Il contadino alzò una mano, e il cervo fece un passo in direzione della foresta dalla parte opposta della radura. Anche i cacciatori si mossero, e i cani fecero un balzo avanti. Il contadino abbassò la mano e tutti i movimenti cessarono, in attesa di un suo gesto.
Il contadino si girò verso l’aratro. Lo sollevò, pesante com’era, e lo posò rovesciato davanti ai cani dei cacciatori. Si inginocchiò tremando di fronte all’aratro. Dietro di lui, anche sua moglie si inginocchiò e gli prese la testa fra le mani, lo aiutò ad appoggiare la gola contro la lama dell’aratro. Per un momento si fermarono. Non fu la moglie, poiché le sue mani si tirarono indietro all’ultimo momento, troppo pietose per compiere l’atto. Fu il contadino stesso a spingere violentemente il collo contro l’aratro. Il sangue sgorgò e Orem rabbrividì. La moglie finì ciò che il marito aveva iniziato: spinse giù la testa del contadino finché la lama non fu penetrata quasi completamente nel collo.
Allora i cacciatori abbassarono gli archi, e non si accorsero neppure che il cervo era riuscito a fuggire fra gli alberi. Guardarono invece i loro cani venire avanti e leccare il sangue che scendeva lungo la lama dell’aratro. Dopo aver leccato il sangue, i cani sembrarono impazzire: facevano balzi altissimi in aria, come se stessero ballando, e fuggirono gioiosamente dalla radura, nella direzione da cui erano venuti. I cacciatori si inginocchiarono, stupiti, e la moglie immerse un dito nel sangue e tracciò il segno del cervo sulle loro facce. Anche i cacciatori se ne andarono, felici.
Era buio, e la luna si alzò, e il cadavere dell’uomo giaceva ancora spezzato sull’aratro, quando il cervo tornò nella radura. Questa volta era seguito da una dozzina di maschi e da una dozzina di femmine, e sette volte sette di loro, a uno a uno, vennero a leccare i capelli del contadino. Quando ebbero finito andarono dalla moglie e il cervo la cui vita era stata salvata dal contadino le porse il collo. Lei prese un virgulto che cresceva vicino alla loro casupola e lo spezzò come se fosse secco, benché le foglie fossero verdi e lussureggianti. Poi con l’estremità spezzata e aguzza tagliò la pancia del cervo dal petto al ventre. Le interiora del cervo si rovesciarono fuori. La bestia sanguinante si trascinò fino all’uomo e giacque al suo fianco, e il loro sangue si mescolò sull’aratro.
Poi, mentre Orem guardava, l’aratro divenne una zattera, e la testa dell’uomo insieme alla testa del cervo galleggiarono sopra di essa, sull’acqua limpida. La zattera andava controcorrente. O era l’acqua che scorreva dai corpi spezzati dei due? Lungo le rive del fiume un milione di persone si inginocchiarono e bevvero, ognuna un sorso, e se ne andarono cantando.
Finalmente la zattera si fermò su una spiaggia. Come fiasche di pelle, i due corpi sembravano vuoti, e da essi non scorreva più acqua.
Orem alzò gli occhi e vide, accanto ai cadaveri sulla riva, il cervo e l’uomo vivi e interi, entrambi nudi nella luce della luna.
E la faccia del contadino era la faccia di Orem, e il cervo era quello che era davanti a loro nella stanza, le corna abbassate per permettergli di vedere la punta marrone del corno.
Orem respirò a fondo, per calmare il battito violento del cuore. Quanto di quella visione era vero, e se era vero, cosa significava?
Come in risposta venne la faccia di una donna. Era il viso più bello che Orem avesse mai visto, gentile e innamorato, che gridava come una tragica vergine assetata per la vita di un uomo dentro di lei. Orem non la conosceva, ma seppe subito chi era. Soltanto una donna poteva avere quel viso, perché quel viso gridava un solo nome: Bella. Era la Regina, e lo chiamava, e una lacrima di gioia spuntò da un occhio quando lo vide e lo prese fra le sue braccia.
Poi la visione sparì, di colpo, e Orem si ritrovò solo con Vetro-di-Forca nella stanza al primo piano.
— Hai visto? — chiese Orem.
— Ti ho visto inchinarti davanti al Cervo, e ti ha offerto le corna, e d’improvviso il sangue ha cominciato a sgorgare da una ferita profonda nella tua gola, e ho pensato che fossi morto.
Ferito. Orem tastò con la mano, e sì: lungo la sua gola c’era il solco di una ferita profonda ma da lungo tempo guarita. — Non ho mai avuto una cicatrice qui.
— Cosa hai visto?
— Ho visto come questo luogo ha preso il nome di Speranza del Cervo. E che significato ha il Santuario dell’Albero Spezzato. E ho visto la faccia di Bella.
Non ci fu ambiguità quando il nome venne detto. Bella indossava solo una faccia a Burland, anche se erano in pochi ad averla vista. Ogni uomo aveva la propria immagine della Regina Bella nella sua mente, da temere e da adorare quando era massimamente solo. Ogni donna la conosceva, e ogni donna sapeva come Bella si faceva beffe della loro insufficienza.
— Mi ha trovato? — chiese Orem.
— No — rispose Vetro-di-Forca. Di scatto si voltò e uscì dalla stanza. Ci volle un momento prima che Orem si rendesse conto che stava piangendo. Il ragazzo si alzò, si infilò le mutande e la camicia e si allacciò i vestiti, mentre seguiva il mago nella stanza di sotto. Quando arrivò in fondo alle scale. Vetro-di-Forca aveva già sollevato il primo coperchio, poi il secondo, poi il terzo, poi sollevò i corpi delle donne che galleggiavano nella salamoia, li sollevò in alto e li appoggiò ai bordi delle botti, con le facce che gocciolavano sul tappeto. — Mi avete tradito! — gridò il mago. — Siete spergiure, siete ladre! — E afferrò la testa raggrinzita della figlia bionda, ravvicinò alla sua e sputò negli occhi spalancati. — Cosa siete per me, carne gonfia e sporca? Mi avete defraudato della vostra forza, mi avete defraudato delle vostre vite dentro la mia casa, e adesso il Cervo è entrato nella mia casa, e voi dove eravate? Dove eravate quando la vita è sgorgata dalla gola del mio terribile ragazzo? Un sorso, e sareste vissute, sareste vissute, sareste vissute!
E il mago lasciò di nuovo penzolare la testa, che dondolò un poco. Verso la mensola, verso la borsa di sangue in polvere. Orem non poté sopportare di vedere le donne richiamate un’altra volta dalla semimorte che Vetro-di-Fuoco aveva imposto loro. E così usò il suo potere, d’improvviso, come un tagliaborse usa il coltello, e in un attimo il sangue fu privo del suo essiccato potere. Sapeva che così facendo adempiva al desiderio delle donne e spezzava il cuore di Vetro-di-Forca. Il mago lasciò cadere un pizzico di polvere, ma invece di dar vita alle donne, fu come se le corrodesse: le loro facce si annerirono, i capelli caddero a terra a ciocche, la pelle si staccò e scivolò sul tappeto bagnato con flaccidi tonfi, e a una a una le teste si afflosciarono e caddero, per dissolversi rapidamente in masse irriconoscibili di putrefazione.
Solo quando le ossa si furono staccate, rimanendo a mucchietti sul tappeto, solo quando le metà inferiori delle tre donne furono sparite nell’acqua, solo allora Vetro-di-Forca si voltò verso Orem, e la sua faccia era terribile. I suoi occhi brillavano di una luce rossa, i suoi denti erano nudi come quelli di un tasso, e Orem vide la morte nelle mani dell’uomo.
Si lanciò verso la porta e l’aprì. Una mano gli afferrò il collo della camicia per tirarlo indietro, ma Orem riuscì a sfuggire, strappando la camicia. Corse nella strada gelida, con la camicia che gli penzolava addosso, trattenuta solo dalla cintura. Corse nella strada gelida, sotto una pioggia di ghiaccioli che si scioglievano, corse sulla superficie gelata della strada, con la fredda luce del sole alle spalle.