Era impossibile che intendesse vivere con lui come sua moglie.
— Oh, non voglio — disse lei. — Vivere con lui? Assurdo. Ma ho sentito dire che ha mandato a prendere la Principessa dei Fiori dalle Isole Meridionali. Ho sentito che è diventata maggiorenne. E a quanto pare pensa di poterla sposare. Mentre sono ancora viva, pensa di poterla sposare. Quando mi vedrà, penserà ancora che lei sia bella?
Sleeve si prese la soddisfazione di dirle, malgrado la paura: — Asineth, per quanto tu possa migliorare Berry, nessuna donna di carne è mai stata bella come Enziquelvinisensee Evelvenin.
D’improvviso sentì la lingua gonfiarsi in gola, e dei serpenti scivolargli sotto i vestiti, una lingua biforcuta gli solleticò la gola. — Non chiamarmi più Asineth — sussurrò lei.
— Sì, Bella — rispose lui.
— Tu verrai con me da Palicrovol. Ti terrò come schiavetto.
— Come vuoi — disse lui.
Lei ridacchiò e i serpenti se ne andarono. — Alzati — disse.
Sleeve si alzò, e nel farlo scoprì che lei non si era accontentata di cambiare la propria forma. Aveva cambiato anche la sua.
— Dimmi la verità — disse lei. — Non ti piaci di più così? Non eri stanco di essere un gigante pallido fra gli altri uomini?
Lui non le rispose; si limitò a guardarsi le mani e annuì. È questo il sapore della sconfitta, pensò, ma sapeva che non era vero. Quello era solo l’inizio della sconfitta. Sapeva che Asineth aveva dei piani. E provò pietà per Palicrovol, perché sapeva che adesso non c’era speranza per lui. Era evidente che tutti gli avvertimenti sul potere di un bambino nato di dieci mesi erano poca cosa paragonati al pericolo rappresentato dalla madre, e ormai era troppo tardi per pensare a come fermarla. La forza di Asineth era talmente superiore alla sua che poteva ridersi dei suoi più potenti attacchi. Solo qualcosa oltre il potere del sangue vivente poteva sconfiggerla ormai, ammesso che fosse possibile. Non si era mai sentito così spaventato in tutta la sua vita.
Solo quando ebbe impacchettato i suoi libri e se li fu caricati sulla schiena, solo quando lei lo portò via da Brack all’estremità di una catena d’oro, solo allora inventò per sé un ruolo che poteva tenerlo in vita. Si avvolse la lunga catena attorno alle gambe e cominciò a seguirla con passo ondeggiante, come un bambino, cantando a squarciagola:
Lei si voltò a guardarlo infastidita, e tirò la catena d’oro. Subito lui cadde in avanti contro le rocce, facendosi un taglio su una spalla. Ignorando il dolore, si toccò la ferita con un dito, poi leccò il sangue. — Il vino è forte ma le gambe sono corte — dichiarò solennemente.
Guardandolo, lei non poté fare a meno di sorridere. Gli aveva dato una forma ridicola, e lui si era immedesimato nella parte. Questo le fece piacere. — Come si chiama il vino? — chiese stando al gioco.
— Rosso bilioso, dai vigneti di Urubugala.
— Urubugala — disse lei, e rise. — Urubugala. È la lingua di Elukra, vero? Cosa vuol dire?
— Galletto — rispose Sleeve.
— Galletto mio — disse lei. — Mio Urubugala. — Era un buon nome per la creatura in cui egli si era trasformato. E il nome non spiaceva a Sleeve. Se serviva a tenerlo in vita, gli piaceva. Sleeve non era uno di quegli uomini deboli e orgogliosi che possono essere controllati dalla minaccia dell’umiliazione. C’erano occasioni in cui apprezzava perfino la libertà che gli dava la sua parte di buffone.
Bella lo guardò torva, ma Sleeve si alzò la tunica, e avanzò verso di lei mostrando i suoi grotteschi genitali. — Se ti piace fare la mamma, sarò ben lieto di generartene un’altra.
— Non sempre sei divertente — disse Bella. — Non mi piaci quando non sei divertente.
Sleeve le andò vicino e sussurrò: — Dov’è la bambina?
Immediatamente sentì un dolore lancinante nella testa, come se i suoi occhi venissero spinti fuori da qualcosa che cresceva dietro di essi. Dopo pochi momenti terminò. Rifiutò di farsi vincere così facilmente.
— La bambina è morta! Vive nella mia mente!
— Stai zitto, Sleeve.
Sleeve si rizzò per tutta l’altezza che gli era rimasta. — Il mio nome, Madama Bella, è Urubugala. — Tornò a sussurrare. — Impari molto in fretta. Era tutto in quei libri che hai letto?
Asineth aveva solo quattordici anni, ed era sensibile all’adulazione. Sorrise e disse: — I libri non erano nulla. Non sanno nulla. Tutto quello che ho imparato è stato come ottenere la forza. Una volta che ho pagato il prezzo per essa, la forza è diventata la mia maestra. Adesso, mi basta pensare a una cosa e posso farla. E la cosa più deliziosa di tutte è che è stato Palicrovol stesso a darmi la forza. Mi ha dato la forza, ma solo una donna può averla.
— Anche un uomo può averla — disse Urubugala.
Vide la paura balenarle sul viso. Non era ancora sicura del suo potere. — Come può un uomo averla, se un uomo non può creare un figlio dal suo corpo?
Ancora una volta lui rispose in rima:
— Sei disgustoso — disse lei. — Nessun uomo può avere un potere pari al mio. E nessuna altra donna, poiché nessuna donna ha in lei un odio sufficiente per fare ciò che ho fatto. — Lo disse con orgoglio, e ancora una volta Sleeve nascose la sua paura dietro lo scherzo.
— Io sono il tuo pagliaccio e tu sei il mio mostraccio. Dov’è mai la tua bambina? Oh, abbiamo avuto una discussione. — Bella gettò indietro la testa e sorrise. — Ho vinto io. — A Sleeve parve di poter vedere ancora il sangue sulla sua lingua.
4
LA SPOSA DEL RE
Giunse alle foci del Burimg con la flotta di alte navi del padre. Palicrovol mandò mille cantori per accoglierla al porto. Talmente perfetto era il canto, che il più sordo marinaio della nave più lontana udì tutte le parole.
Risalì il fiume sull’unica galea che suo padre avesse mai costruito, ma i rematori erano liberi, non schiavi, e tutti indossavano vesti fiorite.
Ogni giorno del viaggio, cento donne sedevano sotto coperta intrecciando fiori freschi per farne abiti, in maniera che ogni giorno gli abiti erano nuovi. E quando ella giunse alla grande città di Inwit, mille canestri di fiori vennero rovesciati a monte, e tutto il Burring, da una riva all’altra, fu ricoperto di petali per l’arrivo della Principessa dei Fiori.
Palicrovol in persona l’accolse alla Porta Reale, con i preti di Dio biancovestiti che lo circondavano, e vergini biancovestite dal convento fecero scendere la Principessa dei Fiori dalla nave del padre. Palicrovol si inchinò di fronte a lei, e il corteo che le si fece incontro iniziò la Danza della Discesa.
La Danza terminò al palazzo, nella Sala delle Risposte, una stanza che non era stata aperta da un secolo, perché era troppo perfetta per essere usata. Avorio e alabastro, ambra e giada, marmo e ossidiana erano il pavimento, le pareti, il soffitto della Sala delle Risposte, e qui la Principessa dei Fiori scelse di portare il suo anello sul dito medio della sinistra, ma all’inizio del dito, per indicare fecondità e fedeltà; e (Oh meraviglia!) anche Palicrovol portava l’anello al medio della destra, all’inizio del dito, per indicare adorazione e indeflettibile lealtà. Le centinaia di ospiti che assistevano acclamarono.