Durante le ore di ozio forzato, lo scienziato cercò anche di ricostruire le sillabe gutturali che aveva sentito prima del disastro: N’ga n’ga rhthl’g clretl ust s g’lgggar septhulchu… Che significato potevano avere? Anche questo era un rebus da risolvere. L’unica cosa certa in tutta quella storia pazzesca era che, dal momento in cui si era cacciato in quel labirinto, aveva tutte le intenzioni di esplorarne i meandri, qualunque fossero le conseguenze che potessero derivargliene.
La tecnica moderna è in grado di permettere cose che i nostri padri non sognavano neppure. Così, tre giorni dopo il delicato intervento, Graham fu in grado di lasciare l’ospedale nascondendo sotto il cappello un’abile fasciatura non più ingombrante del necessario. Per prima cosa acquistò a un’edicola tutti i giornali che avevano parlato e ancora parlavano dell’incidente ferroviario. Lesse attentamente gli articoli che lo interessavano e diede un’occhiata agli annunci relativi agli oggetti smarriti.
Un paragrafo di uno dei primi articoli lo stupì enormemente. Diceva: Le cause della catastrofe, il cui bilancio è di diciannove morti e cinquantasette feriti, sono tuttora sconosciute. Le testimonianze raccolte permettono d’affermare che la strada ferrata era sgombra, ed escludono ogni possibilità di sabotaggio. Il macchinista, deceduto poco dopo la sciagura, non è stato in grado di fornire alcuna spiegazione. Ha potuto soltanto dichiarare che il treno era in perfetto orario e che la velocità del convoglio non superava in quel punto i cinquanta chilometri orari. Aveva appena imboccato un lungo rettilineo, quando un colpo terribile ha spezzato il convoglio in due. La locomotrice con i primi vagoni è deragliata, falciando la scarpata per duecento metri prima che le vetture le si serrassero attorno bloccandola. Quattro dei nove vagoni che formavano il treno sono rimasti appiattiti come se sulle vetture fosse piombata una montagna. Dai rottami contorti sono stati estratti undici corpi. Dei dodici passeggeri che si trovavano negli scompartimenti, uno solo si è salvato. Si tratta del conservatore del Museo Ludbury, che è stato ricoverato in gravi condizioni all’ospedale Middletown dove gli hanno riscontrato una frattura cranica…
Sui giornali dei giorni seguenti nessun particolare modificava le prime notizie, e i pezzi riguardanti la disgrazia erano ridotti a poche righe. Notizie più recenti godevano l’onore della prima pagina che si occupava particolarmente di un naufragio avvenuto nell’Atlantico. Ma Graham ne aveva abbastanza di incidenti e non si soffermò a leggerne il resoconto. In nessun giornale, si accennava alla valigia scomparsa.
Finita la lettura, lo scienziato chiamò un taxi e si fece portare a casa. Appena arrivato, si affrettò a telefonare a tutti i quotidiani perché ogni giorno, per sette giorni, pubblicassero il seguente annuncio: Lauta ricompensa a chi riporterà una valigia di cuoio scuro, recante nell’angolo superiore le iniziali C.E.G., o il suo contenuto. La valigia è andata smarrita nel disastro ferroviario di Nottington.
In seguito telefonò a un autonoleggio perché gli fosse tenuta a disposizione una buona macchina veloce. Un quarto d’ora più tardi entrò in possesso di una elegante cabriolet, e si mise al volante, sistemando un pacco sul sedile accanto.
Guidò piano, destreggiandosi in mezzo al traffico intenso, ma appena fuori dell’abitato, premette sull’acceleratore e in un’ora giunse sul posto del disastro. Fermata la macchina su un lato della provinciale, si avviò a piedi attraverso un prato per raggiungere la strada ferrata. Le rotaie erano già state riparate, i resti del convoglio portati via. Questo fatto limitava assai le sue speranze di ritrovare il bagaglio. Tuttavia Graham cominciò a cercare minuziosamente lungo entrambi i lati del binario, nelle siepi e sui campi laterali. Percorse così mezzo chilometro, e non una buca, non un ciuffo d’erba sfuggì alle ricerche. Trovò una quantità enorme di cose, bottigliette, pacchetti di sigarette, bottoni, bicchieri di carta, strisce di chewing-gum, e altri oggetti ancora, ma non trovò quello che cercava.
Fece ritorno alla macchina e riprese il viaggio, questa volta in direzione di Isling.
Fermandosi appena il tempo necessario per una rapida colazione, giunse al paese alle prime ore del pomeriggio. Senza perdere un minuto, imboccò la Vadia e arrivò al Cimitero del Diavolo. Preso con sé il pacco, chiuse la macchina ed entrò, dirigendosi verso il punto dei suoi precedenti scavi. Una breve occhiata gli rivelò che dopo di lui nessuno aveva messo piede nella necropoli. Senza perdere tempo si mise a rimuovere la terra interrompendosi di tanto in tanto per non affaticarsi troppo. La testa non gli pulsava dolorosamente anche perché il lavoro non richiedeva uno sforzo eccessivo dato che il terreno era già smosso. Scavò a lungo, e il cuore gli dava un balzo ogni volta che la pala urtava una pietra. Alla fine arrivò alla grande lastra verde, e si fermò per riprendere fiato. Era deluso e gli ci volle un po’ per rassegnarsi al fallimento. Dunque la statuetta non era lì!
Comunque non era andato lì soltanto per quello. Con infinita precauzione, pronto a balzare via al minimo accenno di pericolo, ripulì la superficie della lapide finché l’iscrizione non fu completamente visibile. Allora prese dal pacco una bottiglia contenente una polvere bianca con la quale ricoprì tutto il ripiano verde. Dopo un attimo soffiò. La polvere era penetrata nelle incisioni e in tal modo l’iscrizione risaltava nettamente bianca sul fondo verdastro.
Graham prese la macchina fotografica e il flash e scattò numerose fotografie. Per quel giorno il suo lavoro era finito. Riguadagnò l’orlo della fossa aspettandosi di vedere da un momento all’altro il vuoto sotto di sé, ma non accadde nulla. Quando raggiunse il terreno solido, emise un sospiro di sollievo. Un giorno o l’altro si sarebbe dedicato all’esplorazione della voragine che si spalancava sotto la lapide, ma per il momento doveva occuparsi d’altro.
Rientrò in città che era già notte. Consegnò il rotolo di pellicola a un assistente del Museo che aveva a casa sua una camera oscura perfettamente attrezzata e che gli promise di consegnargli le fotografie, sviluppate e ingrandite, per il mattino seguente alle nove.
Per quanto affaticato, Graham doveva fare ancora qualcosa. Dopo aver cenato nel ristorante abituale, lo scienziato rientrò in casa e restò al tavolo di lavoro sino a notte tarda, notando minuziosamente tutti i dati di cui era a conoscenza. Poi prese le vecchie note, il diario delle sue esplorazioni precedenti, le prove concrete che era riuscito ad accumulare in tutti quegli anni, e riunì il tutto.
Il mattino seguente prese visione delle fotografie. Erano riuscite perfettamente e mettevano in evidenza ogni particolare. Poiché i suoi annunci sui giornali per il ritrovamento della valigia non avevano dato alcun risultato, Graham pensava che l’unico sistema per procedere verso la soluzione del mistero fosse decifrare le iscrizioni della lapide. E questa era un’impresa tutt’altro che facile. Anche ammesso di riuscirvi, ci sarebbero voluti mesi, e forse anni, a meno di avere un colpo di fortuna che gli facesse scoprire la chiave del linguaggio misterioso. Da che parte cominciare?
Fu la pronuncia delle parole misteriose a metterlo sulla strada giusta. Gli sembrava che esistesse un rapporto tra le sillabe incise e i suoni gutturali uditi nello scompartimento la notte del disastro. Fece subito una telefonata.