Questo fece arrabbiare Orem. — Io non sono uno strumento.
— Oh, siamo tutti strumenti, tutti. Non vuoi essere servo di Dio, vero? Bene, servi te stesso, Orem, e credo che finirai per servire Dio lo stesso.
Poi, un Dio-sia-con-te, e Orem partì, e la porta si chiuse alle sue spalle. Orem scese un breve tratto di quella che sembrava una fogna ma non lo era, poi si arrampicò lungo un canale, fino all’uscita che era ostruita dal fango e dai cespugli. Sentì il diacono chiamare dall’alta parte del condotto: — Orem! In qualsiasi posto tranne Inwit!
In qualsiasi posto tranne Inwit? Oh, no, rispose silenziosamente Orem. Solo Inwit per me. Qualunque cosa potesse aver significato il dito puntato del Re, significava questo: Orem aveva una poesia dentro di sé e intendeva guadagnarsela. E se Inwit era il posto dove l’Uomo di Dio pensava che lui non dovesse andare, Orem sapeva che era Inwit a chiamarlo. Per prima cosa a casa, come aveva detto Dobbick, per salutare, altrimenti suo padre ne sarebbe rimasto addolorato. Poi a Inwit, dove scorreva tutta l’acqua del mondo.
Sono veloce come un cervo, si disse Orem mentre correva lungo le strade di campagna. Corse all’infinito, senza stancarsi, sembrava, e poi camminò, fino a quando non gli tornò il fiato, poi corse ancora. Le gambe non gli facevano male; il dolore al fianco arrivò e quasi lo uccise, poi se ne andò. E più presto di quanto avesse creduto possibile fu a casa. In tutti quegli anni aveva tanto desiderato ritornare, ed era sempre stata tanto vicino.
— Perché non resti qui? — chiese il suo vecchio padre. — Ne sarò felice.
Ma era un’offerta vuota, perché Avonap non sarebbe vissuto per sempre. I suoi fratelli erano accigliati, e sua madre Molly fissava il fuoco. Orem rise. — Con te ci starei per sempre, padre, ma tu staresti con me?
— Cosa farai, allora? Posso insegnarti la strada per Scravehold. Ci sono andato una volta, con mio padre.
— Non è quello il Fuoco che desidero vedere.
Il fratello più grande di Orem rise. — Cosa ne sa del fuoco uno color cenere come te?
— Più della paglia — replicò Orem, perché non aveva paura di suo fratello, che non ne sapeva nulla di astronomia e di numeri e non sapeva scrivere il suo nome.
— Inwit — disse la madre di Orem.
Orem la guardò sorpreso, e per la prima volta il suo entusiasmo venne raffreddato. Quello che sua madre voleva per lui non poteva essere buono. O era possibile che lei potesse davvero condividere un sogno con lui?
— È ad Inwit — disse Molly — che deve andare il decimo figlio e il settimo maschio.
— Zitta, Molly — disse il padre pieno di dolore.
— Inwit — disse Molly. — Inwit.
Fu così che Orem non ripartì di corsa, come era venuto. Camminò, e il suo passo era lento, i suoi pensieri profondi. Cosa significava il fatto che anche sua madre desiderasse una poesia per lui?
Andò sulla riva del fiume nel posto segreto di sua madre, aspettando qualche imbarcazione che lo portasse lontano. Mentre attendeva, scrisse sul fango della riva, chiedendosi cosa avrebbe pensato sua madre degli strani segni, quando fosse venuta lì a bagnarsi. Scrisse:
Orem a Banningside
libero e in fuga
Palicrovol
vedendo, sospirando.
E i numeri addizionati dall’alto al basso dicevano:
Vedimi diventare grande
Non notò quello che Dobbick avrebbe notato: che i numeri aggiunti dal basso verso l’alto dicevano:
Mio figlio che muore
Non sapeva ancora che un uomo può giocare agli indovinelli e senza volerlo dirsi la verità.
Verso il tramonto arrivò la zattera di un droghiere, che si teneva prudentemente vicino alla riva, in quel punto pericoloso dove la corrente era troppo veloce. Il droghiere era dalla parte opposta della zattera, e lottava contro le onde con un’aria spaventata. Orem lo chiamò: — Hai bisogno di una mano per il viaggio?
— Solo se sai nuotare — gridò quello in risposta.
Così Orem si levò la camicia e se la legò al petto, strinse la sua bisaccia di tela fra i denti e nuotò sul dorso verso la zattera. Aveva calcolato bene la corrente, e con la mano colpì il bordo dell’imbarcazione. Gettò la borsa sopra la sua testa e salì a bordo. Il droghiere lo guardò, fece una smorfia e disse: — La tua voce è bugiarda. Credevo che fossi un uomo.
Ma Orem rise e prese il piccolo remo, mentre il droghiere teneva il palo, e insieme manovrarono la zattera attraverso la caverna di foglie, fino a quando il fiume non si allargò e rallentò e fu di nuovo sicuro. Allora Orem mise giù il remo, si slegò la camicia e l’infilò.
Si voltò a guardare il droghiere e disse: — Bene, se non ho fatto il lavoro di un uomo, dillo e me ne vado.
Il droghiere lo guardò torvo, ma non gli disse di andarsene. La mia avventura è iniziata, pensò Orem. Sono indipendente, adesso, e posso far sì che il mio nome significhi ciò che desidero.
10
IL CANTO DEL DROGHIERE
Fin dove arrivi? — chiese Orem allegramente. Il droghiere lo guardò un momento con aria scettica, poi si voltò a studiare la corrente, usando la lunga pertica per tenere la zattera al centro del fiume. Orem sapeva dai racconti dei viaggiatori, a Banningside, che le correnti del Banning erano pericolose, ma che dove il fiume era più lento i pericoli erano maggiori, poiché dove l’esercito di Palicrovol era lontano, lì c’erano pirati, e dove era vicino, foraggeri, ed entrambi usavano più o meno gli stessi metodi, avendo più o meno gli stessi fini, con la differenza che gli uomini di Palicrovol non uccidevano così spesso.
— Il Re è a Banningside — disse Orem. Se il droghiere lo sentì, non ne diede alcun segno; in effetti, era così silenzioso e cupo che Orem si meravigliò che un tipo così scostante lo avesse preso a bordo.
La notte giunse rapida da dietro gli alberi a oriente, e mentre l’ultima luce stava svanendo, il droghiere spinse lentamente la zattera verso la riva, ma non a più di cento metri da terra. Poi prese le tre pesanti pietre che servivano come ancora, nei loro robusti sacchi di tela, e le lasciò cadere in acqua, dietro la zattera. La corrente trasportò la zattera lontano, fino a quando le corde si tesero.
Orem osservò in silenzio il droghiere infilarsi nella tenda e tirarne fuori un grosso braciere di terracotta. Dentro di esso il droghiere accese un fuoco di legna e carbone, poi vi appoggiò una pentola di rame, dove preparò una zuppa di carote e cipolle con l’acqua del fiume. Orem non sapeva se sarebbe stato invitato, e si sentiva imbarazzato a chiedere. Dopo tutto, se il suo ospite sceglieva il silenzio non era il caso di insistere a parlare.
Così aprì la sua bisaccia e ne tirò fuori due salsicce.
Il droghiere le adocchiò rapidamente. Orem ne allungò una, bianca e sottile nella sua pelle. Il droghiere prese il coltello e allungò il braccio. Orem infilò la salsiccia nella punta. Il droghiere grugnì (un suono, finalmente!) e Orem lo guardò tagliare la salsiccia a fette tanto sottili che sembrò andare avanti all’infinito. Quando l’uomo non fece segno di prendere la seconda salsiccia, Orem la rimise nella bisaccia. Ci sarebbe stata della carne nella zuppa, e Orem aveva dato la sua parte per la cena. Sarebbe rimasto a bordo di quella barca fino a quando avesse voluto, poiché è costume della regione dell’alto fiume che chiunque prepari da mangiare con cibo in comune, non può rifiutare la compagnia.