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— Bella, cara Bella — cantò il nano rivolto alla Regina.

“Sia benedetto il nascituro che vivrà in un bel futuro! Sentirà bugie per tutta la vita ma avrà la mia saggezza infinita!”

Poi, ridendo sgangheratamente, il buffone fece un paio di capriole all’indietro e finì lungo disteso sotto il tavolo.

Orem rimase costernato per gli amari doni che avevano offerto al figlio della Regina… suo figlio, in effetti, anche se era ben lontano dal provare sentimenti paterni per una creatura che non poteva neppure immaginare, per il momento. Orem sapeva solo che la Regina aveva ricevuto un grave affronto, e cercò in qualche maniera di porvi rimedio. Non conosceva alcuna benedizione per il nascituro, eccetto quelle usate comunemente a Banningside e in campagna, le benedizioni che usava sempre il diacono Dobbick. Orem si voltò verso la Regina e disse: — Regina Bella, vorrei benedire il bimbo.

Lei gli rivolse un mezzo sorriso; lui pensò che fosse di assenso, non di derisione. Orem spiattellò la sua benedizione con parole che in se stesse avevano per lui uno scarso significato, solo che gli sembravano una benedizione appropriata: — Che il bambino viva per servire Dio.

Orem l’aveva intesa come una gentilezza; la Regina la prese come una maledizione. Lo schiaffeggiò con tale forza che cadde a terra, la guancia lacerata dall’anello di Bella. Cosa aveva detto? Dal pavimento, la osservò mentre guardava imperiosamente gli altri e diceva, con voce piena di odio: — Il dono del mio Piccolo Re è forte quanto la sua manina. — Si voltò verso il suo marito-ragazzo. — Comanda e benedici come ti pare, mio Piccolo Re; sarai obbedito solo da coloro che rideranno di te. — Poi la Regina si voltò e si diresse verso la porta. Si arrestò sulla soglia. — Urubugala — disse imperiosamente. Il buffone nero uscì in fretta e furia da sotto il tavolo, e Orem capì che quello era il suo nome.

— Vieni qui — disse la Regina. Urubugala strisciò verso di lei, piangendo il suo triste destino. Passò vicino a Orem, che istintivamente si allontanò dallo strano essere. Ma la mano nera del nano lo afferrò d’improvviso per un braccio tirandolo vicino a sé. Orem perse l’equilibrio, e mentre cercava di rimettersi in piedi, si trovò le labbra del buffone vicino all’orecchio. — Ti conosco, Orem — sentì un sussurro quasi inaudibile. — Ti aspetto da tempo.

Orem era inginocchiato, e il buffone in piedi davanti a lui (erano alti quasi allo stesso modo in quella maniera) e il buffone lo baciò con forza sulla bocca, mise la mano sulla testa e gridò: — Ti battezzo con il tuo vero nome, ragazzo! Tu sei la Speranza del Cervo!

Un brivido percorse Orem, violento come se il pavimento stesso avesse tremato. Orem ap Avonap, Fianchi-Magri, Banningside, Piccolo Re… di tutti i nomi che gli erano stati dati, solo Speranza del Cervo gli era stato dato con il Passaggio dei Nomi. Il nome sacerdotale gli sarebbe stato dato in quella maniera, se avesse preso i voti.

E forse il pavimento aveva davvero tremato, poiché il buffone si stava contorcendo a terra, urlando di dolore, stringendosi la testa fra le mani. Fa parte del suo gioco idiota, o è un dolore reale?

— Il suo nome è Piccolo Re, e non ne avrà altri — disse la Regina dalla porta.

Uscì. Urubugala immediatamente smise di gridare. Rimase un momento sul pavimento, ansimante, poi si alzò e seguì la Regina.

Anche Orem si alzò. La guancia gli faceva male, e anche il gomito con cui aveva colpito il pavimento. Era confuso; non capiva nulla. Si voltò verso gli altri, la donna brutta e il vecchio soldato. Lo guardarono con occhi compassionevoli. Non riusciva a capire bene neppure la loro pietà.

— Cosa devo fare adesso? — chiese.

I due si guardarono. — Tu sei il Piccolo Re — disse il soldato. — Puoi fare quello che preferisci.

— Re. — Orem non sapeva cosa pensare. — Ho visto Palicrovol, una volta.

— Davvero? — disse la donna. Non pareva interessata.

— Si copre gli occhi con coppe d’oro, perché la Regina non possa usare i suoi occhi per vedere.

La donna ridacchiò. — Uno sforzo inutile, mi pare. La Regina può vedere ogni cosa.

Tranne dove vado io, e rendo inutile la sua Vista, pensò Orem, ma non lo disse.

— Lei vede tutto, come un’orchestra di visioni nel fondo della sua mente. Lei osserva sempre. — La donna rise. — Lei ora ci vede. E sta ridendo, ne sono certa.

Allora Orem ebbe paura. Quanto vedeva, la Regina? Lei non aveva dato segno alcuno di conoscere la capacità di Orem di impedirle la visione. E tuttavia, se non conosceva nulla del suo potere, perché l’aveva scelto?

Non per amore, questo era chiaro adesso, e Orem non poté fare a meno di provare vergogna di fronte ai Compagni della Regina, vergogna per essere così debole, patetico, inerme. La vergogna sopraffece la paura. Se voleva scoprire il suo potere o in qualche modo limitarlo, che lo facesse subito. Lasciò che la sua rete si allargasse un po’, quel tanto sufficiente per riempire la stanza, per ripulirla dall’odore dolciastro, nauseante della vista di Bella. Quando Bella non poté vedere, parlò: — Cosa è permesso fare al verro dopo che la scrofa è stata servita?

I loro occhi si spalancarono e per un momento non dissero nulla, in attesa, immaginò Orem, che la Regina li colpisse. O aveva sentito e non le importava o, come Orem sperava, non aveva sentito. Non aveva sentito, e Orem poteva avere un piccolo, patetico potere, abbastanza per non sentirsi pieno di vergogna.

— Ho chiesto — chiese di nuovo — cosa sono libero di fare.

— Apparentemente — disse la donna — qualsiasi cosa tu desideri.

Il basso borbottio della voce del vecchio aggiunse: — Tu comandi a tutti. Sei il marito della Regina. Sei il Piccolo Re e devono obbedirti.

Era un pensiero che dava alla testa, e Orem non si fidava. — Ditemi i vostri nomi, allora.

— Ti chiediamo perdono — disse la donna orribile. — Abbiamo sbagliato. Tu comandi tutti tranne Urubugala e noi.

— E perché voi no?

— Perché noi non ridiamo di te.

L’implicazione era ovvia. — Dunque tutti gli altri rideranno.

I due si guardarono nuovamente, e la donna sussurrò. — È la volontà di Bella. E cosa può impedire a Bella di essere obbedita?

Non era una domanda oziosa, non del tutto. Gli stava chiedendo se veramente lui sapeva qualcosa che loro non sapevano. Ma Orem non osava rispondere, non osava spiegare loro cos’era, anche se l’avesse saputo con sicurezza lui stesso. Cosa può impedire a Bella di essere obbedita? Bella vede tutto… tranne quello che non vede di non vedere. Non vede me? E non vede che non vede me? Indovinelli, indovinelli. Non posso rispondere, perché non so.

— Meno comandi — disse il soldato — meno rideranno.

— Non dirglielo, Coniglio — disse la donna. — Piccolo Re, comanda tutto ciò che vuoi. La tua vita sarà più facile se tutti ridono. Falli ridere. Anche la Regina riderà.

— Se la Regina ride, allora potrò comandare anche a lei?

Ci fu nuovamente un momento di stupore per la sua impudenza; e nuovamente non accadde nulla. E questa volta la donna orribile sorrise, e il vecchio soldato soffiò. — Chi lo sa? — disse il soldato.

— Coniglio. È questo il tuo nome?

Il soldato subito si scurì in volto. — È il nome che la Regina mi ha dato.

— E tu — disse Orem alla vecchia. — Come posso chiamarti?

— Mi chiamo Donnola, Bocca-di-Verità come soprannome. È il nome che la Regina mi ha dato.

— Io avevo un nome prima che lei me ne desse uno — disse Orem. — Voi no?

— Se l’avevo — disse Donnola — non lo ricordo più.