Cercò di parlare e il suo ginocchio si piegò, e lo sentì come un lampo di luce nello stomaco. Cercò di muovere la mano e dalla sua gola uscì un ronzio acuto, ma lo percepì come un grande peso che gli schiacciava i testicoli, e pianse per il dolore.
Poi qualcosa, qualche comando che impartì senza saperlo, fece flettere tutta la nebbia grigia attorno a lui. Una rapida contrazione. Non seppe cosa aveva fatto, ma ecco! Ancora, e ancora. Come spasmi, ma imparò a flettere il grigio, più volte, lo tirò a sé, ne sostenne la pressione. Scivolò via, si afflosciò, Orem si stancò e avvertì la stanchezza come un verde scuro nelle sue cosce, ma sapeva che questo era quello che si voleva da lui. Prendilo, tiralo dentro, stringilo, stringilo e stringilo.
E adesso poteva aprire gli occhi e vedere: non un vecchio che teneva una debole lampada in una istanza sporca, ma un giovane, biondo e bello, l’uomo che il padre di Orem avrebbe voluto che lui diventasse: alto e forte, e non aveva una lampada in mano, ma una stella scintillante. La stanza non era sporca e piccola; era steso in un letto in una stanza dalle pareti ricoperte di mogano scuro, intagliato, e da tappezzerie in broccato, e il giovane alto e biondo lo guardava con diamanti nelle pupille degli occhi.
— Questa è la mia casa, Orem, quando me lo permetti — disse il giovane con la stella e gli occhi di diamante.
E poi fu troppo per lui, e Orem sentì qualcosa rompersi dentro di sé, e il grigio sgorgò da lui e i suoi sensi volarono pazzamente per la stanza, e nell’interno della sua mente. Si contorse sulla sua miserabile brandina, finché si sentì come un ragno che chiudeva le zampe, esausto, circondato nuovamente dalla sporcizia. Il vecchio annuì. — Niente male, per essere la prima lezione. Migliorerai col tempo. Se sopravvivi.
Diventò più bravo e più forte, finché dopo qualche settimana fu in grado di tenere la nebbia dentro la sua pelle, mentre era sveglio, con grande sollievo del mago. Adesso potevano mangiare insieme. E dopo due mesi la cosa era diventata automatica, e riusciva a controllarla anche durante il sonno. Tranne di tanto in tanto, quando gli sfuggiva e si ritrovava steso sulla brandina invece che sul suo morbido letto. Disse a Vetro-di-Forca di queste ricadute. Il mago alzò le spalle, e i suoi occhi di diamante brillarono. — Anche tu ti facevi la pipì addosso, quando eri piccolo.
— Vedo che i miei barili di sottaceti attirano i tuoi occhi — disse il mago mentre leggevano nella biblioteca, una sera.
— Ti devono piacere molto… i sottaceti — disse Orem esitando.
Vetro-di-Forca sorrise, con il suo sorriso splendido. Poi aprì un coperchio con il piede di porco che era appoggiato sull’ultimo barile.
— È la cosa che mi piace di più al mondo — disse il mago. — È non sono mantenuti con la magia, per niente. Perciò non si sono rovinati quando sei entrato in così malo modo, mandando tutto all’aria. Sono soltanto quello che sembrano. — Il coperchio si sollevò, con un risucchio di acqua. Orem si alzò per guardare. Non erano cetrioli quelli che galleggiavano nel liquido, né cipolline, e neppure, come era sembrato in un primo momento, un singolo cavolfiore. Il mago allungò una mano, afferrò una manciata di capelli, e tirò su la testa raggrinzita di una donna.
Testa, collo e spalle nude. Le palpebre pendevano flosce, la bocca era aperta, la pelle era rugosa come uva secca vecchia di cento anni, e bianca. Bianca come un uovo di Dardo, bianca come l’occhio di un pesce cieco delle caverne di Watermount.
— Il mio amore, la mia vita, il mio tesoro, mia moglie. La più amata di tutte le donne. La polvere nella borsa alla mia cintura, la polvere del suo sangue, ecco… un pizzico, solo un pizzico, e guarda, guarda. — La polvere nerastra scivolò dalle dita di Vetro-di-Forca, e Orem vide il corpo rabbrividire sotto la mano del mago. Le palpebre tremarono, si alzarono pigramente.
— Nn — disse il corpo.
— Mia signora — disse Gallowglass.
— Nnnn.
— Ho un apprendista, adesso, che vuole vederti.
— Nnnn.
— È un ragazzo sveglio, a modo suo. Non conosce le buona maniere, mangia come un maiale e puzza peggio, e non c’è altro rimedio che un bagno, perché respinge gli incantesimi come il grasso respinge la pioggia. Ma ha buon cuore. Pensi che sarebbe commosso dalla tua storia, amore mio?
La voce era ancora un lamento, ma Orem si accorse che la lingua articolava fiaccamente delle parole. — Lasciami dormire — aveva forse detto. Oppure: — Lasciami morire. — Era difficile capire. Vetro-di-Forca si limitò ad annuire.
— È stato lungo il viaggio, e faticoso, vero amore? E tuttavia, malgrado la strada sia lunga, sai che ti amo. Questo deve essere un conforto per te, nella tua morte, come è un conforto per me avere la tua compagnia.
— Nnnn — disse la testa sottaceto. Un getto di bile le uscì dalla bocca, poi la testa si afflosciò. Delicatamente il mago la rimise nel barile. Quando si voltò verso Orem, i suoi occhi erano smeraldi, verdi come il muschio cresciuto sui barili.
— Ti ho detto che sono il più grande dei maghi di Inwit? È vero, ma non è un grande onore. Credi che la Regina Bella mi lascerebbe restare se fossi potente? Un mago potente non lascia che sua moglie e le sue figlie muoiano di una ridicola malattia. Non le guarda consumarsi giorno dopo giorno. Un mago potente non ha il cuore così molle da lasciarle morire con il loro sangue. Sleeve non avrebbe visto le loro morti, e con calma avrebbe preso il loro sangue vivo, con la forza ancora calda. Ma io ho aspettato come una strega, e l’ho preso freddo, l’ho preso morto, sangue trovato. L’ho ridotto in polvere, con la poca forza che basta per riportarle indietro, di tanto in tanto, e parlare con loro. — Le lacrime scorsero lungo le sue guance. — Mi viene da piangere, ma non nasconderò il mio cuore al mio discepolo. Oh, Fianchi-Magri; ragazzo mio, mia moglie era la più bella delle signore della forza, a parte Bella, mia moglie era deliziosa, e la sua bellezza non diminuì anche quando venne divisa fra le mie figlie. Guardale!
Vetro-di-Forca tolse il coperchio agli altri barili, e sollevò le figlie, e Orem guardò anche se non aveva alcuna voglia di vedere.
— Guarda la curva dei seni… adesso sono cadenti, ma puoi immaginarla!
Orem non poteva, ma mormorò il suo assenso. Ai suoi occhi le figlie erano vecchie quanto la madre, perché quello che non avevano fatto gli anni l’aveva fatto la salamoia.
— Capelli d’oro, e sua sorella neri, come il giorno e la notte che camminassero per la città. Non le ho toccate con nessun incantesimo per renderle belle… era in loro, era loro. E gli uomini che non me le chiedevano in moglie! Ma io le avevo riservate a un amante migliore di qualsiasi uomo. — Ancora una volta le lacrime brillanti sgorgarono dagli occhi di smeraldo. — Le avevo riservate per la Morte, che avanzando a piccoli passi le sedusse mentre io guardavo impotente. Le raggrinzì, le consumò davanti ai miei occhi. Ma io ho abbastanza potere per risvegliarle. Posso riportarle indietro. Tu l’hai visto!
— Sì — disse Orem.
— Oh, per le sorelle, per il Cervo, per il dannato Dio che ha spezzato il nostro potere e ci ha legato le mani, se solo io sapessi ciò che sapevano i maestri! Ho ucciso il cervo nella torre perché i miei competitori vedessero la carcassa per indurli a pensare che io abbia più forza di loro. Ma non so cosa fare di quel sangue, se non sciocchi trucchi di invisibilità, e questo si può anche fare con le pecore! Verso il sangue del cervo, e cosa ottengo? Una nuova prova della mia debolezza. — Chiuse i barili, batté con la mazza sui coperchi. — La mia vita è qui dentro, raggrinzita con la salamoia. Ma con i tuoi doni sarò il più potente di Speranza del Cervo, il più grande di tutti. E tuttavia… — Andò verso la scala, dicendo tra sé: — Il più potente di tutti, e tuttavia troppo debole, troppo debole, non ho potuto salvarle.