Pertanto non cercò di scappare fuori dal fieno, dove le fiamme sarebbero divampate prima. Invece si infilò nel profondo del mucchio. Alle sue spalle sentì un ruggito improvviso, il grido del fuoco. Non poteva vedere le fiamme, ma le sentiva, poi arrivarono il calore e il fumo. Non ebbe bisogno di pensare. Le sue braccia sapevano di dover scavare sempre più a fondo nel fieno, i suoi piedi sapevano di dover buttare dietro il fieno per non far incanalare il fumo dove voleva nascondersi.
Era buio come il grembo di una scrofa nel mucchio di fieno, e poiché i suoi occhi non potevano vedere, la sua mente lo fece, ricordando con vivezza gli incendi di fieno che aveva già visto. Ci volevano solo pochi secondi perché il fuoco girasse tutto attorno, e solo un minuto o due perché si smorzasse. Al centro del mucchio c’era sempre un nucleo non bruciato, un punto dove le fiamme non riuscivano ad arrivare. Questa era la sua speranza.
Ma ricordava anche di aver trovato, frugando una volta fra i resti di un incendio di fieno, il corpo di un topo. Non un solo pelo era bruciato, ma era morto lo stesso, gli occhi spalancati. Anche senza fuoco, il calore e il fumo avevano ucciso fino al centro del mucchio, e Orem si chiese quale forma avrebbe preso la sua morte, e quanto gli avrebbe fatto male.
A questo punto avvenne l’unico miracolo della sua fanciullezza. Il mucchio era stato eretto su terreno solido e asciutto, ma a un tratto la sua mano si allungò per cercare appoggio e non lo trovò. Scivolò e cadde in una pozza d’acqua che non avrebbe potuto esserci. Ebbe la presenza di spirito di tirare un profondo respiro mentre si immergeva; poi si lasciò scivolare giù, giù nell’acqua, senza muoversi, cercando solo di ricordare l’alto e il basso, e di calcolare quanto ci sarebbe voluto perché il fuoco si spegnesse.
D’improvviso ci fu la terra sotto i suoi piedi, e si girò. Quando la testa uscì alla superficie dell’acqua, non era dentro un nido di fieno. Era cenere quella che galleggiava sulla superficie dell’acqua, cenere quella che copriva la sua faccia. Respirò, e l’aria era calda e piena di fumo nei suoi polmoni, ma era aria. Poi il dolore del caldo e del fumo nei polmoni lo colpì, e ricadde nell’acqua. Senza dubbio sarebbe morto, pensò, ma aveva appena battuto i piedi e le braccia quando mani forti lo presero, lo sollevarono, gli schiacciarono il petto. Grandi labbra maschili si chiusero sulla sua bocca per soffiargli dentro la vita, ma Orem spinse via il prete. — Sto bene — disse.
I preti lo guardarono con reverenza, e prete Enzinn disse ciò che tutti loro pensavano. — Abbiamo prosciugato questa palude un secolo fa, e proprio per te l’acqua è riaffiorata alla superficie e ha formato una sorgente sotto il mucchio di fieno. Dio deve amarti, Orem. Non sei destinato a morire.
Da quel momento in poi i preti e gli altri ragazzi seppero che Orem era protetto, e non osarono più sollevare un dito contro di lui.
Nei suoi studi eccelleva. La sua calligrafia era così bella che lo tolsero dalla classe degli scribi e lo misero a copiare manoscritti all’età di dodici anni. Gli permisero di fare una nuova trascrizione delle profezie di prete Cork, e quando ebbe finito lo lodarono per aver scoperto sette nuovi significati nascosti nelle rime e nelle diagonali. Ma ogni volta che le loro lodi tentavano Orem a essere orgoglioso, a parlare spavaldamente di fronte agli altri ragazzi, o a presumere un’amicizia con un prete, lui si sentiva scivolare inerme verso una pozza d’acqua, sentiva i suoi polmoni urlargli in una disperata richiesta di aria, e non riusciva più a parlare.
Così gli anni passarono nella Casa del Signore a Banningside, fino al giorno in cui il suo vero padre lo trovò.
9
L’UOMO DAGLI OCCHI D’ORO
Orem sedeva di fronte al diacono Dobbick, che stava esaminando la sua copia del Risveglio dei Vini. D’impulso, aveva scritto le parole gemma, germoglio, giglio, gelo nelle indicazioni dell’età delle botti, e altre simili annotazioni sparse per il libro. Dobbick di tanto in tanto aggrottava la fronte, e Orem temette di aver insinuato troppi significati nel libro. Avrebbe voluto parlare, scusarsi, spiegare. Ma il silenzio, lo sapeva, era la linea di condotta migliore.
Così guardò dalla finestra la strada sottostante. C’era Yizzer il sordo, seduto al suo solito posto alla porta della Casa di Dio, che gridava con voce che poteva essere sentita in ogni angolo dell’edificio:
— Oh signore buon signore hai, il dono di Dio sul viso oh signore sei generoso signore Dio ti sorride per i tuoi doni e Dio dirà i tuoi nomi più nascosti con benedizione i tuoi nomi più nascosti — e così via in un eterno monologo che era singolarmente efficace per carpire monete agli stranieri di passaggio. I novizi erano convinti che Yizzer non fosse più sordo di loro, ma per quanto lo canzonassero dal cortile dei giochi, non erano mai riusciti a interrompere le sue grida né a indurlo all’ira o alle risa; se fingeva soltanto di essere sordo, era molto bravo.
Se non avessi abbastanza da mangiare, diventerei anch’io un mendicante?
Dobbick mise giù il libro. — Hai superato te stesso.
Orem non si era reso conto di quanto fosse teso fino a quando non si rilassò. — È sufficiente, allora?
— Oh sì. Lo certificherò come il tuo capolavoro.
Orem rimase di sasso. — Il mio capolavoro? Ma ho solo quindici anni.
Dobbick rimase in silenzio, costringendo Orem ad aspettare con pazienza che parlasse. Finalmente disse: — La tua educazione è terminata, Orem.
— Ma non è possibile. Non ho ancora letto metà della biblioteca, e il mio lavoro è ancora rozzo…
— Il tuo lavoro è il migliore che si sia mai visto a Banningside da quando la parola di Dio è giunta per la prima volta in queste terre. Chi credi che abbia scritto il manoscritto che hai copiato del Risveglio dei Vini?
— Non lo so. Non sono mai firmati.
— Prete Abrekem.
— Lui?
— Il profeta che per primo insegnò a Palicrovol le vie di Dio. E tu hai migliorato il suo lavoro. Non di poco… in maniera notevole. Cos’altro possiamo insegnarti a Banningside? I libri che non hai ancora letto non contengono nulla di cui tu abbia bisogno. Hai preso i nostri libri più difficili e li hai ingoiati interi.
Orem aveva saputo di essere bravo, ma non si era mai immaginato fino a quel momento che la sua educazione potesse essere finita. — Non sono ancora un uomo.
— Sei un uomo — disse Dobbick. — Sei la creatura più alta nella Casa di Dio. Ti chiameremo ancora ragazzo?
— Non sono saggio.
— Non abbiamo mai detto di poterti insegnare la saggezza. Solo che ti avremmo insegnato cosa scrivono gli uomini saggi.
— Non posso prendere i voti.
Ah. Ecco la cosa che aveva avuto tanta paura di dire, che aveva pensato di non dover dire per alcuni anni ancora.
— Perché no? — chiese Dobbick quietamente. — La vita non è male qui. Sei stato felice con noi.
Orem guardò dalla finestra.
— È il mondo? È questo che ti attira? Ma non è necessario che tu stia dentro la Casa. Potresti essere un questuante…
— No…
— Magari il nostro intendente… oppure potremmo mandarti al Grande Tempio di Inwit; saranno felici di averti, e noi saremo felici di te al tuo ritorno.
— Non capite.
— Credi di no? — disse Dobbick. — Sei preoccupato perché pensi di non avere fede abbastanza per essere un prete. È una malattia dei quindici anni. Quando la carne si agita, lo spirito sembra irreale.