Orem salì sul molo e si fermò vicino al mucchio delle merci. Non che il droghiere glielo avesse chiesto; sembrava essersi quasi dimenticato della sua esistenza. Orem semplicemente non sapeva dove andare e cosa fare. Il grande spiazzo di fronte al porto era pieno di carretti e uomini, con qualche donna, e tutti gridavano e imprecavano. Altre zattere venivano scaricate ad altri ormeggi, e Orem era a terra solo da qualche momento che già gli uomini di Occhio-di-falco avevano slegato la zattera e la stavano spingendo in mezzo al fiume.
— La portano all’Isola delle Navi — disse il droghiere. — La taglieranno in tavole e ci costruiranno le navi. Dall’Isola delle Navi al mare, vanno e vengono le grandi navi. La metà del mio guadagno viene dalla zattera; l’asino da solo mi procurerà il doppio di quel legname, a nord, e il carretto vale tutto il mio carico quando compro nei mercati di campagna. Bene, ragazzo, che facciamo adesso?
Orem non capiva.
— Se rimani qui a sorvegliare le mie cose, e non lasci che nessuno le prenda, qualsiasi cosa ti offrano, ti darò cinque denari quando torno.
— Dove vai?
— Al mercato, a procurarmi un posto. Se vado subito, mentre tutti gli altri droghieri stanno ancora caricando i loro carri, posso trovare un posto migliore, capisci? Ma posso fidarmi di te?
Orem si limitò a guardarlo irritato. Chiedere a un uomo se ci si poteva fidare di lui era come chiedere a una ragazza non ancora sposata se era vergine. La domanda non era secondaria, ma porla era un insulto.
— D’accordo, allora — disse il droghiere. — Torno fra poco. Tu non parlare con nessuno.
Orem annuì, e immediatamente il droghiere partì di buon passo, sparendo fra la folla.
Attorno a sé Orem osservò gli altri droghieri litigare, contrattare, sminuire le merci degli altri. Qua e là c’erano dei portuali che facevano la guardia, come Orem; sospettava che loro venissero pagati molto di più dei pochi soldi di rame che avrebbe ricevuto lui. Non importava. Aveva appreso il valore astratto delle monete nella Casa di Dio, ma mai in vita sua era stato costretto a imparare quanto si poteva vivere con una certa quantità di denaro. E anche se lo avesse imparato, a Inwit tutti i valori erano diversi. Sei denari potevano mantenere per un mese una famiglia discretamente numerosa, a Banningside. Qui era diverso.
C’erano altre differenze. Orem non era così ingenuo da non sapere cosa stava succedendo quando un uomo con le brache color oro passò una borsa piccola e pesante a un uomo che faceva la guardia. La guardia voltò la schiena, mentre due carri venivano avvicinati al mucchio delle merci e gli uomini cominciarono a caricarle. Orem si aspettava di sentire grida di “Al ladro!” e di vedere la folla lanciare l’allarme; ma non avvenne niente del genere. Neppure Orem alzò un grido, perché aveva paura a farlo in un posto dove un crimine poteva essere commesso alla luce del sole. Aveva il sospetto che la somma di denaro costituisse solo la metà dell’affare. C’era una suggestione di violenza negli uomini dall’aria dura che caricavano i carri; si chiese se facendo resistenza il guardiano non sarebbe finito nel fiume.
Ben presto un uomo con i pantaloni rossi e braccialetti d’oro gli si fermò vicino.
— Ho qui una borsa di denari — disse sottovoce — che darò a un ragazzo che guarda il fiume. Venti denari, ragazzo mio.
Orem non sapeva cosa dire. Era una buona offerta, e gli dava un’idea di quanto fosse stato tirchio Glasin. Gli venne in mente che Glasin doveva avere molta fiducia in lui… oppure era convinto che Orem fosse uno sciocco senza alcuna idea del denaro.
L’uomo trasse le sue conclusioni dal silenzio di Orem. — Sono disposto ad arrivare a cinquanta denari. Cinquanta denari… ma ti dico una cosa, ragazzo: i pesci del fiume hanno una gran fame, e noi cerchiamo di dargli da mangiare carne ostinata.
Eccoli: il denaro e la minaccia, e lui era solo un ragazzino di quindici anni. I facchini dall’aria dura aspettavano sui carri vuoti. Che speranze poteva avere Orem se lo buttavano nel fiume? Si sarebbero impadroniti della mercanzia del droghiere sia che lui lo volesse o no; allora perché non guadagnarci almeno un po’ di soldi?
Ma non c’era nessuna poesia in cinquanta denari, proprio nessuna, e neppure un nome o un posto.
— Be’, sei sordo? Lo sai almeno cosa significa questo? — E nelle mani dell’uomo apparve un coltello. Per un momento Orem fu tentato di usare un trucco che il sergente gli aveva insegnato tanto tempo prima; ma era passato troppo tempo, e Orem non sapeva se aveva la forza e la velocità per rifarlo contro un uomo così grosso. Chi poteva dire cos’era capace di fare un uomo con le brache? Ma cosa aveva detto, l’uomo? Sei sordo?
— Oh, signore, come sei generoso! — gridò Orem a squarciagola. — Oh, sei saggio e generoso! — Non aveva i polmoni del vecchio Yizzer, alla porta della Casa di Dio, ma la sua voce era forte abbastanza dopo anni di canti e preghiere. — Oh, la tua faccia è gentile, signore, e Dio conosce il tuo nome più segreto. Dio e io conosciamo i tuoi nomi più segreti e li diremo! — E dicendo questo Orem allungò una mano e passò il palmo sulla punta del pugnale. Il sangue sgorgò con un dolore acuto, ma Orem sapeva dalle magie viste nella fattoria di suo padre cosa significava un atto del genere. Sollevò la mano e lasciò che il sangue colasse lungo il braccio, fino alla manica. — Io dirò i tuoi nomi!
Bastò quello. Oh, se bastò! Per vederlo scappare, con i pantaloni che frusciavano mentre le gambe si muovevano svelte. Orem però non era sicuro di aver fatto la cosà giusta; era una cosa terribile fingere di avere la magia. Una cosa terribile versare il sangue senza scopo; pagare un prezzo senza richiesta; ma era tutto quello a cui aveva pensato al momento; e l’uomo se ne stava andando: lanciandogli occhiate torve, è vero, ma lui e i suoi servi dall’aria losca scappavano. Fu un’illuminazione per Orem. Sì, si ripeté più volte, sì, questo è un luogo profondo e alto, ma hanno ancora paura della magia qui, nella città stessa della Regina Bella non sanno distinguere un mago sordo da un ragazzino disperato.
Ma non solo il ladro era rimasto spaventato: gli altri droghieri lo guardavano con aria sospettosa. Solo il portuale più vicino parve capire: gli strizzò l’occhio e si tracciò un segno sui pantaloni. Ma il cerchio era per congratularsi con lui o per tenere lontano il suo presunto potere? Orem immaginò la prima cosa; e capì anche che i portuali dovevano esigere un prezzo alquanto alto, poiché nessun ladro si dava la pena di avvicinarsi a uno di loro che fosse di guardia. Anche cento denari non potevano tentarli, e con centinaia di uomini dalla camicia verde nei dintorni, Orem immaginava che neppure il più disperato degli uomini avrebbe osato buttarne uno nel fiume, anche se respinto. La vita a Inwit era apertamente criminale, ma c’erano delle forme di protezione, e una di queste era trovarsi in una compagnia di uomini leali. Orem si chiese vagamente che aspetto avrebbe avuto con la camicia verde dei portuali.
Era quasi mezzogiorno quando Glasin tornò, sorridendo tutto contento. — Ho trovato un posto nel Mercato Grande — disse — e non devo dare una percentuale a nessuno. — Orem sentì che il fiato gli puzzava di birra. Il droghiere aveva davvero avuto fiducia in lui, per essersi fermato a bere durante il ritorno al molo. — Ma tutta la mia roba non ci sta sul carretto. Aspetta qui un’altra ora; per altri tre denari. — Il droghiere lo guardò con un sopracciglio sollevato.
Ormai Orem aveva capito quanto ci guadagnava il droghiere con i suoi servizi. Glasin non aveva dovuto pagare un portuale, né aveva dovuto dare una percentuale per il suo posto al Mercato Grande a qualche altro droghiere per guardargli le mercanzie sul molo. E a Orem venne in mente che Glasin aveva preso in considerazione l’idea di venderlo come schiavo. Poteva essere il Prezzo di Corth, ma era anche un furbacchione. E se avesse lasciato sul molo le cose che non poteva vendere? E se Orem lo avesse aspettato tutto il giorno, e lui non fosse più tornato?