Graham raggiunse Isling alle otto in punto, buttò la valigia nella macchina e si lasciò cadere esausto sul sedile posteriore. Dalla velocità con cui l’auto filò in direzione di Westmor, lo scienziato capì che l’autista era stato messo al corrente di tutte le superstizioni locali.
Le prime stelle brillavano già quando Graham arrivò alla stazione. Si preoccupò di trovare uno scompartimento interamente vuoto per poter riguardare la sconvolgente statuetta al riparo da occhi indiscreti, e prima della partenza del treno, ebbe anche il tempo di bere un bicchiere di birra e di mangiare un panino. Poi, il convoglio si mosse sferragliando, e il rumore ritmico delle ruote accompagnò i pensieri di Graham comodamente appoggiato al morbido schienale. Guardava dal finestrino con aria assente e ripensava all’amore infelice, causa prima della scelta di un’occupazione che l’aveva portato fin nei punti più remoti del mondo. Poi, l’interesse della ricerca nei posti dove esistevano le testimonianze delle antiche civiltà aveva sostituito la vecchia passione amorosa con la passione per l’archeologia. L’Atlantide, Anghor-Vat, Stonehenge, l’Isola di Pasqua, la Sfinge, le città sepolte dell’Africa del Nord, tutti questi nomi avevano il potere di accelerare i battiti del suo cuore con i loro misteri affascinanti. Chi aveva scolpito e innalzato i colossali monumenti e le statue gigantesche che ancora resistevano al tempo? Perché nessuno era mai riuscito a identificare i geniali costruttori? Domande senza risposta, enigmi indecifrabili! Dal giorno in cui era stato conquistato dal fascino dell’archeologia, quei misteri non avevano mai cessato di ossessionarlo. Spesso si era immaginato di essere prossimo alla soluzione, e ogni volta se l’era vista sfuggire. Ma adesso sentiva che la scoperta di Isling era più importante di ogni altra.
Scuotendosi dal torpore che l’aveva colto, Graham aprì la valigia e ne tolse la statuetta. Ancora riprovò la sensazione di essere sospeso sul vuoto, di nuovo risentì l’angoscia che gli veniva comunicata dall’immagine i cui contorni tornarono a vibrare come l’aria infuocata della superficie di un deserto. Quel fenomeno era del tutto incomprensibile. La stamina possedeva dunque il potere di provocare anche illusioni ottiche? O era la fatica che gli giocava brutti scherzi? Eppure si era sottoposto a fatiche assai più dure, e i suoi nervi non avevano mai ceduto! Pensò ai paradossali postulati della matematica einsteiniana e immediatamente ricordò il fenomeno della pietra verde che si era ribellata alle più solide regole stabilite dalla fisica. Questo lo portò a una conclusione: se la lapide era in grado di sfuggire alle più elementari norme della fisica, anche la statuetta poteva eluderle, poiché era composta della medesima sostanza.
Perplesso, Graham esaminò la superficie verdastra. L’aspetto apparente era quello di una mica porosa, ma aveva la durezza del quarzo, il peso dell’oro e la fluidità del mercurio. Quella strana materia dalle proprietà ancora più strane, suggeriva il confronto con parecchi metalli conosciuti e minerali noti, ma conservava una qualità particolare. Be’, sarebbe stato compito dei fisici e dei chimici stabilirne la natura. Lui si sarebbe limitato a prendere visione delle analisi di laboratorio.
Continuò il suo esame cercando di determinare l’uso e la funzione della statuetta, irritato di non essere in grado di stabilirne bene la forma a causa delle vibrazioni. Sembrava l’immagine di un mostro, ma non appena era certo che fosse tale, ecco che assumeva l’aspetto di un antico dio, magnifico e terribile, suggerendo l’idea di un gigantesco titano proteso verso le stelle… Superba quell’impressione di immensità! Se almeno fossero cessate quelle vibrazioni, lui sarebbe riuscito forse a dare un nome a quella fantastica cosa. Infine, stordito dal continuo movimento dell’oggetto, Graham ne distolse lo sguardo. Provava il desiderio irresistibile di distruggere la statuetta, di calpestarla per sentirla urlare, di gettarla dal finestrino o meglio ancora di ridurla in mille pezzi, ma sapeva bene che non l’avrebbe mai fatto non solo per il fascino che ne emanava, ma anche e soprattutto perché ne intuiva la latente energia che la rendeva simile a una dinamo in riposo. Gli sembrava che una immensa forza fosse in agguato nella piccola cosa, pronta a esplodere incontenibile appena ne avesse ricevuto l’ordine…
Frastornato da tutte le idee che gli frullavano nel cervello, Graham rigirò la statuetta a testa in giù, e vedendo che sulla base era rimasto appiccicato uno strato di terra, usò un temperino per ripulirla. A poco a poco apparve la superficie verde, a poco a poco Graham poté leggervi le medesime iscrizioni, gli stessi simboli visti qualche ora prima a Isling sulla lapide.
Graham si stupì una volta di più. Le mani che avevano modellato la statuetta erano dunque le stesse che avevano inciso la grossa pietra. Ma qual era il motivo di quella doppia iscrizione? Sarebbe riuscito a scoprirne il significato? Ecco un nuovo punto interrogativo che veniva a infittire il mistero. Graham non era un glottologo, ma era dotato di notevole perspicacia e aveva familiarità con la storia dei linguaggi. Conosceva i caratteri di tutte le lingue scritte, antiche e moderne che fossero, e pur non sapendole decifrare era però in grado di riconoscere a vista il sanscrito dei cinesi, i geroglifici del popolo Maya, il siamese primitivo e tutti gli altri, ma per quell’iscrizione frugò invano nella sua memoria: quei segni non erano paragonabili a nessun altro. Era forse la lingua degli Atlantidi? Era la forma del primo linguaggio che aveva preceduto di millenni tutti gli altri? Chi aveva inciso quelle parole, e quale mente le aveva suggerite? C’erano poi i segni geometrici, simboli stenografici di un sistema matematico super-einsteiniano, relativo a un tempo multiplo e a uno spazio multiplo. Soltanto due figure avevano un significatoper Graham: duecerchi contenenti un gran numero di punti disposti diversamente. Lo scienziato tolse di tasca una lente d’ingrandimento e dopo un lungo esame si convinse che uno dei cerchi riproduceva l’attuale posizione delle stelle. Anche l’altro circolo doveva essere una carta astronomica, ma le costellazioni che vi erano segnate gli risultavano del tutto nuove. Forse si riferivano a un diverso frammento dell’universo. Forse erano le medesime stelle del primo cerchio ma viste da un osservatorio situato in un’altra galassia. Forse non si riferivano allo spazio ma al tempo…
Con un gesto d’impazienza, Graham avvolse ancora la statuetta nel pezzo di tela, e la ficcò in valigia. Guardò l’orologio: le undici meno venti. Ancora un’ora di viaggio. Si accomodò meglio sul sedile imponendosi di pensare ad altro, tanto avrebbe avuto tutto il tempo possibile per dedicarsi a quel problema. Delle microfotografie! Ecco, quelle gli sarebbero state utili…
Clic-clic, Clic-clic, Clic-cli…
Il ritmo regolare delle ruote e lo sballottamento del treno avevano un effetto calmante sui suoi nervi. Sentiva il bisogno di riposare corpo e cervello, e non vedeva l’ora di andare a letto…
Clic-clic, clic-clic…
Chiuse gli occhi, reclinò la testa sul petto e si assopì…
All’improvviso Graham sussultò raddrizzandosi mezzo intontito. L’orologio segnava le undici. Il suo assopimento era durato solo un quarto d’ora: qualcosa l’aveva svegliato. Si guardò attorno, scrutò nel corridoio attraverso la portiera, poi fuori del finestrino, ma non notò niente di anormale. Eppure… Eppure aveva la netta sensazione di una presenza… Tese l’orecchio, e oltre lo sferragliare del treno, lontanissimi, irreali, captò altri rumori. Forse si stava preparando un temporale Purché mi lasci il tempo di arrivare a casa!, pensò.
Ascoltò attentamente e di nuovo intese lo strano borbottio. Era veramente il temporale o si trattava del battito del suo cuore? O era qualcosa all’interno dello scompartimento? Concentrò l’attenzione, e il rumore crebbe d’intensità. Adesso era una voce che gridava parole incomprensibili e disumane, giungendo da una lontananza infinita.