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Orem fece come aveva fatto il ragazzo, si pulì con una mano e la fregò nella polvere, e infine si tirò su le mutande. Tremava. Non solo perché il ladro aveva pensato di ucciderlo, ma perché le voci nella cisterna sembrava che lo avessero avvertito. Era forse un tocco di vera magia? Per la prima volta nella sua vita, era stato toccato da un incantesimo?

— Mi dispiace — disse il ragazzo, guardando la faccia di Orem. — Era uno scherzo.

Orem non disse nulla, ma si incamminò lungo la strada. Ancora pochi passi e seppe dov’era: la Strada del Piscio, con la Porta all’estremità occidentale.

— Non lasciarmi — disse il ragazzo.

Orem lo guardò irritato. — Non te ne accorgi quando non sei desiderato?

— Mi chiamo Ronzio di Pulce.

— Non voglio il tuo nome.

— Te lo dico lo stesso. È il nome che mi ha dato mia madre. Lei è di Brack, è un posto molto lontano, verso est, è stata rapita dai pirati e alla fine è arrivata qui attraverso la Porta del Piscio. Ha un visto. Qui danno nomi come Pulce, perché è stata la prima cosa che ha visto dopo che sono nato. Suo marito è morto in fondo al mare. Ha perle al posto degli occhi.

— Cosa ti fa pensare che me ne importi?

— Stai ascoltando, no? Comunque, sono tutte balle. Mio padre è vivo e vegeto. Mi chiama Puntura di Spillo, e anche peggio quando è arrabbiato. Non ha il visto, perciò deve nascondersi nella Palude quando vengono le guardie. Io non posso avere un visto se mia madre non sposa un uomo con il visto. Perciò rubo. Sono bravo. Ruberò per te, se vuoi.

— Non voglio che tu rubi per me.

— La verità è che mio padre è morto. Mia madre l’ha ammazzato quando lui l’ha assalita con un bastone. L’abbiamo sepolto in giardino. Sarà pieno di fiori, se i cani non lo tirano fuori. È successo ieri notte.

— Balle.

— Solo in parte. Lasciami venire con te.

— Perché? Cosa vuoi da me? Se pensi che ti darò un denaro per lasciarmi in pace, avrai da piangere per la storia che ti racconterò io.

— Mia madre se ne è andata, con il visto e tutto.

— E a me che importa?

— Il suo amante l’ha portata via dopo che hanno ucciso mio padre.

Amante. Era una parola strana. Che posto aveva l’amore a Inwit? Tuttavia il ragazzo aveva un’aria spaventata, i suoi occhi sembravano fiochi ed era pronto a scappare via alla prima parola. Era vero dunque? Non aveva genitori?

— Non ho nulla — disse Orem. — Poco per me, e niente per te.

— Io conosco la città. Ti sarò utile.

— Mi arrangerò da solo.

— Se le guardie mi prendono, potrò far finta di essere tuo fratello, e non mi taglieranno un orecchio per non avere il visto.

Questo Orem non l’aveva pensato. Che potessero tagliare un orecchio a un bambino.

— Non lo faranno.

— Per il nome di Dio, lo faranno.

Cosa se ne faceva di un ragazzino? Gli avrebbe dato l’aria di avere una famiglia da mantenere, di non essere libero, gli avrebbe reso più difficile trovare un lavoro. O andarsene. — E va bene, vieni.

Ronzio di Pulce sorrise, e d’improvviso tutto il dramma nei suoi occhi svanì. Erano tutte balle, dunque? Orem si diede dello sciocco. Eppure, non lo mandò via.

— Come ti chiami? — gli chiese il ragazzo.

— Mi chiamano Fianchi-Magri.

— Per Dio, un nome peggio del mio!

— Ti chiamerò Pulce. Non è un brutto nome.

— E io ti chiamerò Magro.

— Mi chiamerai Signore.

— Un accidente. Vieni, quelli che trovano un lavoro lo trovano sulla Via dei Negozi. — E si buttarono nella folla sulla Strada del Piscio.

Pulce era un compagno quale Orem non aveva mai avuto prima. Era così allegro che anche la freddezza dei negozianti era motivo di riso. Pulce si inchinava ed elogiava con profusione i negozianti che incontravano… quelli cioè che non li scacciavano immediatamente. E dopo essere stati mandati via, Pulce ne faceva la parodia. — Oh, caro, ti amo come un figlio, ma se avessi un figlio dovrei mandarlo via senza lavoro; ragazzi, dovete capire, sono tempi duri, e se andrà avanti così per altri vent’anni, mi rovinerò e morirò anch’io, sicuro che morirò!

Orem rideva spesso a causa di Pulce, e fece molta più strada perché Pulce conosceva bene Inwit, ma quando il pomeriggio stava per finire, fu chiaro che non c’era lavoro per lui sulla Strada dei Negozi. Aveva bisogno di riposare, e Pulce lo condusse nel grande cimitero. Gli alberi erano un paradiso per Orem, un ricordo di casa, anche se non c’erano cespugli, e i tronchi erano potati e curati. Un ricordo di casa, solo che non c’erano uccelli. Orem se ne accorse e lo disse.

— I morti li prendono e ci montano sopra — disse Pulce. — Vanno dappertutto in groppa agli uccelli. È per questo che non bisogna uccidere gli uccelli. Potrebbe esserci sopra uno spirito che non tornerà mai a casa, e ti perseguiterà per sempre.

— I morti sono raccolti dalle reti di Dio — disse Orem.

Pulce lo guardò. — Credevo che non fossi un prete.

— Non sono niente se non trovo un lavoro — disse Orem. — Un uomo è quello che fa per guadagnarsi da vivere. Un falegname, un contadino, un diacono o un mendicante.

— O un ladro? — chiese Pulce. C’era una nota di rabbia nella sua voce.

— Perché no? È così che vivi tu?

— Io rubo, Magro, ma questo non è quello che sono.

— Cosa sei allora?

— Un uomo è la cosa più grande; più audace che osa fare. Io gioco con i serpenti.

Orem alzò le spalle. — Non so cosa voglia dire.

Pulce sorrise. — Allora devi venire a vedere, vero, Magro?

Nella fossa dei serpenti

Orem indovinò che erano vicini alla Palude quando l’odore della città divenne un fetore, e le casupole cominciarono a essere sorette da pali. — Stammi vicino — disse Pulce. — Ci sono delle sabbie mobili, e il fango ti risucchia come niente se metti i piedi nel posto sbagliato.

Orem lo seguì passo passo, senza deviare dal complicato sentiero che Pulce percorreva fra gli alberi dalle grandi radici e le macchie di code-di-gatto. Dopo quello che gli parve un miglio in quell’incomprensibile labirinto, Pulce si fermò di scatto. Orem gli andò addosso.

— Stai indietro — disse il ragazzo. — Non si sa mai cosa può fare un serpente.

Pulce prese un bastone biforcuto a un’estremità, e che sembrava tagliato apposta. Lo usò per scavare, mettendo allo scoperto un’asse nascosta sotto il fango. Poi infilò il bastone sotto il bordo. Dal buco uscì un sibilo acuto e lamentoso. Orem si ritrasse involontariamente. Nessun bambino a Burland ignorava che il gemito di un Querulo significava la morte se non scappava. Vivevano solo in posti come quello, dove l’ambiente non si decideva se essere terra o acqua. Era una fra le tante buone ragioni per stare lontani dalle paludi.

Pulce rise, ma non per Orem. — Tre giorni, e non è ancora soffocato. Una fortuna!

Orem guardò affascinato, mentre Pulce sollevava a poco a poco l’asse, sempre usando il bastone. Quando un Querulo si muoveva, si muoveva come un uccello, veloce e invisibile, finché non si fermava. Ed eccolo: un lampo verde che scivolava sul terreno, verso la più vicina pozza d’acqua. Ma non riuscì a percorrere più di qualche piede: il bastone di Pulce lo bloccò per il collo.

— Posso affidarti la mia vita? — chiese Pulce.

— Oggi sì.

— Allora prendi il bastone e tienilo forte.

— No.

— Una volta che questo Querulo avrà bevuto l’acqua, ci seguirà fuori dalla palude, lo sai.

— Storie per spaventare i bambini.

— Raccontalo ai bambini morti della Palude.