— Ma non puoi averlo dimenticato. Il mio vero nome è…
Lei gli mise una mano squamosa sulla bocca. — Non puoi dirlo. E se potessi, ti costerebbe caro. Non cercare di ricordare.
Fu a questo punto che Orem svelò loro che non era il ragazzo dai fianchi magri che sembrava essere. Allungò la sua agile lingua interiore e li assaggiò delicatamente, dove le loro scintille brillavano più vive. In quel momentaneo contatto scoprì come erano legati, freddi e grigi, la loro luce soffocata da mille incantesimi. Non disfece tutti gli incantesimi, solo quello dell’oblio: una cosa piccola e semplice. Non l’aveva già fatto per Vetro-di-Forca?
Ma appena l’ebbe fatto se ne pentì. Perché essi lo guardarono con occhi spalancati, occhi che non lo vedevano: erano rivolti all’interno, per guardare ciò che era stato dimenticato per tanto tempo e ora era tornato. E piansero. Il vecchio soldato Coniglio, con le sue fredde e grigie lacrime che gli rigavano le guance, ricordando la sua forza; la brutta Donnola Bocca-di-Verità con la faccia più contorta che mai, orribile, ricordando suo marito.
Poi si contorsero di dolore e guardarono verso la porta, dove era apparsa la Regina.
La regina Bella, adesso non più altezzosa e imperiosa, ma infuriata, con gli occhi che mandavano fiamme. Erano fiamme vere, vide Orem, che le uscivano dagli occhi e si riflettevano sui dischi d’argento e sul tavolo. — Come avete fatto a ricordare quello che vi ho portato via? — La sua voce fece tremare la stanza.
Donnola e Coniglio non dissero nulla.
La Regina urlò e i dischi tintinnarono contro i muri. Donnola e Coniglio caddero a terra. Spaventato com’era, Orem si chiese se non doveva fingere di essere sensibile alla sua magia. Ma prima che potesse muoversi, Urubugala prese in mano la faccenda. Rotolò davanti alla Regina e le si stese ai piedi.
— Non puoi costringere Urubugala a dimenticare — disse. — Ciò che Urubugala fu un tempo, Urubugala è sempre.
Nella sala si fece un silenzio assoluto. La Regina guardò il nano e fece un bellissimo sorriso. Era il sorriso dell’imminente crudeltà; tutti noi lo conoscevamo bene, tranne Orem.
— Davvero? — chiese. — E cosa speravi di ottenere? Non mi hai potuto fermare una volta; credi forse che disfando qualche piccolo incantesimo potrai spaventarmi? — Lo prese per i capelli e lo sollevò come se non pesasse più di un cane. — Urubugala, mio buffone, non lo sai che sono stati i tuoi miseri contro-incantesimi a causare tutto questo? Oh, sì, Urubugala, tu provi a resistermi, ad aiutare il vecchio galletto a sfuggirmi… Mi sono resa conto allora che era quasi giunto il momento, il momento di rinnovarmi, Urubugala, e così ecco qui il Piccolo Re e l’infante nel mio grembo. Credi di potermi fermare?
— No — disse Urubugala sorridendo.
— O speravi semplicemente che ti avrei lasciato morire?
— Vostra grazia mi ha permesso a lungo di vivere nella sua infinita misericordia.
Il sorriso di Bella si allargò, e le fiamme schizzarono dai suoi occhi e incendiarono i vestiti di Urubugala. Il nano urlò. Come se il suo grido gli avesse infuso il potere di volare, si alzò nell’aria, sopra il tavolo, e lì bruciò e bruciò, urlando. Orem era nauseato, trafitto dalla colpa. Il nano aveva assunto su di sé la responsabilità di tutte le sue azioni, e adesso stava morendo per questo.
Ma non stava morendo, dopo tutto. Perché improvvisamente com’erano divampate, le fiamme si interruppero, e il nano venne fatto scendere, ansante e piagnucolante, sul tavolo. La Regina gli andò vicino, allungò una mano e lo prese per un orecchio, lo tirò su fino a guardarlo negli occhi.
— Mi hai bloccato tu al Campo del Merluzzo? Lasciami entrare, Urubugala. o ti farò bruciare per sempre.
— Entra, entra — sussurrò lui. — Come vuoi, guarda tutto. — Spalancò la bocca in un respiro ansante e si contorse sul tavolo. Sollevò la testa, con gli occhi fissi in quelli di Bella, finché le loro facce si toccarono, rovesciate, signora e schiavo, madre e bambino, la testa di Urubugala sostenuta solo dalla forza dello sguardo di Bella.
Era finita. La testa del nano ricadde con un colpo secco sul tavolo. — La verità, la verità, in nome delle Sorelle, è la verità. Ero sicura che fossi stato tu.
— Oh, bene — mormorò il nano.
— Credi che non sia capace di sconfiggerlo, qualunque cosa sia? Non mi farò minacciare da un miserabile mago che ha imparato i tuoi miserabili contro-incantesimi, Urubugala.
— Oh, bene.
— Non mettermi alla prova, Urubugala. Non ti permetterò di avere neppure una vittoria come questa. — Poi gli toccò la fronte e il nano di colpo si rilassò. Dormiva. Orem vide che la sua pelle non era stata segnata dalle fiamme. La Regina si rivolse a Coniglio e a Donnola. — Ma pensandoci, perché dovrei rifare i favori che ha rimosso? Mi piace che ricordiate nuovamente tutto, e mi odiate mentre guardate senza poter far nulla. Urubugala può ridarvi i vostri ricordi, ma credo che rimpiangerete l’antico oblio. Non chiedete a me. Chiedete a lui. — Indicò il nano addormentato. — Chiedetegli cosa può fare.
La Regina se ne andò. Coniglio e Donnola la guardarono uscire, poi si voltarono a guardare Orem. Lui aprì la bocca per parlare, ma Donnola si mise la mano alla bocca e scosse la testa. Aspettavano, guardandolo. Finalmente si rese conto che aspettavano che lui rendesse sicuro il parlare. Perciò allargò di nuovo la sua rete, timidamente, ripulendo la stanza.
Urubugala immediatamente si alzò a sedere in mezzo al tavolo. — Non farlo più — disse a Orem. — Tocca quello che ti pare, fai quello che ti pare, ma non noi. Noi tre, i Compagni della Regina, siamo i suoi ornamenti, e lei non vuole che veniamo alterati.
Evidentemente Urubugala sapeva chi era Orem, e altrettanto chiaramente era convinto che la Regina non potesse sentirli. Che altro poteva fare Orem se non fidarsi di lui? — Mi dispiace — disse.
Donnola disse piano: — Non potevi saperlo.
— Perché sono qui? — chiese Orem.
Forse Donnola glielo avrebbe detto; fece l’atto di parlare, ma Urubugala alzò la mano. — Non sta a noi indovinare ciò che stanno facendo gli dèi. Tu sei guidato da occhi più saggi dei nostri, e non ti diremo altro. Solo questo: non cercare e troverai; non chiedere e ti sarà dato; non bussare, e le porte si apriranno per te.
Poi Urubugala rotolò giù dal tavolo e atterrò ai piedi di Orem. Orem guardò in basso e incontrò i suoi occhi.
— Perfino Bella non sa perché sei qui.
E il nano nero uscì dalla stanza col suo passo dondolante, trascinandosi fra le gambe il fallo finto; ma non era più divertente, non agli occhi di Orem che l’aveva visto sopportare un dolore atroce e parlare di nuovo, come se niente fosse successo.
Il nano l’aveva salvato, e si era preso la punizione per lui. Coniglio e Donnola non avevano parlato, per amore suo. Non era amicizia, Orem non comprendeva la parola. Essi ebbero per sempre la sua lealtà. Ma in verità non la desideravano. Essi erano leali a te, Palicrovol, non a Orem, e questo lui non lo comprese mai fino alla fine, troppo tardi per lui, e appena in tempo per te.
20
GLI USI DEL POTERE