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Una voce fra la folla disse: — È un vigliacco che se la prende con un bambino.

Il piccolo maiale stava conquistando la simpatia della gente. Orem si chinò e gli sussurrò nell’orecchio: — Sono un contadino, ragazzo, e ho trasformato tori in manzi con le mani nude. — Fu sufficiente. Gli occhi del ragazzo si spalancarono, e sputò quattro monete nella polvere.

Orem lasciò andare il ragazzo e raccolse in fretta le monete. Con la coda dell’occhio, vide il ladro muoversi per quello che avrebbe potuto essere un attacco… un calcio? Sì. Orem lo evitò appena in tempo, poi balzò in piedi preparandosi all’attacco successivo.

Non ci fu nessun attacco. Il ragazzino lo guardò con occhi innocenti e rise.

— Non lo sai che tutti i piscioni li tengono nello stesso posto? E la metà hanno le mutande sporche. Non è simpatico metterseli in bocca.

— Se non ti piace — disse Orem, stringendo le sue monete — trovati un altro lavoro.

— Mi puoi assumere tu, appena troverai lavoro.

Orem si sentì punto nell’orgoglio per il fatto che il ragazzo desse per scontato che avrebbe fallito. — Ti assumerò — disse sdegnosamente. — Fra pochi giorni avrò un lavoro, e ti prenderò con me.

— Oh, sì, e la Regina ha le palle. — Il ragazzo si girò e si tirò su la camicia, mostrando per un momento il sedere a Orem. Poi sparì fra la folla.

Orem vagò verso nord, dove il Mercato Grande sfocia nella Strada della Regina. Guardò meravigliato i grandi palazzi, le carrozze dalle ruote esilissime, fissò le signore, nude per quanto potevano esserlo decentemente sopra la vita, e i signori nudi sotto, come richiedeva la moda. E si fermò alla base della piramide dai cento gradini che conduceva al Salone delle Facce, dove Palicrovol aveva violentato la figlia di Nasilee, aveva lacerato il suo sangue più segreto, diventando così suo marito, e Re, e quindi l’aveva scacciata. L’inizio di tutti i mali del mondo, lì davanti al Salone delle Facce.

— Accidenti a te, che le aquile possano mangiarti il fegato! — Una guardia l’aveva afferrato per la spalla, e lo scuoteva. — Non te l’hanno detto alla porta di stare lontano dalla Strada della Regina? La Strada di Pietra? Sei sordo? O hai un cervello di gallina? — Calci e pugni, mentre la guardia lo spingeva lungo un vicolo, sbattendolo da un muro all’altro, fino a quando Orem non cadde a faccia in giù sulla polvere di una strada. — E non tornare sulla Strada della Regina, o ti appendo per le orecchie finché non si staccano! — Orem rimase sdraiato nella strada, ascoltando i passi della guardia che si allontanavano. Era tutto indolenzito, ma più che arrabbiato, era contento che fosse finita. E anche che non fosse andata peggio. Fece una smorfia, e si rimise cautamente in piedi.

— Gentili, vero?

Orem si voltò dolorosamente, e vide la faccia a cui apparteneva la voce. Era il ragazzino che l’aveva derubato, con un sorriso impertinente, le mani sui fianchi, le gambe larghe, come Dio a cavallo del mondo.

— Hai un’aria molto povera, sai? — Sorrise maliziosamente. — Quando mi tenevi per le palle eri ricco e bello.

— Mi avevi preso tutto quello che avevo — disse Orem cupamente. Fece una smorfia per il dolore che gli dava respirare.

— E tu hai preso tutto quello che avevo io.

— Ma era mio.

— Non mentre l’avevo io.

Era una discussione che non avrebbe portato da nessuna parte, vide Orem. — Dove sono?

— A che ti serve saperlo?

— A niente. — Orem si guardò intorno. Tutto quello che si vedeva erano le facciate posteriori di comuni abitazioni da una parte, e dall’altra le alte mura dei giardini dei palazzi, con le loro crudeli punte metalliche. A parte il vicolo che portava alla Strada di Pietra, c’era una sola direzione da prendere, così Orem si avviò lungo la strada sterrata. Il ladro lo seguì.

— Vattene — disse Orem.

— Ti ho seguito fino qui.

— Non avrai mai i miei soldi.

— Hai detto che mi avresti assunto.

— Se trovo un lavoro. — Ma d’improvviso il ragazzino non fu più così facilmente catalogabile come un astuto ladruncolo. — Mi hai creduto?

— Sembri troppo stupido per mentire.

— E allora cosa ti fa pensare che troverò un lavoro?

— Perché non mi hai lasciato andare quando ti ho preso a calci in faccia. — Il ragazzino ridacchiò. — Sei un pessimo lottatore, sai. Una ragazza potrebbe batterti.

Orem si sentì arrossire per la rabbia, ma non disse nulla. La strada si stava allargando, e adesso c’erano anche degli squallidi negozietti. In mezzo alla strada c’era un muretto rotondo, come il parapetto di un pozzo, fatto di mattoni mezzo sbriciolati. Orem fece per girarci intorno, ma sentì un suono. Come un canto, che veniva dal pozzo. Si fermò.

— È la cisterna — disse il ragazzo. — Canta sempre. Non vuol dire nulla. È vuota.

— Come mai? La siccità?

— È per gli assedi. Ma non c’è mai nessun assedio per Inwit. Poi, non si sentirebbero più le voci.

Orem si avvicinò al bordo della cisterna e si chinò per ascoltare. Insieme al canto, venne accolto da un odore così nauseante che si tirò subito indietro, tossendo e ansimando.

— Dal momento che è vuota — disse il ragazzo — tutti ci buttano l’acqua sporca. E ci scaricano direttamente i loro bisogni. — Come per darne dimostrazione, il ragazzo saltò sul parapetto e si mise pericolosamente a sedere, con il deretano che sporgeva. Senza cerimonie defecò, poi aspettò con la testa inclinata. — Sentito il tonfo? Deve essere fonda mezzo miglio.

— Ma cosa sono quelle voci?

— Probabilmente un coro di topi. Prosperano con il letame. Non sei un contadino? Non conosci le magiche proprietà del letame? — Mentre parlava, il ragazzo si pulì con una mano, ci sputò sopra e la fregò nella polvere finché non fu asciutta. — Bene — disse, indicando la bisaccia di Orem. — Un po’ d’acqua?

Orem scosse la testa.

— Oh, non dividi neanche l’acqua?

— È dalla sorgente di mio padre. Per la fontana del Piccolo Tempio.

— Cosa sei, un pellegrino? Hai la faccia da prete. Come un topo affamato.

— Ho studiato coi preti.

— Ecco. — Il ragazzo annuì. — Lo immaginavo che sapevi leggere. Anch’io so leggere un po’. Ho imparato da solo.

— Le voci della cisterna. Da quanto tempo si sentono?

Il ragazzo alzò le spalle. — Da tutta la mia vita.

Orem recitò il Settimo Avvertimento di prete Zenziclass="underline"  — Non imparare i canti delle voci che vengono da cisterne vuote e da pozzi esauriti.

Il ragazzo lo guardò con aria interrogativa. — Non si possono imparare. Non hanno parole. E nessuno li capisce, comunque.

Orem si tirò giù le mutande e si issò sul bordo della cisterna per liberarsi. Le voci si sentivano più chiare: un’eco di lamenti e di canti acuti che d’improvviso lo riempirono di paura. Perché dovrei averne paura? si chiese. Poi guardò il giovane ladro e gli parve di scorgere una luce omicida nei suoi occhi. Sì: omicidio, e quale momento migliore di quello, con Orem impotente sull’orlo di un pozzo che scendeva nelle viscere della terra, dove nessuno avrebbe mai trovato il cadavere, anche se qualcuno si fosse mai dato la pena di cercare un giovane magro con un visto da povero? Bastava che il ragazzo gli corresse addosso, lo spingesse, e sarebbe morto. E infatti si stava preparando… non era così? Si era curvato in avanti!

— Stai lontano, o per Dio… — Poi il suo intestino si aprì e si vuotò, e Orem saltò giù dalla cisterna e indietreggiò dal ladro.

— Solo un’idea — disse il ragazzo sorridendo. — Non volevo fare nulla. Solo spaventarti.