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L’ombra tornò in fretta. — Il figlio di Avonap? Ma è una bugia, una bugia, una bugia, non c’è il seme del grano dorato dentro di te.

— Lo giuro su Dio.

— C’è la voce — disse l’ombra — di un sapiente dottore.

— Questo ragazzo gli potrebbe essere utile?

— Chi può dirlo? Prendi la via bassa, la via di Segrivaun, e chiedi il vetro della pubblica morte.

— Merda — mormorò Braisy.

— O niente.

— E io dico merda. E va bene. Va bene. La via bassa, maledizione a te.

— E maledizione a te — sussurrò l’ombra.

Braisy trascinò Orem fino all’angolo opposto della stanza, dove un buio più profondo si apriva nel buio della parete. Braisy si fermò e lo spinse dentro. Per un terribile momento Orem credette di cadere in un pozzo. Poi il suo piede trovò un gradino. Angolo sbagliato. Vacillò, scivolò giù di tre gradini, e quando riuscì a fermarsi, aveva un dolore terribile al piede ed era spaventato.

— Attento ragazzo — disse Braisy.

— Non ci vedo.

Una porta si chiuse adagio sopra di loro. Solo allora Braisy cercò di accendere una luce. Clic; scintilla. Clic; scintilla. Clic; luce. Una fiammella di un batuffolo di lana secca. Con le mani nude Braisy accostò adagio la lana a una piccola lampada. La lampada si accese. La scala scendeva ripida, senza piegare. I gradini erano larghi un palmo e alti almeno una spanna, e la scala conduceva molto più in profondità di quanto potesse giungere la casa. La via bassa.

E se scappo? Dovrei ricordare la strada per tornare. Su per le scale, oltre la porta, se si apre, e oltre l’ombra sussurrante, a sinistra nel corridoio, giù per le scale, e fuori. Formò un filo nella sua mente, un filo di parole che divennero numeri e numeri che divennero parole. Escogitò piccoli trucchi mnemonici. Strada di Sassi Strada di Ossi. Le scale finirono in un tunnel scavato nella terra che non andava mai in linea retta per più di quindici spanne, con svolte improvvise e buchi in alto e buchi in basso e rivoletti di acqua sporca che lo attraversavano.

Le pareti di terra si trasformarono in mattoni, con aperture ogni tanto, larghe un quarto di mattone. Da alcune di esse usciva un sottile filo di liquido. Pioveva di sopra? Perché era stato costruito quel tunnel? Cane nero, cane cielo, sozza acqua, sotto l’acqua. Il filo della strada divenne più lungo, e Orem si chiese se sarebbe riuscito a tenerlo tutto nella mente. E sempre, lungo le pareti, le piccole fessure.

Il tunnel girò a sinistra, scendendo; il pavimento era fango liscio e duro, con un velo d’acqua che scorreva sopra. Orem scivolò si appoggiò alla parete, e infilò un dito in una delle aperture nei mattoni. L’acqua gli scivolò lungo il braccio.

— In nome di Dio — disse Braisy. — Tira via la mano.

Orem staccò il dito dal buco.

— Guardati il braccio.

Era bagnato. Braisy avvicinò la lampada, scrutò dove era scorsa l’acqua. — Dovrebbe essere nero. Dovrebbe essere nero, ragazzo… È dove mettono le ceneri dei morti, e se l’acqua ti tocca… Ma non sei diventato nero. Chi sei, ragazzo?

Arrivarono a una scala che scendeva. L’acqua scorreva come una cascata lungo i gradini. Scesero un gradino alla volta. L’acqua cominciò a gocciolare dalla volta in mattoni. Ogni tanto la lampada mandava un sibilo, quando una goccia la colpiva. Braisy aveva un sobbalzo ogni volta che una goccia lo colpiva.

— Zitto, qui — disse l’uomo a bassa voce. — Le guardie hanno delle gallerie che arrivano fin qui, per prendere quelli come noi che cercano di passare dal Buco. E se pensi di chiamare aiuto, ricordati di questo: tutti quelli che vengono presi nelle gallerie del Buco dicono sempre di essere stati costretti con la forza, dicono sempre di essersi persi nelle Tombe. Le guardie li tagliano a pezzi lo stesso, in piccoli pezzi, ragazzo. Li tagliano in piccoli pezzi. Pensaci, prima di gridare aiuto.

Le scale finirono, e adesso c’era la pietra sopra di loro. Qui e là c’erano dei pali che sorreggevano il soffitto del tunnel. L’acqua scorreva pigra; dove si sarebbe riversata, alla fine? Nel fondo del mondo? — Cosa farete di me? — sussurrò Orem.

— Zitto — rispose Braisy.

Altre svolte e giravolte, e Orem sentì che il pavimento si inclinava verso l’alto. L’acqua si fece più bassa, e cominciò a scorrere nella direzione opposta al loro cammino, e finalmente cominciarono a salire a spirale nella roccia. Quando ebbero fatto tre giri, i gradini e le pareti di roccia furono sostenuti dal legno.

— Adagio — sussurrò Braisy. — Non farlo scricchiolare.

Un passo alla volta, appoggiando i piedi sul bordo della scala, avanzarono. D’improvviso Orem batté la testa. C’era un soffitto sopra di loro, assi lisce che coprivano tutta la scala. E la scala le incontrava e si fermava.

— Perché non bussi, già che ci sei? — sussurrò Braisy. — Vuoi proprio che ci peschino? Non si può dire che tu sia molto sveglio, eh? — Braisy si arrampicò vicino a lui, e tastò con le dita fino a trovare un buco in una delle assi. Ci infilò un dito, muovendolo, poi avvicinò la lampada al buco. La fiamma si appiattì, poi balzò verso l’alto. Per più di un minuto tenne la lampada lì, poi l’asse si sollevò, poi quella vicina, e quella successiva, fino a che non ci fu lo spazio per salire. Le assi erano abilmente incernierate e silenziose.

— Stai cercando di bruciarci tutti quanti? — chiese una donna immensamente grassa. La sua voce era bassa, ma tagliente. — Vuoi appiccare un incendio? Dobbiamo arrostire un topo sul buco? Braisy, sei un porco in calore, ecco cosa sei. Sali, entra.

Segrivaun

La donna diede loro una mano e li tirò in una stanza che, con sorpresa di Orem, era illuminata dalla luce del giorno. Non era notte. Non era stato per ore in quelle gallerie? Oppure era già la mattina successiva? No, non era così stanco. Non c’erano finestre, solo delle fessure nella parete di legno, con un rotolo di spessa tela nera in alto, pronta a essere calata per non rivelare la luce delle candele. Orem si chiese se quella donna trascorresse lì tutta la sua vita. Forse. Ci guadagnava bene: Braisy le porse due scudi d’argento.

— Ah — disse la donna grassa. I seni le pendevano fin sotto la vita, come se contrabbandasse dei sacchi di grano sotto la camicia. La pancia le dondolava quando camminava, e anche la faccia era coperta di pieghe di grasso; perfino la fronte le pendeva sugli occhi, e dovette addirittura sollevarsela con una mano per guardare in volto Orem.

— Chi è? Perché da questa parte? Certamente non è per il Re, questo!

— Un’ombra mi ha detto di portarlo da te, Segrivaun, e che tu ci avresti portato al vetro della pubblica morte.

Segrivaun distolse lo sguardo, e lasciò ricadere la fronte sugli occhi. — Per lui?

— Ha detto che gli mancava qualcosa.

— Oh, sì. Hanno portato qui quello che gli manca giusto un’ora fa, zoccolo fesso e due uomini che lo tenevano legato. Solo quattro corna, ma abbastanza, abbastanza, uno piccolo ma sufficiente. Non voglio saperne niente. Andate avanti, per di qui.

Fece strada in un corridoio cavernoso. Costretto a chinarsi nel basso passaggio, proprio dietro la donna, Orem non poté difendersi dal fetore che emanava; era schifosa. Ma la strada non era lunga. Arrivarono in una stanza con un buco circolare nel soffitto e due corde che ne scendevano. Una era tesa, e legata a un grosso anello di ferro attaccato al pavimento; anche l’altra era tesa, ma pendeva in un buco vicino all’anello, scendendo nelle profondità della casa.

La donna grassa li fece fermare di fronte a lei e li avvertì di non toccare le corde, mentre avvolgeva praticamente la corda legata con la pancia e coi seni, stringendo l’altra con due mani. Grugnì, e tirò. Il pavimento si sollevò sotto di loro.