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Questo bene era mescolato con il male. Con amara ingiustizia, la tua stessa giustizia ti rendeva ancora più difficile formare e mantenere un esercito: perché quale cuore si sarebbe mosso per scacciare Bella da Inwit, dal momento che le cose andavano così bene per Burland? Solo avventurieri venivano nel tuo esercito, e gli Uomini di Dio, che la odiavano per aver ridotto Dio al silenzio, e gli sbandati che non avevano alcuna speranza in altro mestiere. Per riempire i tuoi squadroni e i tuoi reggimenti, dovevi ricorrere alla leva obbligatoria, e questo ti dava un esercito poco desideroso di combattere e nell’insieme piuttosto debole. Era sufficiente per tenere a bada i nemici di Burland, ma difficilmente poteva darti la speranza di rovesciare la Regina.

E così fu per giorni, per settimane, per anni, per decenni, per secoli. I tuoi leali seguaci venivano da te, ti servivano, invecchiavano e morivano; ma tu vivevi, e Urubugala viveva, e Coniglio viveva e Donnola viveva, poiché Bella, violata come bambina, non riuscì mai a crescere, per quanti anni vivesse: sarebbe vissuta per sempre, prendendosi una minuziosa vendetta per una breve e riluttante crudeltà di tanti anni prima.

Tre volte portasti il tuo esercito alle porte di Inwit. Tre volte la regina Bella ti lasciò sperare. Poi mandò il terrore nei cuori dei tuoi soldati, mise loro di fronte ciò che temevano di più al mondo, e tutti, tranne pochi fra i più ardimentosi, fuggirono, e tu ti ritirasti dalla città che avevi vinto da suo padre tanti anni prima, costretto a ricominciare da capo, umiliato davanti alle altre nazioni del mondo.

L’ora del cervo

Dopo tre secoli e più di esilio, un giorno in cui portavi le coppe d’oro sugli occhi, ti giunse una visione. All’inizio pensasti che fosse di Bella, ma dopo un solo momento, capisti che non era così. Vedesti il Cervo, il grande maschio villoso, quello che aveva visto Zymas. L’aquila gli stringeva la pancia, tenendo chiusa la ferita. E il Cervo si fermò, girò la testa pesante per guardarti, e tu vedesti che portava un collare di ferro, e che anche le zampe erano legate con catene, e ti ordinò di seguirlo e di liberarlo.

Non posso, dicesti.

Vieni, ti disse, anche se non sentisti alcuna parola.

Non servirà a niente, dicesti. Bella mi vedrà e manderà in fumo ogni mia azione.

Vieni, disse. Per quest’ora, lei non vede, e non vede che non vede.

Così ti togliesti le coppe d’oro dagli occhi e dal tuo campo ti inoltrasti nella foresta, e armato dell’arco seguisti le tracce di un cervo nel bosco e andasti dove il cervo scelse di condurti.

Fu tutto il potere che gli dèi riuscirono a raccogliere, esercitato per te quel giorno nel bosco non lontano dalla città di Banningside.

Non ti sei chiesto perché ti condussero dove ti condussero, perché facesti quello che facesti? Ucciderai ora ciò che venne da quell’ora? Fu la tua salvezza, Palicrovol. Fu il tuo unico figlio.

6

LA MOGLIE DEL CONTADINO

La vita di Orem Fianchi-Magri, il Piccolo Re, iniziò in questa maniera: con un uomo che inseguiva un cervo nei boschi; con una donna che faceva il bagno in un fiume.
La poesia delle cose che crescono da sé

Molly, la moglie del contadino, aveva i suoi sei figli, e non ne desiderava altri. Sei figli, e tre figlie: troppi maschi per dividere fra di loro la fattoria, troppe figlie per sposarle con una dote decente. Non era certo un figlio che desiderava, quando quella mattina di primavera andò nel suo posto segreto, sulle rive del Banning. Andò con un tocco di magia delle dita, in maniera che nessuno potesse seguirla; ma venne seguita. O piuttosto venne trovata.

Era un luogo scuro, un luogo tranquillo, dove il fiume scorreva stretto e profondo, così rapido che un ramoscello spariva in un istante, e così silenzioso che si potevano sentire tutti i canti, ogni rumore di passi. Gli alberi si allungavano sull’acqua e si incontravano in un soffitto denso, che impediva al sole di danzare sull’acqua. Era fresco, lì, anche in estate. Una caverna fatta di foglie e acqua, tutte le cose fredde e terribili di una donna: era la vera casa di Molly, il luogo dove osava chiamarsi con il suo nome più segreto.

Bocciolo, sussurrò, chiamando se stessa.

Zitta, disse il fiume in risposta. Zitta, poiché la fine della tua vita si sta avvicinando, seguendo le tracce di un cervo.

Il cervo mezzano

Un grande cervo grigio era ritto sull’altra riva del fiume. Molly lo conosceva bene, sapeva che nel cervo e nella cerva c’erano magie oltre la portata delle sciocche contadine di Waterswatch. Al di là anche della sua portata, e lei era la migliore di tutte loro. Il sangue del cervo, dicono, tinge tutto il mondo. Guardò mentre il cervo condiscendeva a bere dal fiume; guardò mentre l’acqua cadeva argentea e silenziosa dalla sua bocca tornando nel fiume; guardò un cacciatore arrivare alle spalle della grande bestia, la freccia incoccata, l’arco abbassato ma pronto a essere teso in un istante.

Non osare ferire la testa cornuta, gridò in silenzio Molly.

E, come obbedendo al suo grido, il cacciatore si fermò e guardò il cervo bere, lasciando la freccia scivolare dalla cocca, lasciando allentare l’arco. Nessuna morte quel giorno per la testa dalle cento punte.

Molly studiò il cacciatore, mentre il cacciatore studiava il cervo. Era un uomo dall’aria forte. Non molto alto, nero di capelli come gli uomini dell’occidente. Indossava il verde scuro del Re… un soldato, dunque. Ma diverso dalla maggior parte dei soldati, poiché Molly non aveva mai visto un soldato che sapesse riconoscere la bellezza di un cervo; né conosceva alcun uomo che sapesse fissare la sua attenzione su una cosa per tanto tempo. Gli occhi dell’uomo brillavano nel buio della sua verde e silenziosa caverna. Era perfettamente immobile, eppure anche così le sue braccia avevano della forza in loro. Anche silenziose, le sue labbra comandavano l’attenzione. E lei seppe, o pensò di sapere, o lo sognò mentre succedeva: seppe che quell’uomo non era un soldato qualunque del Re. Era Palicrovol stesso, sì: Palicrovol l’Esule, il Marito di Bella Lontana. Non c’è da meravigliarsi, pensò, che osservi con tanto desiderio il cervo. Vorrebbe che qualche dio potesse essere liberato per portargli pace. Bene, regina Bella, se oggi tu guardi, guarda come io gli porto pace, pensò Molly, pensò la feconda Bocciolo, poiché avrò quest’uomo, avrò la vita di lui dentro di me.

Sono una donna casta, gridò una parte di lei. E i figli di lui nascono mostri.

Ma una parte di lei rispose, con una pace che solo le Dolci Sorelle potevano dare: I miei figli non sono nati mostri, e una donna non è veramente casta se rifiuta l’uomo che le porta il Cervo. Il suo grembo, che tante volte era stato pieno, gridava per essere riempito di nuovo. Ma questa volta, questa volta di un figlio di Re, questa volta con il figlio del Cervo.

— Uomo — sussurrò. Tale era il silenzio in quel luogo, che lui udì eppure non fu spaventato.