«Pronto, professor Alton? Parla Graham. Professore, potreste fissarmi un appuntamento per questa mattina?… Sì, è molto importante, e interesserà anche voi, moltissimo. Si tratta di un’iscrizione che non ha niente in comune con tutte quelle conosciute. La sua origine mi sfugge del tutto e secondo me non ha alcun rapporto con le altre lingue vive, o morte che siano… Alle undici? Perfetto. Sarò puntualissimo.»
Riattaccò il ricevitore, assai soddisfatto. Alton si sarebbe scomodato anche in piena notte quando si trattava di decifrare un testo. La sua passione per la semantica e le sue cognizioni in merito erano enormi. Celebre filologo, il professor Alton aveva rivoluzionato il campo della linguistica generale con i suoi trattati sulle lingue polinesiane, e aveva fama di essere il migliore esperto di civiltà Maya. Graham lo conosceva bene perché Alton si rivolgeva sempre al Museo per prendere visione di tutti i nuovi acquisti riguardanti iscrizioni. Al momento il professore lavorava a uno studio comparato dei dialetti africani parlati ma non scritti.
All’ora fissata, Graham si trovò nell’ufficio di Alton, all’Università. Gli sottopose subito le fotografie scattate a Isling e un foglio sul quale aveva riportato il più fedelmente possibile i suoni uditi in treno. Alton esaminò lungamente le foto con aria perplessa.
«Dove si trova l’originale?» chiese infine.
«A Isling, vicino a Stonehenge.»
«A Isling» ripeté Alton. Sembrava molto sorpreso.
«Sì. Ho fatto io stesso queste fotografie. E su quel foglio è segnata quella che secondo me è la pronuncia approssimativa di alcune parole.»
Alton si interessò alle annotazioni dell’archeologo e le sue labbra formularono silenziosamente le frasi incomprensibili. Aveva la fronte aggrottata quasi si trovasse davanti a un problema troppo difficile oppure troppo preoccupante.
«Uhm… Posteriore al sanscrito» mormorò poi. «Una modificazione di un canto Ulonga. Sembra anzi sanscrito e Ulonga insieme… E si trovava qui, in Inghilterra!» Rialzò la testa e fissò Graham. «Potete lasciarmi queste foto? Credo di potervi aiutare. Non vi prometto una traduzione completa, ma farò il possibile. Bisogna che consulti alcune registrazioni che ho effettuato in Africa qualche anno fa.»
Detto questo, sembrò dimenticare del tutto la presenza di Graham, e si immerse di nuovo nello studio delle fotografie. L’archeologo uscì dall’Università con la sensazione di aver fatto finalmente un passo avanti.
Se Alton avesse fallito, e non si fosse ritrovata la statuetta, tutto sarebbe tornato allo stato iniziale, a meno che la pietra verde non conducesse a una nuova pista. Ma le cognizioni del professor Alton erano così vaste che Graham sperava fermamente in un successo per lo meno parziale.
Prima di rientrare telefonò ai vari giornali per avere notizie della sua inserzione, ma senza esito. Si dedicò allora alle sue annotazioni, alle quali aggiunse gli articoli dei quotidiani sul disastro ferroviario. Per fare questo prese una forbice e cominciò a ritagliare i fogli che gli interessavano. Il primo giornale dava una descrizione completa dell’avvenimento corredandola con fotografie. Il secondo riportava soltanto un riassunto del fatto con l’aggiunta di qualche trascurabile particolare e le ipotesi sulla causa dell’incidente. Sfogliando il terzo, Graham fu attirato da un vistoso titolo che occupava tutta la prima pagina, e si mise a leggere l’articolo. A un tratto una frase lo fece sussultare: … Una nube verdastra avvolgeva la nave quando il mercantileRawlinsne incrociò la rotta a mezzanotte circa…
Graham scorse rapidamente l’elenco dei passeggeri, ma riconobbe solo due nomi: Farrell Dan… Marsh Joane…
Ricominciò a leggere dall’inizio con la massima attenzione.
4
Tre giorni prima, a Nottington, Dan Farrell era riuscito finalmente a rialzarsi in piedi e si era guardato attorno. Cos’era successo? Aveva sentito uno scricchiolio sinistro seguito da un urto e dal fischio lamentoso del vapore che usciva incontrollato dalle caldaie, aveva visto un bagliore d’incendio mentre la notte risuonava di urla e gemiti. Lui però non era ferito, almeno sembrava. Probabilmente il colpo l’aveva scaraventato fuori dallo sportello aperto dello scompartimento, e lui era svenuto. Lì vicino giaceva un uomo con una brutta ferita alla testa. Un poco più in là, da un ammasso di lamiere contorte, spuntava un braccio femminile. Le unghie smaltate di rosso avevano qualcosa di incongruo. Il corpo della donna doveva essere rimasto schiacciato sotto il pesante sportello di metallo.
Dan si scostò sentendo il rumore di una brusca frenata. Due fari illuminavano la strada a duecento metri da lui, e dalla macchina scesero alcuni uomini che si avviarono di corsa verso il luogo del deragliamento reggendo alcune barelle. Altre ambulanze aspettavano con le grandi portiere spalancate.
Farrell non aveva alcuna intenzione di offrire il suo aiuto alle squadre di soccorso, perché il suo unico desiderio era di allontanarsi da quel posto, al più presto. La nave sulla quale si era fatto riservare una cabina avrebbe levato l’àncora il giorno dopo a mezzogiorno, e lui doveva assolutamente imbarcarsi. È vero che mancavano ancora dodici ore, ma non era prudente correre rischi: persa quella nave, non ce ne sarebbero state altre per parecchi giorni, ed era inutile sperare di trovar posto su un aereo: aveva provato e sapeva che tutti i posti erano già prenotati sino alla fine del mese.
Se tutto avveniva secondo i suoi calcoli, sarebbero passati alcuni giorni prima che trovassero il corpo della donna, e l’identificazione avrebbe richiesto un tempo ancora maggiore perché la polizia avrebbe dovuto affrontare un problema assai arduo. Inoltre, come poteva una eventuale inchiesta stabilire un legame tra la donna assassinata e Dan Farrell? Lui era assolutamente convinto che non sarebbe rimasto coinvolto in quella storia. Tuttavia, se alla polizia fosse venuto in mente di volerlo interrogare, lui si sarebbe trovato già da parecchio tempo negli Stati Uniti.
Dan Farrell si chiese che ora fosse. Nella caduta, il vetro e le lancette del suo orologio da polso si erano rotti. A giudicare dal numero delle persone radunate sul luogo dell’incidente, doveva essere rimasto svenuto un’ora circa. Diede un’occhiata al vagone sconquassato. Le due valigie, con tutti i suoi vestiti ridotti chissà come, erano rimaste sotto i rottami. Per fortuna nel bagaglio non c’era alcun documento attraverso il quale poter risalire al proprietario. La perdita non aveva dunque tanta importanza, e lui era abbondantemente rifornito di denaro.
Si incamminò lungo il terrapieno. Quasi subito inciampò in qualcosa di morbido, si chinò e vide una valigia di media grandezza. La raccolse meravigliandosi che potesse pesare tanto. Pensò di portarla con sé, per avere un aspetto più naturale se lì vicino ci fosse stata anche la polizia.
Incrociò alcuni uomini che correvano in direzione opposta e che gli rivolsero domande alle quali Farrell rispose a caso. Voci e richiami. Infermieri che andavano e venivano portando barelle. Su una di queste notò un uomo svenuto, la cui testa era stretta da una fasciatura di fortuna. Alla luce delle lampade Dan credette di riconoscere l’archeologo con il quale aveva avuto una conversazione al Museo Ludbury due settimane prima, ma non ne fu sicuro.
Ambulanze e altre auto erano ferme lungo la strada ferrata. Dan Farrell si diresse verso un punto dove le macchine erano più numerose e, adocchiatane una che aveva tutta l’aria di appartenere a un medico, si assicurò che la chiave fosse infilata nel cruscotto poi, dopo una rapida occhiata intorno, salì a bardo con la valigia trovata e mise in moto allontanandosi indisturbato. Per mezz’ora almeno il proprietario della macchina non si sarebbe accorto della sparizione, e in mezz’ora lui avrebbe avuto un buon vantaggio sulla polizia.
Giunto ai sobborghi di Londra, Dan Farrell abbandonò la vettura in una strada deserta, e afferrata la valigia si avviò al più vicino posteggio di taxi. Si fece portare a qualche isolato di distanza per poi cercarsi un altro taxi. Poco dopo abbandonò anche questo. Si servì di altre due auto pubbliche prima di giungere in piena City, il posto ideale per far perdere più facilmente le sue tracce.