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— Imparerai a leggere e scrivere — disse Avonap, anche se non aveva idea di cosa fossero leggere e scrivere.

— Non voglio imparare a leggere e scrivere — sussurrò il bambino.

— Imparerai a contare il denaro — disse Avonap, che non aveva mai avuto fra le mani una moneta in tutta la sua vita.

— Imparerai a servire Dio — disse il diacono Dobbick, portando il bambino dentro la porta della casa. A questo parole Avonap si toccò la fronte e piegò leggermente le ginocchia, poiché Dio era trattato con rispetto in tutte le terre di Re Palicrovol.

Orem pianse quando le grandi porte di legno si chiusero, ma non a lungo. I bambini sono elastici. Per quanto vengano battuti, riescono a tirare avanti.

Amici e nemici

La Casa di Dio era scura e morta, piena di figure bianche di uomini dalla faccia acida e di bambini spaventati. Mai si sentiva una vera risata echeggiare nei corridoi e nelle celle della Casa di Dio, come nella taverna del villaggio o fra le grandi colonne del bosco. I ragazzini rubacchiavano le loro risate come rubacchiavano il vino delle offerte. E tuttavia Orem ben presto si trovò a casa, lì. La casa è in qualsiasi posto uno sappia riconoscere i propri amici e i propri nemici.

I suoi nemici erano i ragazzi più grandi e più forti, abituati a esercitare il potere nelle camerate buie, di notte. Orem era cresciuto con la convinzione che l’ingiustizia non doveva essere sopportata, ma corretta. Così quando vedeva commettere un’ingiustizia la correggeva. Non dicendolo ai diaconi: sapeva che gli adulti non prendono mai sul serio le guerre e le battaglie fra bambini. Invece, disse ai più giovani come organizzarsi nel buio. Dopo due volte che Orem ebbe battuto i grandi nel buio, i più giovani cominciarono a sentirsi sicuri e più liberi di quanto fossero mai stati prima. I grandi non dimenticarono. Orem li aveva disfatti quando pensavano di essere forti, e con l’immediatezza dei bambini prepararono la morte di Orem.

Gli amici di Orem non erano i ragazzi più giovani, tuttavia. Una volta ottenuta la propria sicurezza, se ne stettero il più lontano possibile da Orem. Preferivano lasciare che l’odio dei grandi cadesse su di lui, e rimanerne loro stessi alla larga. Orem sopportò con calma il loro tradimento. Non si aspettava che fossero meglio di quanto erano. Era figlio di suo padre.

I suoi amici, invece, erano i preti e i diaconi, che riconoscevano la sua mente sveglia e limpida, e lo amavano per questo. Gli altri ragazzi restavano a lungo perplessi di fronte alla faccenda delle lettere e dei numeri. Ma per Orem essi erano una magia, cose misteriose che significavano suoni e valori, che avevano nomi ma non dicevano i loro nomi, che si allineavano in maniera da indicare cose diverse in momenti diversi. Allinea le lettere verticalmente e sono numeri, gli insegnò il suo maestro. Orizzontalmente, e sono parole. Orem mandò a memoria tutte le rune in un giorno, imparò a leggere le parole in una settimana, ed entro un mese scoprì che gli scribi più abili ordinavano i loro numeri in maniera da formare parole e le parole per formare numeri, cosicché in un libro l’intera astronomia dell’universo era rappresentata matematicamente nella storia di Azasa e dell’absigente, mentre in quest’altro tutti i conti del tesoro reale per un decennio erano ordinati in acronimi e cifrari che raccontavano i peccati dei cortigiani, le cui pene specifiche erano spiegate nelle somme. Mentre gli altri ragazzi si sforzavano per riuscire a comprendere il significato palese delle cose, Orem imparava le lezioni più astruse senza sforzarsi, cosicché con sua sorpresa faceva gli esercizi con un’eleganza al di là delle capacità di molti fra i suoi insegnanti.

— Non vedi cosa hai fatto? — chiese il diacono Dobbick. — Qui, dove fai la somma dei soli d’inverno, scrivi anche “neve calda”.

— Mi dispiace — disse Orem, credendo di essere stato colto in un vizio segreto. Ma ben presto si accorse che Dubbick era compiaciuto di lui, e parecchie volte notò che mentre i preti entravano per osservare la classe allo studio, guardavano da sopra le sue spalle per tutto il tempo, senza curarsi di alcun altro.

Una volta che Orem ebbe scoperto che gli insegnanti erano suoi amici, si rivolse a loro con gratitudine, sfuggendo alla pericolosa solitudine del campo giochi col passare le ore libere al chiuso, leggendo e parlando con i suoi maestri. Soltanto uno di questi capì cosa stava succedendo: il diacono Dobbick. — Non conosci ancora il prezzo della tua forza — disse Dobbick.

— Forza? — chiese Orem, che non pensava di averne alcuna.

— Ti sei comportato con coraggio e saggezza, quando sei arrivato. Devi comportarti con coraggio e saggezza fra gli altri bambini adesso, se vuoi trovarti bene con loro.

— Non sono miei amici — disse Orem.

— Ti ameranno di più se ti allei con noi, i maestri, gli oppressori, il terrore di ogni bambino qui?

— Che mi importa se mi amano o perché? Sono più felice qui al buio, fra i libri, che fuori alla luce con loro. Se non vuoi insegnarmi, lasciami solo con i libri.

Ma il diacono Dobbick non si lasciò dissuadere, e fece in modo che Orem fosse costretto a giocare all’aperto, a prendere parte alle gare. Quando gli altri ragazzini lanciavano in alto delle pietre e le colpivano con bastoni, Orem imparò a schivare prontamente le pietre che venivano scagliate dritte contro la sua testa. Quando nuotavano nella pozza, Orem imparò a trattenere a lungo il fiato e a contorcersi come un serpente d’acqua, perché non potessero tenerlo sott’acqua più a lungo di quanto gli durasse il fiato. Quando gli altri dormivano, Orem imparò a muoversi silenzioso e sicuro nel buio, e ogni notte dormiva in qualche angolo diverso della Casa di Dio. lontano dal suo letto, in maniera che non potessero ucciderlo nel sonno. Odiava il diacono Dobbick perché lo costringeva a vivere e a giocare con gli altri, ma contro la sua volontà divenne sicuro di mano e di piede e di occhio, forte di presa e svelto di mente, e il suo corpo divenne duro, capace di sopportare. Nessuno nella Casa di Dio era capace di correre veloce e a lungo come Orem; nessuno sapeva fare a meno come lui del sonno; e nessuno sapeva leggere e scrivere come Orem. Pensava di essere infelice, ma avrebbe ripensato a questo periodo come al più bello della sua vita.

Fuoco e acqua

I ragazzi che odiavano Orem di più erano Cressam e Morram e Hob. Non avevano regnato prima dell’arrivo di Orem, ma a causa delle loro crudeli angherie sui più giovani, erano stati utili strumenti dei ragazzi più intelligenti che regnavano. Adesso non avevano alcun compito nella Casa di Dio: erano degli asini a scuola e nessuno dei giochi dei ragazzi erano un compenso della crudeltà e della ferocia.

Così macchinarono la morte di Orem, in parte in mancanza di qualcosa di meglio da fare, e quando ebbero preparato un piano, lo provarono fino a quando non furono sicuri di poterlo attuare in fretta e senza essere notati.

Era il giorno in cui venivano portate le offerte di fieno. Orem con gli altri ragazzi guardava il mucchio diventare più alto e più grande, mentre i contadini portavano i loro doni alla casa di Dio. Orem sperava di vedere suo padre, anche se sapeva che c’erano poche probabilità che la sua famiglia venisse estratta a sorte per portare la decima del villaggio.

D’improvviso Orem si sentì afferrato da molte mani e spinto sotto il fieno. Si agitò e si contorse, ma non era nell’acqua, e loro si erano allenati bene. Orem riuscì a vedere Cressam con in mano una torcia. Poi il fieno lo coprì. Comprese al volo il piano. Cressam sarebbe inciampato. La torcia sarebbe caduta. Avrebbero contato i ragazzi solo dopo aver spento il fuoco, e solo allora si sarebbero accorti che Orem non c’era. Se qualcuno dei ragazzi l’aveva visto, non avrebbe osato dirlo; se Cressam, Morram e Hob avevano ucciso una volta, non avrebbero esitato a farlo una seconda.