— Io… io non… non posso raccontarvi questa storia.
— Oh, noi non ci crederemo, stai tranquillo. Cose simili non possono accadere. Dicci cosa fanno queste povere donne nel bordello.
— Siedono… in una stanza, all’ultimo piano.
— E cosa fanno queste donne sedute?
— Ascoltano.
— E cosa credi che sentano?
— I rumori di… di…
— Dell’amore?
Orem annuì. La sorella con un solo occhio scosse la testa.
— Non l’amore — disse Orem.
— Cosa allora?
— Il rumore… degli uccelli.
— Sì, uccelli. E oltre agli uccelli cosa?
Che rumore c’era oltre agli uccelli? Che significato aveva quel racconto? — Il rumore del vento sul tetto della casa.
La sorella senza faccia emise il suo lamento, e l’altra scoppiò a ridere. — Sì, lui sa, lui sa; lui ha molte molte orecchie dentro la sua testa, sì, e cos’altro sentono?
Orem cominciava a capire. Era un gioco, come gli indovinelli dei manoscritti. — Il rumore del sole che si leva e tramonta. Il rumore delle stelle che passano in cielo. Il rumore di Dio che chiude gli occhi sul mondo. Il rumore del Cervo che scuote la testa e lancia i pianeti.
L’unico occhio si spalancò; il buco della bocca cessò enfaticamente di sbavare, per un momento, cosicché il filo di saliva si interruppe e la parte superiore del filo venne risucchiata nella bocca come il corpo di un ragno penzolante.
— La bocca si apre e parla — disse la sorella dall’unico occhio.
— Nnnnnnnng — disse l’altra.
— Siamo legate con la magia — disse quella con un solo occhio. — Tuttavia lui parla con le nostre lingue. Bella ci ha ridotte al silenzio, eppure i nostri doni vengono dalla bocca del ragazzo. Oh, Cervo, tu sei più astuto di noi.
— Cosa significa? — chiese Orem.
— Niente: dimentica, dimentica, non dire a nessuno ciò che hai visto, perché non è un favore, tu sei solo un normale ragazzo.
Il suo stomaco si contrasse per la paura, alla forza delle loro parole.
— Anche noi siamo puttane, lo sapevi? Abbiamo lasciato la casa di nostro padre e siamo venute qui perché sapevamo che senza facce avevamo solo i nostri corpi. Lo sai quanto costa prenderci? Mille scudi o cento ettari di terra coltivata. Per una sola notte. E siamo occupate venti notti all’anno. Oh, siamo ricche, siamo sorelle siamesi, sorelle di bellezza. Siamo benedette. E non tutti quelli che vengono da noi sono uomini. Ci sono donne che vengono e passano la notte a esplorarci, cercando di scoprire cosa ci rende così belle. Non riescono a indovinarlo. Ma tu sai, vero?
— No. Non lo so.
— Bene. Non puoi saperlo se pensi di saperlo. Noi sentiamo altre cose, ascoltiamo altre cose, non solo le stelle. Non solo i battiti del cuore del grande Cervo dalle mille corna, che tiene i mondi sulla punta delle sue corna. Non solo le grandi eruzioni del sole che eiacula i suoi fiotti di luce per inseminare il mondo. Anche questo sentiamo.
E si interruppe.
E dopo un lungo, lungo silenzio, durante il quale Orem udì soltanto il proprio respiro pesante, aggiunse: — Anche tu l’hai sentito?
— No.
— Ecco perché pagano tanto per averci.
Quella dall’occhio aprì un piccolo scrigno, vicino a lei. Era pieno di gioielli che brillavano alla luce delle torce come mille piccoli fuochi.
E quella la cui faccia era tutta uguale come una nebbia, si alzò e fece un movimento con la mano. Di colpo fu nuda, e la sua faccia splendeva come il sole stesso; non c’era un solo pelo sul suo corpo, la sua pelle era profonda come l’ambra, ed era così bella che Orem non poté impedire ai suoi occhi di riempirsi di lacrime, tanto che non riuscì più a vedere.
— E come pensavo — disse quella che poteva parlare. — I suoi occhi non possono chiudersi se non per il pianto e per la fiducia.
La donna senza faccia era tornata a sedersi, d’improvviso come si era alzata; come aveva potuto rivestirsi così rapidamente?
— Hunnnnnng — disse. — Ngiiiiunh.
— Quattro denari — dice mia sorella — e un bacio.
Non fu per i soldi che le baciò, ma per la paura. Baciò le loro bocche, quali erano, e le monete gli caddero nelle mani, e fuggì dalla stanza.
Mentre correva lungo la Strada delle Puttane, poté sentire per la prima volta nella sua vita il canto che sua madre aveva più amato: il sibilo incessante della linfa che saliva negli alberi, il canto della capillarità. Ah, era meraviglioso, e pianse fino a quando la saliva della donna dalla faccia di nebbia non si fu asciugata sulle sue labbra.
Un letto al Badile e alla Fossa costava solo un denaro per due notti, non tanto come aveva temuto. Rimase sdraiato per qualche tempo con le mani fra le gambe, a causa del grande dolore alla base della pancia. Poteva sentire la linfa scorrere anche dentro di lui. Perché sono venuto a Inwit? gridò a se stesso. Ma sapeva che la domanda stessa era una bugia. Non era venuto. C’era stato spinto.
Ecco perché Orem era vergine quando Bella ebbe bisogno di lui.
13
LADRI
Orem si svegliò nell’ultima branda in alto, al Badile e alla Fossa. Il soffitto distava meno di un palmo dal suo viso, ma dopo le celle strette della Casa di Dio non gli facevano paura i posti piccoli. Scivolò cautamente fino all’orlo delle assi scheggiate, e scese i sette piani di letti. C’era un forte odore di vomito. Ognuno dei suoi passi faceva piegare le assi di qualcuno; certi si lamentarono, nel sonno. Uno imprecò e lo colpì.
Mentre passava accanto al padrone della locanda, l’uomo gli buttò la nota con il conto. Orem lo guardò. — Non voglio portarmelo dietro tutto il giorno.
Il padrone alzò le spalle. — Come vuoi. Ma ti avverto che ti imbroglierò, se non stai attento.
Orem si mise il conto nella bisaccia. — Grazie. Tutti i ladri a Inwit saranno così gentili da avvisarmi?
Il padrone lo guardò con calma. — Sono un Uomo di Dio. Imbroglio solo quelli che vogliono essere imbrogliati.
Niente, nella vita di Orem, lo aveva preparato per le strade di Inwit di giorno. Il flusso della folla lo condusse al Mercato Grande, e per qualche tempo venne sballottato fra i vortici del comprare e del vendere. In tutta la sua vita non aveva mai visto tanta gente quanta in quel mercato: stracci e velluti, uniformi e livree, tutti si urtavano nella battaglia per avere molto in cambio di poco. Orem guardava a bocca aperta, e così si fece riconoscere come un facile bersaglio per i ladri.
Un ragazzo lo urtò e una mano piccola si infilò sotto la sua camicia, e più in fretta di quanto Orem potesse comprendere, le sue monete erano uscite dal perizoma. Senza pensarci, Orem allungò un pugno che colse il ragazzo al mento. Quello cadde senza un suono, e altrettanto silenziosamente si rimise in piedi. Ma Orem aveva imparato a essere veloce nella Casa di Dio. Prese il ragazzo per una caviglia prima che potesse scappare. Il ragazzo gli diede un calcio in faccia. La battaglia valeva un occhio? Le poche monete di Orem erano la sua vita e la sua speranza, e così non mollò la presa, malgrado i colpi.
Nessuno parve notare la crudele battaglia, se non per lasciare loro lo spazio sufficiente a rotolarsi nella sabbia. Alla fine, Orem riuscì a bloccare il ladro, le gambe piegate dolorosamente e la mano di Orem infilata fra di esse, pronta a infliggere un dolore irresistibile.
— Rivoglio i miei soldi, piccolo bastardo — disse Orem.
— Soldi?
— O per le Sorelle ti strappo le palle!
— In nome di Dio, non li ho i tuoi soldi! — Il lamento del ragazzo era alto e pietoso. Adesso che la lotta era finita, la gente cominciava a guardare.