Posata per terra la valigia, lo scienziato ne tolse un piccone a manico corto, un martello da geologo e una piccola vanga, poi si guardò attorno con attenzione. Il luogo aveva la forma di un cerchio imperfetto, con un diametro di circa duecento metri, e si trovava al culmine di una piccola altura. A giudicare dalle erbacce che crescevano folte dappertutto, dovevano essere moltissimi anni che nessuno più si prendeva cura della necropoli. Graham fece il giro completo del cimitero, osservando ogni particolare e chinandosi a esaminare le iscrizioni. Per la maggior parte, parole e date erano illeggibili, e quelle che poté decifrare datavano da un’epoca anteriore alla regina Elisabetta. Terminata l’ispezione, Graham tornò ai suoi attrezzi, li raccolse, e andò a mettersi al centro della necropoli, dove il terreno era leggermente sopraelevato. Una volta lì si guardò ancora attorno con aria pensosa, e un’ombra di dispetto apparve sulla sua faccia espressiva.
Curioso, mormorò fra sé. C’è qualcosa che non è come dovrebbe. A meno che io non abbia passato tutti questi anni a prender granchi, qui dovrebbero esserci i resti di un monumento o di un altare pagano. Invece non c’è niente, assolutamente niente!
Continuò a scrutare in ogni direzione finché notò un punto in cui l’erba appariva calpestata e la terra smossa di recente. Graham decise di cominciare da lì. Infilò i guanti, strappò le erbacce, e impugnata la pala si mise a scavare con cautela. Aveva raggiunto appena una profondità di pochi centimetri, quando l’attrezzo urtò qualcosa traendo un suono metallico. Allora Graham abbandonò la pala e si mise a togliere la terra con le mani per portare alla luce l’oggetto trovato. Lavorava con precisione e metodo, e con grande attenzione. Il sudore gli colava dalla fronte. Finalmente si rialzò reggendo una vaga forma di colore grigio verdastro.
Mai niente fu maneggiato con tanta cura quanto quel piccolo oggetto.
Graham esaminò a lungo la sua scoperta passando dalla sorpresa alla contemplazione. Un’ombra sembrò oscurare il cielo, e attorno a lui tutto diventò buio. L’oggetto che Graham teneva fra le mani non misurava più di dieci centimetri, ma pesava enormemente, ed era scolpito in un materiale che lo scienziato non conosceva: né metallo né pietra, ma quasi una straordinaria mescolanza dei due elementi. Piccole cavità, parte integrante della forma, solcavano tutta la superficie. La superficie verdognola trasudava un umore viscido. La cosa più straordinaria però era l’effetto di arcana potenza che ne emanava, quasi che la statuetta avesse il dono di trasformarsi da pietra in metallo e da metallo in altra materia misteriosa. Le mani di Graham si serrarono con forza intorno all’oggetto i cui contorni cominciarono improvvisamente a vibrare, e lo scienziato si sentì trasportare in un altro mondo, in un universo sconosciuto eppure bizzarramente familiare, come se fosse stato ricacciato indietro agli inizi del tempo, in mezzo ai ricordi ancestrali della sua razza, in un’epoca di mondi fiammeggianti, ed ebbe la sensazione che la fantastica statuetta si dilatasse in maniera abnorme ergendosi sopra di lui simile a una gigantesca stele svettante nel cielo come un magico titano delle stelle.
Durante le sue spedizioni Graham aveva assistito a molti spettacoli inusitati o terrificanti, mai però aveva conosciuto la paura come in quel momento. Ebbe la tentazione di ricacciare nella terra la pazzesca immagine, e questa volta per sempre.
Lentamente, con grande sforzo, riuscì a vincere l’angoscia che per un attimo l’aveva sopraffatto. Posò a terra la statuetta e indirizzò la sua attenzione sulla terra smossa. L’esperienza gli suggeriva di scavare più profondamente e sebbene il suo subcosciente gli suggerisse di non cercare altro, riprese la pala e ricominciò a togliere terra.
Passò un’ora. Graham continuava a lavorare e a sudare. S’interruppe solo un attimo per ingoiare alcune pillole energetiche e qualche sorso d’acqua della borraccia.
Un campanile batté le sei, poi le sei e mezzo. Gli restava meno di un’ora se voleva tornare a Isling in tempo per trovare ancora la macchina che l’avrebbe riportato a Westmor permettendogli di prendere l’ultimo treno. Aveva ormai deciso di rinunciare alle ricerche, quando il piccone incontrò un ostacolo che diede lo stesso suono metallico che aveva annunciato la scoperta della statuetta.
Graham non aveva previsto di trovare un secondo oggetto uguale al primo, e ne fu assai sorpreso. Ormai allo stremo delle forze, e terribilmente affamato, affrettò il più possibile i suoi movimenti per mettere infine termine a quella giornata estenuante.
Ben presto apparve una superficie piana dello stesso colore verde. Non si trattava di un’altra statuetta. Erano le sette meno un quarto. Tolse con le mani ancora un po’ di terra, poi si inginocchiò per osservare da vicino la superficie verde, e la sua faccia prese un’espressione sconcertata: aveva aggiunto un nuovo mistero a tutti quelli che già rendevano perplessi gli archeologi. Due iscrizioni, i cui caratteri non assomigliavano ad alcun segno conosciuto, erano incise profondamente sulla lastra, e tra le due diciture spiccava un’accozzaglia di simboli geometrici che non avevano niente in comune con quelli tradizionali di Euclide.
Più cercava di dare un senso alla sua scoperta e più la trovava incomprensibile.
Il suo stato d’animo era molto simile a quello dei filologi di fronte ai geroglifici prima della scoperta della celebre pietra Rosetta con la sua iscrizione bilingue. Graham si rimproverò aspramente per non aver portato anche una macchina fotografica.
Le sorprese però non erano finite. Lo scienziato passò una mano sui simboli indecifrabili, e la terra si mosse. La lastra si ribaltò, divenne un angolo, un arco, un ovale, una linea retta, un punto, e scomparve sovvertendo tutte le leggi che regolano la geometria. Sotto lo sguardo sbalordito di Graham, apparve una voragine tenebrosa, un tunnel che sprofondava nel mondo. Dall’abisso salì un soffio di aria antica, assai più antica di quella che colpisce chi penetri in una piramide… Graham fece un gesto, e istantaneamente avvenne il fenomeno inverso. L’enigma geometrico si ripropose, e Graham si ritrovò inginocchiato su una solida lastra di… di che cosa?
Passò qualche minuto prima che lo scienziato fosse di nuovo in grado di ragionare. Si guardò le mani che a quanto sembrava erano state l’inconscio strumento dell’imponderabile, e vide che tremavano. Si rialzò, ancora stordito, uscì dallo scavo e si affrettò a richiudere la fossa. Il vento e il fatto di sentirsi tra le mani la pala servì a rendergli la coscienza della realtà, e quando la superficie verde scomparve sotto uno spesso strato di terra, Graham tirò un sospiro di sollievo. Colmato l’avvallamento, avvolse la statuetta in un pezzo di tela e raccolse gli attrezzi. Non tentò nemmeno di far sparire le tracce del suo lavoro: dal macabro recinto emanava un tale fluido soprannaturale, proveniente da un tempo così lontano, che bastava da solo a tenere lontani gli abitanti di Isling, senz’altro curiosi ma soprattutto superstiziosi.
Nonostante la stanchezza, Graham si sentiva eccitato, certo com’era di aver fatto una scoperta sensazionale. Adesso avrebbe dovuto chiedere l’assistenza di persone pratiche di ricerche archeologiche per poter continuare i lavori nel Cimitero del Diavolo, e non le avrebbe certamente trovate a Isling. Per prima cosa però bisognava depositare la statuetta verde al Museo e studiarla sin nei minimi particolari, comparandola alle riproduzioni esistenti di sculture primitive rinvenute in Africa o nell’America Centrale o in Oceania.
Il giorno ormai era al termine, ma il caldo era ancora opprimente. Prima di uscire dal cimitero, Graham si voltò un attimo e si credette vittima di un’illusione ottica dovuta forse alla stanchezza: l’aria era nettamente visibile e oscillava lenta, sopra la fossa appena ricoperta come l’onda di un mare misterioso…