stupirsi del fatto che lì intorno non ci fosse traccia dell’Isola di Pasqua. Non sapeva se era vivo o morto, e se quello che vedeva fosse il segreto dell’Eternità.

L’oggetto si fermò rimanendo perfettamente immobile a un centinaio di metri sopra la sua testa. Stava così sospeso nell’aria senza alcun sostegno. Graham non capiva dove fosse situato il motore di quell’eccezionale aereo, indubbiamente assai più grande di qualsiasi apparecchio mai visto. La sua forma faceva pensare a un enorme gettone posato su una carta da gioco. Il rivestimento era di una sostanza opaca e sottile, dai riflessi ambrati.

Un portello si aprì in un fianco dell’apparecchio, e un uomo ne uscì dirigendosi verso Graham. L’archeologo osservava stupefatto la straordinaria scena, e ne fu così sbalordito da dimenticarsi di essere in mare, cosa questa che gli procurò una solenne bevuta di acqua salata, seguita da un attacco di tosse. L’uomo uscito dall’aereo scendeva nell’aria come se seguisse il tracciato di una scala invisibile. Aveva un aspetto grottesco: la testa troppo grossa sopra il corpo minuscolo e gracile, le membra lunghe e sottili come le zampe di un ragno, e immensi occhi profondi.

Si fermò poco sopra Graham e gli rivolse la parola. La parlata dolce e fluida ricordava il cicaleccio di un uccello, e non assomigliava a nessuna lingua conosciuta. Graham pensò di essere emerso in un altro mondo, posto forse all’altra estremità della colonna luminosa. Lo straniero guardava l’archeologo con aria non meno sorpresa. Lo scienziato gli rivolse la parola in inglese, e non ottenendo nessun risultato provò con qualche frase nelle lingue che aveva imparato qua e là durante le sue esplorazioni: spagnolo, francese, tedesco, italiano. Tentò persino con il latino, il siamese, l’arabo e qualche parola in cinese, ma lo sconosciuto continuava a fissarlo con espressione sempre più sorpresa. Finalmente lo strano essere si decise a togliere Graham dall’incomoda posizione: gli si avvicinò maggiormente tendendogli una mano. Lo scienziato sorrise, convinto com’era di sognare. Levò dall’acqua un braccio intorpidito alzandolo verso la mano tesa, certo di mettere, con quel gesto, la parola fine alla strana visione. Ebbe una scossa nel sentire quanto fosse reale la mano che afferrò la sua, e l’effetto aumentò quando si rese conto che la fragile creatura, che lui pensava uscita dalla sua fantasia, nonostante l’apparente gracilità era in grado di strapparlo dal mare e di sollevarlo con sé senza sforzo lungo l’invisibile scala per portarlo verso il bizzarro apparecchio.

L’assurdo della situazione fece ridere Graham. Quella risata fu una reazione dopo la tensione alla quale era stato sottoposto durante l’estenuante marcia in mezzo alla tempesta, dopo tutte le prove che avevano frustrato la sua vitalità.

Adesso provava la piacevole sensazione di fluttuare leggermente nel cielo, tenuto per mano dallo gnomo grottesco che lo fissava con uno sguardo grave e assorto nel quale Graham lesse un’infinità di domande.

Lo strano personaggio introdusse Graham nell’apparecchio immobile. Dal momento in cui pose piede nell’eccezionale velivolo, l’archeologo fu assalito da un cumulo di emozioni che si accavallavano rapide le une alle altre. Vide subito molti altri esseri simili al suo salvatore. Uomini e donne. Queste ultime erano quasi identiche ai maschi, avevano il torace piatto, la testa calva, e gambe e braccia ugualmente sottili.

La guida condusse il naufrago in una stanza dove Graham poté cambiare i suoi vestiti inzuppati con una specie di tunica confezionata con stoffa dai riflessi di bronzo e che, al contrario dell’apparenza, era soffice e calda. Improvvisamente si rese conto di aver fame, e cercò di spiegare all’ospite, con gesti, la sua necessità. L’ometto capì e lo lasciò solo per tornare quasi subito portando alcune fiale piene di liquidi diversi. Graham ne ingoiò il contenuto il cui gusto gradevole non gli ricordò nessuna bevanda conosciuta, e immediatamente si sentì rinvigorire. Tutti i suoi sensi si affinarono registrando sensazioni più nette. Senza dubbio quei liquidi avevano maggior potere nutritivo, e un effetto più rapido, di quelli ai quali era abituato.

Il successo ottenuto indicando a gesti la sua necessità di mangiare, gli suggerì il modo per arrivare a comunicare con gli strani ometti che lo ospitavano. Cominciò a indicare uno per uno gli oggetti che lo circondavano, e ogni volta qualcuno dei presenti ne diceva il nome. A poco a poco, con quel sistema, riuscirono a formare un rudimentale vocabolario per i sostantivi. Più difficile si dimostrò invece la faccenda, quando si trattò di passare ai verbi. Riuscirono a mettersi d’accordo sui più facili, come ad esempio: mangiare, camminare, scrivere, parlare. Le parole che Graham vide scritte da qualche parte nella stanza, o su etichette o sopra alcuni schermi, gli sembrarono più familiari di quelle che sentiva pronunciare. Apparentemente quegli strani esseri usavano una specie di stenografia per il linguaggio parlato.