Poi la sua voce si ammorbidì, la sua faccia divenne infantile e serena, anche se le sue parole divennero fredde. — Una donna è un campo, Asineth, o così pensa un uomo, un campo che egli arerà e seminerà e dal quale intende mietere molto di più del suo piccolo seme. Ma la terra si muove più in fretta di quanto possa muoversi un uomo, e l’unica ragione per cui egli non lo sa è che io lo porto come me mentre giro. Lui ara solo i solchi che trova; lui non fa nulla. È l’agricoltore che viene arato, non il campo, e lui non mi dimenticherà. — Asineth ascoltò ogni parola di Berry e osservava i movimenti di Berry e si allenava a muoversi e a parlare come lei. Pregava le Dolci Sorelle di essere com’è lei quando fosse cresciuta; sapeva che non era mai esistita donna più perfetta al mondo.
Amava Berry anche il giorno in cui parlò di lei al Re. Nasilee lasciava che sedesse al suo fianco nella Sala delle Domande, e anche se era giovane qualche volta la consultava pubblicamente. Lei dava la sua risposta a voce alta, e Nasilee lodava la sua saggezza, o le faceva notare gli sbagli, in maniera che tutti potessero sentire e trarne beneficio, e che lei potesse imparare l’arte del governo. Quel giorno il Re chiese alla figlia: — Chi è più saggio di me. Asineth?
Nell’innocenza della fanciullezza, lei non aveva ancora imparato che ci sono domande di cui bisogna far finta di non sapere le risposte. — Berry — rispose subito.
— Ah — disse suo padre. — E come mai è così saggia?
— Perché ha il potere, e se tu hai il potere non hai bisogno di essere saggio.
— Io ho più potere di lei — disse il Re. — Non sono più saggio, allora?
— Tu hai potere su tutti gli uomini, Padre, ma Berry ha potere su di te. Non puoi obbligare un agricoltore ad arare lo stesso campo due volte in un anno, ma lei può farti arare due volte al giorno, anche quando non ti resta nessun seme da seminare.
— Ah — disse di nuovo Nasilee. Poi disse ai soldati di portargli Berry. Asineth vide che suo padre era adirato. Perché era adirato? Non amava Berry quanto l’amava Asineth? Non era contento che fosse saggia? Non aveva forse avvelenato la madre di Asineth perché lei non voleva che si portasse a letto Berry?
Berry arrivò con le catene ai polsi. Guardò Asineth con un odio terribile e gridò: — Come puoi credere alle parole di una bambina! Non so perché menta, o chi le abbia detto di dire queste cose, ma tu non vorrai credere alle storie dei miei nemici!
Nasilee si limitò ad alzare le sopracciglia e disse: — Asineth non mente mai.
Berry guardò con terrore Asineth e gridò: — Non sono mai stata tua rivale!
Ma Asineth non comprese le sue parole. Aveva imparato così bene la sua prima lezione che non poteva immaginare di aver fatto qualcosa di sbagliato. Berry implorò il suo amante. Asineth vide come usava il suo corpo bellissimo, come si contorceva nelle catene, come il suo abito si aprì ad arte mostrando il gonfiore del seno. Papà avrebbe amato ancora Asineth e l’avrebbe perdonata, Asineth ne era sicura. Ma l’amante di Berry era diventato il suo Re, e quando lei ebbe finito di implorarlo, il Re mandò a chiamare un contadino, con un tiro di buoi e un aratro.
Lo fecero nel giardino: ararono Berry dall’inguine al cuore, con il tiro di buoi, e le sue urla risuonarono nel giardino del palazzo fino all’inverno, e per questo Asineth non poté uscire fino a quando l’inverno non si trasformò in un altro mondo.
Fu una cosa crudele quella che fece suo padre, ma Asineth sapeva che anche lui, la notte, sentiva le grida di Berry. Berry abitava in ogni stanza del palazzo, anche se era morta, e un giorno, quando Asineth aveva nove anni, trovò suo padre accasciato su una sedia, nella libreria, con un libro aperto davanti a sé, le guance segnate da lacrime mezze asciutte. Senza bisogno di chiedere, Asineth sapeva a chi stava pensando. Confortò Asineth sapere che anche se Berry non aveva avuto tanto potere quanto credeva di avere, ne aveva a sufficienza per non farsi dimenticare, e per costringere il suo amante a vivere per sempre nel rimorso. E tuttavia la morte di Berry era ancora una lezione imparata a metà, e il suo significato non le era ancora stato svelato, e così Asineth rivolse una domanda a suo padre.
— Non l’amavi?
Con sua sorpresa, lui rispose: — Se non l’amavo, non ho mai amato nulla.
— Perché l’hai uccisa, allora?
— Perché sono il Re — disse Nasilee. — Se non l’avessi uccisa avrei perso la paura del mio popolo, e se il popolo non ha paura di me io non sono Re.
Asineth seppe allora che dei due poteri che Berry le aveva detto, il più forte era quello di dare i nomi. Era a causa del fatto che Nasilee si chiamava Re, che aveva dovuto uccidere ciò che amava di più. — Tu non amavi Berry più di tutto — disse Asineth.
Nasilee aprì gli occhi, lasciando che brillassero sottili sulla sua giovane figlia. — Davvero?
— Più di lei amavi il nome di Re.
Gli occhi di suo padre tornarono a chiudersi. — Vai via, bambina.
— Non voglio andare, padre — disse. Amavo Berry più di quanto amassi te, non disse.
— Non voglio vederti quando penso a lei — disse suo padre.
— Perché no? — chiese Asineth.
— Perché mi hai obbligato a ucciderla.
— Io?
— Se non mi avessi riferito le sue parole di tradimento, non avrei dovuto ucciderla.
— Se tu avessi semplicemente riso alle parole di una bambina, lei sarebbe vissuta.
— Un Re deve essere Re!
— Un Re debole deve essere ciò che altri Re sono stati; un Re forte è se stesso, e da quel momento il significato del nome di Re è cambiato. — Le parole avrebbero potuto essere di Berry, perché Berry comprendeva queste cose, e Asineth ancora capiva solo vagamente ciò che voleva dire.
— Che importa? — disse stancamente il Re. — Tu avevi detto le parole, il Re le aveva sentite, e Berry doveva morire; ora io la piango, e vorrei che tu fossi morta nascendo, portando tua madre con te. Per il Cervo lo desidero, per le Sorelle lo giuro, e adesso lasciami solo, ragazzina!
Lei lo lasciò. Fino a quel momento era stata l’unica persona di Burland a non avere paura di Re Nasilee. Adesso non rimaneva nessuno che non ne avesse paura, poiché lui era il Re e poteva spezzare chiunque con una parola.
Era il giorno di Palicrovol.
Il terribile ribelle aveva sollevato tutte le genti di Burland contro il Re. Insieme al traditore Zymas aveva sconfitto esercito dopo esercito, non in campo aperto, ma tagliando i rifornimenti, separandoli, corteggiando soldati, truppe, intere armate a disertare e a servire Palicrovol. Ora infine, dopo sei anni di guerra che non era mai diventata una battaglia, l’esercito di Palicrovol era fuori dalle mura di Speranza del Cervo. Speranza del Cervo, la grande città di Burring, la capitale. E Nasilee guardò dalle mura, e non vide alcun aiuto.
Nel corso degli ultimi cinque anni, i pagamenti delle tasse erano costantemente diminuiti, interrompendosi dapprima nelle contee di confine, per cessare quasi del tutto negli ultimi tempi. Anche il commercio di Speranza del Cervo era in crisi, poiché Palicrovol aveva costruito una strada a ovest e costretto tutto il traffico fluviale per via terra, anche se costava di più; Speranza del Cervo era alla fame, e la gente scappava. Ora Nasilee attendeva dentro le mura impenetrabili, e osservava Palicrovol, un Uomo di Dio, raccogliere i suoi bianchi stendardi, ciascuno con cento uomini attorno, fino a quando il terreno attorno alla città ribollì come la schiuma del mare.
Anche Asineth attendeva. Osservò suo padre consultare i maghi… i pochi che rimanevano. L’osservò vagare per le sale mezzo vuote del palazzo, perseguitato dalla consapevolezza della propria morte. Tutti sapevano che le mura di Speranza del Cervo non potevano essere spezzate. Erano lunghe molte miglia, alte molte pertiche, spesse molti passi; perfino i pochi soldati di Nasilee potevano resistere all’armata di Palicrovol, anche con il traditore Zymas al comando.