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Il mattino lo vestirono di broccati e velluti, abiti così pesanti che all’inizio gli fecero curvare le spalle e lo resero un po’ ridicolo. Non sapeva come indossare le vesti di un Re. È una cosa che non è innata, come sai. Lo condussero attraverso il palazzo, sussurrandogli i nomi delle sale in modo che lui potesse chiederli nuovamente, anche se non sapeva ancora cosa farsene della Camera delle Stelle, della Sala dei Cobra, del Portico delle Lamentazioni, o della Stanza dei Tori Danzanti.

Ai piedi delle scale vide un vecchio che sembrava fuori posto, poiché invece di una livrea indossava solo un vecchio perizoma sporco, ed era coperto di macchie color legno. La schiena del vecchio era contorta, come se fosse stato stritolato da grandi mani. Era chino sulle scale e versava un liquido chiaro sul legno, strofinandolo poi per farlo penetrare. Orem si fermò per non calpestare il suo lavoro. L’uomo alzò gli occhi a guardarlo. Le sue sopracciglia erano folte come baffi, ma erano gli unici peli che avesse sulla faccia. La pelle del viso era trasparente, e le vene pulsavano blu e rosse appena sotto la superficie. Occhi profondi come ambra, spessi come crema, e senza alcuna pupilla.

— Sei cieco? — chiese Orem a bassa voce. Senza dubbio non poteva vedere, senza un’apertura per la visione; e tuttavia gli occhi non si alzarono forse a guardarlo?

— Alla luce sono cieco — sussurrò il vecchio, senza staccare gli occhi dalla faccia di Orem.

Dove aveva visto occhi come quelli? — Chi sei? — chiese Orem.

— Sono Dio — disse il vecchio. Sorrise, e la sua bocca non aveva né lingua né denti, né alcuna altra cosa: solo una cavità nera dentro le labbra. Poi tornò al suo lavoro, e i servitori spinsero delicatamente Orem su per le scale.

Chi, se non il Piccolo Re, avrebbe parlato con un vecchio servo nudo che oliava le scale di legno? Questo è certo: solo uno che portava con sé un buco invisibile nella Vista della Regina avrebbe potuto sentire la risposta che Orem sentì. Non capì; ma neppure si dimenticò, malgrado tutto ciò che imparò sulla Regina Bella prima che trascorresse un’ora.

Chi, se non la Regina, avrebbe potuto essere notata nella Camera della Luna, con i suoi grandi dischi d’argento illuminati da mille candele? Lei la usava come sua corte privata. I servitori condussero Orem fino a quel grande cerchio di vetro che ora è chiamato Tavola Rotonda, e che allora era chiamato la Luna di Bella. Guardò la Regina che era seduta sul suo trono d’avorio.

Quando i servi furono usciti, la Regina si alzò e avanzò, offrendogli la mano. Orem la prese e fece per inchinarsi, ignorando il protocollo, pensando solo alla notte prima, e meravigliandosi che quella donna ora fosse sua moglie. Ma la Regina lo fermò e non gli permise di inchinarsi. Invece chinò la testa davanti a lui. Un respiro alle sue spalle lo fece accorgere che c’era qualcun altro nella sala.

— Bella ha preso moglie — intonò una voce acuta, con un pizzico di pazzia — per soddisfare le sue voglie. Se l’è portato a letto con un po’ di veleno nel petto?

La Regina sollevò la testa e guardò gli altri presenti nella stanza; anche Orem si voltò. In mezzo al tavolo sedeva un uomo nero, piccolo, quasi nudo, con delle corna di mucca in testa e un immenso fallo falso che gli pendeva dalla cintura. Non era stato lì quando Orem era entrato. Era stato lui a recitare i versi, e adesso parlò di nuovo.

“Che Re carino, con un coso piccolino. Ma canterà la sua canzone l’ape senza pungiglione?”

— Zitto — disse la Regina magnanimamente. Il nano fece una capriola e atterrò ridendo ai piedi della Regina.

— Ah, battimi, battimi, Bella! — gridò l’ometto nero, e si mise a piangere pietosamente. Cominciò ad assaggiarsi le lacrime, poi si ritirò in un angolo della stanza, asciugandosi gli occhi con il fallo imbottito, che era più lungo delle sue gambe.

— Come vedete — disse la Regina — ho preso marito. È un comune criminale, viene dal quartiere più sporco della città. È altrettanto attraente ai miei occhi quanto un maiale lebbroso. Ma mi è stato dato in un sogno dalle Dolci Sorelle, e mi ha divertito seguire il loro consiglio.

Orem non riuscì a conciliare la voce dolce e musicale con le parole dure che diceva. Fece un sorriso stupido, vagamente consapevole di essere oggetto di un insulto, ma incapace di irritarsi di fronte alla musica che usciva dalle labbra della Regina.

— Come vedete, è anche abbastanza stupido. Una volta aveva un nome, ma in questa corte verrà chiamato Piccolo Re. Inoltre, malgrado il fatto che abbia la potenza sessuale di uno scarabeo stercorario, ieri notte abbiamo concepito un figlio.

Orem non fu sorpreso che la Regina Bella già lo sapesse. Altre donne avrebbero dovuto attendere che la luna sorgesse per loro, ma non lei. Con Bella simili cose non rimanevano al caso.

— Voi parlerete di mio figlio agli altri, miei Pettegoli. Spargete la voce in tutto il mondo. Il caro Palicrovol saprà cosa significa, anche se gli altri non lo sapranno, e verrà a bussare alle mie porte. Mi manca, Palicrovol. Voglio vederlo piangere ancora.

Ciascuno a turno, i Compagni della Regina vennero da lei, e lei li ricevette solennemente.

Il passo del vecchio soldato era lento e incerto; il peso dell’armatura lo piegava. La sua voce era vuota e bassa, piena di aria. Parlò per primo ad Orem.

— Piccolo Re, vedo che porti saggiamente l’anello. Guardalo spesso e segui il suo consiglio. — Poi si rivolse alla Regina e la guardò negli occhi. Orem rimase sorpreso dalla forza del suo sguardo: quando l’aveva guardato, gli occhi del vecchio erano stati gentili e miti, ma adesso erano pieni di fuoco. Odio? Quell’uomo aveva della forza, malgrado il suo corpo debole e la grande armatura che ne faceva una caricatura. — Bella, cara Bella — disse il vecchio soldato. — Ho una benedizione per tuo figlio. Che possa avere la mia forza.

Orem guardò la Regina, allarmato. Senza dubbio si sarebbe adirata che il vecchio maledisse in quel modo il suo futuro bimbo. Orem conosceva bene il potere dei desideri sui nascituri: molti storpi di corpo o di mente erano il risultato di uno scherzo non meditato. Ma la Regina si limitò ad annuire e a sorridere, come se il vecchio le avesse fatto un grande regalo.

Poi venne la donna. Camminava inclinata, cosicché un passo era lungo, l’altro corto. Le sue mani erano contorte e nodose, e quando toccò la guancia di Orem, la sua pelle gli sembrò squamosa come quella dei pesci. Sorrise, e Orem vide che il nero che aveva sul labbro erano dei baffi irregolari; aveva i capelli sottili, a ciuffi, e in alcuni punti era calva; non le era stata concessa neppure la misericordia di una parrucca. — Piccolo Re — disse con voce che sembrava il grido di una gallina in calore — rimani solo, non amare nessuno, e vivi a lungo. — Poi anche lei si rivolse alla Regina. — Anch’io offro una benedizione a tuo figlio. Che possa avere la mia bellezza.

Ancora una volta, la Regina accettò la crudele maledizione come se fosse un dono.

Il nano arrivò dondolando, e sorridendo come un idiota. Si fermò di fronte a Orem e si abbassò il perizoma, mostrando che aveva un solo testicolo nello scroto, e un pene così piccolo che si vedeva a stento. — Sono solo metà di quello che dovrei essere — disse il buffone — ma il doppio dell’uomo che sei tu. — Poi ridacchiò, si rimise a posto il perizoma e con un balzo fu vicino a Orem, gli sollevò la camicia e sbirciò sotto. Orem cercò di tirarsi indietro, ma il nano riuscì a vedere ciò che voleva vedere. — Piccolo Re! — gridò emergendo da sotto i vestiti di Orem. — Piccolo Re! — Poi di colpo fu serio. — La Regina vede tutto, solo che non vede di non vedere. Ricordartene, Piccolo Re!

Un istante prima di voltarsi il nano nero gli strizzò l’occhio, e Orem ebbe l’inesplicabile sicurezza che quel buffone conoscesse qualcosa che Orem doveva assolutamente apprendere.