— Donna — disse, e il suo viso mostrò un distaccato divertimento.
— Sei forte come il fiume?
— E tu — rispose lui — sei altrettanto profonda?
In risposta, lei si stese sulla riva coperta d’erba e di foglie e sorrise. Vieni, se c’è un uomo oltre che un re dentro di te.
Quasi sentisse la sua sfida, Palicrovol attraversò il fiume, nudo eccetto per il suo pugnale, poiché non voleva essere senza difesa alcuna. Combatté arditamente contro la corrente, ma lo stesso arrivò dall’altra parte molto più a valle rispetto a dov’era lei, e Molly lo osservò mentre veniva verso di lei, gocciolante ed esausto. Si diceva che il fiume Banning fosse impossibile da passare a guado, e molto insicuro da attraversare a nuoto. Eppure il Re l’aveva attraversato per lei. Le gambe di Molly tremarono.
Lui le si fermò vicino, le gambe sporche di foglie, di erba, di fango. Non era bello, eppure lei sentì un tremito nelle viscere guardandolo.
— Donna, come ti chiami? — Non c’erano desiderio o affetto nel suo sguardo. Non fingeva di credere che fosse giovane e bella, poiché non era né l’uno né l’altro. La pancia le cascava dentro le gonne, le sue cosce erano pesanti, e le mammelle erano flaccide come quelle di una vecchia mucca. Ciò che il Cervo unisce è ciò che non si sarebbe unito senza di lui. Bella o no, era chiaro che egli desiderava ciò che lei desiderava, e altrettanto.
— Sono Bocciolo — disse lei, dandogli il suo nome segreto di donna, anche se era un uomo. Il Cervo l’aveva condotto.
— La foresta ti ha dato a me?
— Ho un marito — disse lei. — Non sarò tua.
Con sua sorpresa, lui parve adirarsi e fece un passo indietro, come se il fatto che fosse sposata costituisse una barriera.
— Uomo — disse lei — non sarò tua. Ma tu non vuoi essere mio?
— Sì — disse lui. — Sì, lo sarò. Sì.
La prese come il cervo monta la cerva; e lei gridò di dolore e di piacere nel dare e nel prendere. Palicrovol mise il seme di un figlio dentro di lei, poi la baciò sulle reni, dietro il grembo. — Ciò che verrà da questo, solo Dio lo sa — le disse. Ma lei si limitò a canticchiare, giacendo nuda sulla riva, senza neppure voltarsi a guardarlo mentre tornava a immergersi nel fiume, e nuotava. Non era stato Dio a condurlo lì, non lo sapeva? No, non era stato Dio ma il Cervo che sapeva ciò che sarebbe venuto; il sangue del Cervo, il sangue che scorreva dalla sua pancia, anche se non era stata vergine, come se l’avesse segretamente trafitta con un coltello. Ciò che hai fatto dentro di me, o Palicrovol, disse al ricordo della carne di lui, ciò che hai fatto dentro di me, io lo renderò più forte di te. Lo renderò grande e forte. Nove figli ho partorito vivi, e sempre di mio marito. Ma questo non è di mio marito. Questo è mio. Gli darò nome Orem, perché acqua argentea scorreva dal corpo di suo padre il mattino in cui fu concepito.
7
LA NASCITA DEL FIGLIO DI PALICROVOL
Mentre giaceva sul letto, con gli occhi velati per il dolore che non si quietava mai, per quanto spesso ci fosse passata, Molly vide la levatrice sollevare il bambino, e nella luce del primo sole che entrava dalla finestra orientale, in quel mattino di primavera, risplendette come fosse d’argento ai suoi occhi; coperto del sangue e del muco del parto, riluceva argenteo, come l’acqua dalla bocca del Cervo.
Lo tenne e cantò per lui, gli parlò a lungo, anche se il piccolo non poteva capire. Silenziosamente, gli disse in ogni modo: sei il figlio del Re, figlio mio, sei nato per essere grande. Le parole non vennero mai pronunciate, ma il bambino capì. Imparò a camminare quando aveva solo otto mesi, perché non gli venne in mente che non poteva. Parlò spavaldamente fin dalla prima parola, aspettandosi di essere capito qualsiasi cosa cercasse di dire. Un ragazzino sveglio, dicevano a Molly tutti i vicini.
Ma per due ragioni lei non era contenta di quello che dicevano. Per prima cosa, sapeva che dicevano anche dell’altro, poiché non assomigliava a quel gigante biondo di suo marito. E in secondo luogo c’erano i suoi dubbi e le sue paure. Ben presto imparò che quando il suo settimo figlio era con lei, tutti i suoi poteri sparivano. I suoi incantesimi di cucina erano inutili quando lui era in casa, per quanti topi morti svenasse sul caminetto. Le sue magie per il telaio non producevano alcun disegno sulle pezze tessute in casa, se lui la guardava mentre lavorava. I folletti domestici erano liberi in casa, mentre un tempo erano tenuti sotto il più ferreo controllo di tutta Waterswatch Alta.
Ma il peggio era quando faceva i segni per nascondere il suo cammino da occhi mortali, vagando per i boschi. Lui sapeva sempre seguirla, poteva sempre trovarla malgrado il sangue che si faceva sprizzare dalle dita. Cosa mi hanno dato le Dolci Sorelle? si chiese impaurita. Ma non erano stati né Dio né le Sorelle, lo sapeva, poiché anche il Cervo l’aveva trovata nel suo luogo segreto, e Orem era il figlio del Cervo.
Questi furono i segni della madre, e invece di amore per il proprio figlio, ben presto provò paura; poiché lui l’aveva resa debole, mentre un tempo era stata forte nella sua piccola, vegetale maniera.
Mentre Molly aveva le doglie, Avonap suo marito attendeva impaziente nella stanza vicina. Altre nove volte, con sei figli e tre figlie, aveva atteso in quella maniera. Nove altre volte aveva sentito la stessa impazienza. I campi stanno aspettando, donna, avrebbe voluto gridare, la terra ha chiamato. Non lo sapeva com’era il lavoro di un contadino?
Con la terra, come con una donna, il suo lavoro era arare, seminare, curare, mietere. Ma il grano non richiedeva che sedesse ad aspettare in una stanza mentre maturava sulle spighe. No, la maturazione, i frutti, questo era lavoro di Dio che dava la vita, o delle Dolci Sorelle, secondo quello che dicevano le donne, la cui parola non osava disprezzare. Il suo lavoro era fuori, con la terra da arare, il grano non ancora maturo, i covoni da legare; non aspettare, aspettare… cosa, questa volta? Una figlia da maritare? Un figlio da allevare senza speranze? Cinque volte aveva dovuto dire a un figlio dei suoi lombi che i campi non sarebbero mai stati suoi, e da quel momento aveva sentito il loro odio alle sue spalle, con la falce o l’erpice in mano. Non che li temesse: solo c’era una debolezza nascosta nel cuore di Avonap. Amava i suoi figli e desiderava essere amato da loro. Non era una cosa sconosciuta, in un uomo, ma niente di cui vantarsi. Non ne parlò mai con nessuno, ma tuttavia, quando sentiva il calore della loro rabbia come un fiato sul suo collo sudato… Sì, pensava, sì, mi odiano, si, sono rovinato.
Così quando la levatrice uscì e disse : — Un maschio — era pronta per lo scuro cipiglio sul suo viso. E tuttavia, sapeva che il peggio doveva ancora venire. Poiché Avonap era uno dei giganti biondi di Waterswatch Alta che avevano dato a quella regione il soprannome di “Terra dell’Uomo di Paglia”, e il bambino che gli venne mostrato non aveva la testa coperta di peluria bianca come tutti gli altri figli di Molly. Era rosso e scuro, più lungo e magro di quanto lo fossero stati gli altri, e la cosa peggiore era il ciuffo di capelli neri in cima alla testa. Il piccolo piangeva da far pena, ma la sua vista spense ogni pietà di Avonap.
— L’hanno cambiato nella culla — mormorò; e la levatrice fece un segno circolare sulle fasce.
Cambiato? Oh, no; non era un figlio dei folletti o del Sebastita Errante. Era qualcosa di peggio, temeva Avonap. Vide il bambino e nella sua mente vide le torri dell’occidente, dove gli uomini erano scarni e scuri di capelli, e le donne avevano la pelle bianca e i capelli color ebano. Immaginò uno di questi uomini che giungeva in qualche modo a oriente. Nell’esercito, senza dubbio. Vide una torre rivolta a occidente, e Molly in cima che si pettinava i lunghi capelli biondi, lasciandoli scendere fino a coprire la faccia del soldato, che la guardava lascivamente accanto al suo gomito. Pensò al vulcano che aveva visto eruttare nella sua giovinezza, durante il suo unico viaggio a Scravehold. E odiò il bambino. Che se lo tenga sua madre, pensò. Qualsiasi cosa sia, chiunque sia, non è mio, non ha niente di me, e questa volta sono contento di non dover dividere la mia terra con lui.