Ma Asineth aveva paura. Era grande abbastanza adesso (aveva dodici anni, ed era appena diventata donna) per sapere che suo padre era un uomo cattivo, che la gente aveva ragione a odiarlo. Asineth sapeva che Palicrovol era amato dalla gente, poiché perfino i servitori del palazzo, per quanto leali, parlavano con desiderio, e sottovoce, della libertà e della prosperità che Palicrovol portava nelle terre conquistate. Asineth temeva che i soldati di suo padre lo tradissero e aprissero le porte a Palicrovol. E così pregò le Dolci Sorelle. Portò il sangue della luna all’altare delle donne nel luogo segreto e disse: — Rendi i cuori di questi uomini leali a mio padre, perché possiamo salvarci dal nostro nemico.
La mattina successiva alla notte in cui aveva bruciato il sangue per le Dolci Sorelle, le porte della città si spalancarono e i soldati del muro esterno innalzarono il bianco vessillo del Dio di Palicrovol. Si sparse la voce che Zymas fosse venuto da loro, di notte, da solo e disarmato, e con le sue parole leali avesse conquistato i loro cuori.
Asineth prese tre forti guardie e le condusse con sé al santuario delle Sorelle, dove nessun uomo era mai stato condotto prima, e comandò loro di fare a pezzi l’altare. Essi lo frantumarono con quattro colpi di mazza. All’interno, la roccia massiccia dell’altare era vuota. Come in un piccolo stagno, conteneva antica acqua, che era lì da quando il mondo per la prima volta aveva brillato sulla punta del Corno del Cervo. L’acqua colò sul pavimento e Asineth camminò sull’acqua e la sporcò con la sua scarpa. — Vi odio — disse alle Dolci Sorelle.
A questo punto, l’esercito di Palicrovol teneva la città stessa di Speranza del Cervo. Si diceva che Palicrovol avesse cambiato nome alla città. Adesso la chiamava Inwit, e aveva dato incarico a metà dei suoi soldati di costruire un grande tempio al suo Dio. Vietò a chiunque di offrire sangue al tempio del Cervo.
Questo diede speranza ad Asineth. Anche se il Cervo era un dio estraneo a lei, come a tutte le donne, era sicura che il Cervo l’avrebbe ascoltata. Non erano alleati, ora? Non era Palicrovol nemico di entrambi? Pregò dunque il Cervo, perché fosse scudo attorno alle mura del castello. Non c’era rischio di tradimento, adesso: poche guardie rimanevano e lo stesso Re teneva le sole chiavi che aprivano le stanze da dove poteva essere sollevata la porta, o aperto l’ingresso posteriore. Ma Palicrovol aveva Sleeve, il più grande mago del mondo, e ciò che nessun uomo poteva fare, Sleeve poteva farlo. Perciò Asineth pregò il Cervo che li proteggesse.
E di notte, proprio nell’istante in cui implorava il Cervo di salvare suo padre e lei stessa, sentì un grandissimo rumore, come di mille alberi che si spezzino durante un temporale, e seppe subito cosa significava. La grande porta del castello era stata frantumata dalla magia di Sleeve, e non c’era più nulla che potesse fermare Palicrovol ora.
Asineth corse alla ricerca di suo padre nel labirinto del palazzo. Guardò in ogni nascondiglio; ma non conosceva suo padre bene come credeva. Non si era nascosto. Non lo trovò finché non lo trovarono i soldati, nella Sala delle Domande.
— Padre! — gridò Asineth.
— Sciocca! — urlò lui. — Scappa!
Ma i soldati la riconobbero subito, la presero, e la tennero fino all’arrivo di Palicrovol.
Ti odio, Cervo, disse Asineth in silenzio.
Giunsero nella Sala delle Domande un’ora dopo: Palicrovol alto e forte, con la luce di Dio sul viso, o almeno la luce del trionfo. Zymas, il traditore, con braccia e gambe come le zampe di un toro, e la luce della battaglia nera nei suoi occhi. Sleeve, scheletrico e simile a uno spettro, con la sua pelle bianca e i capelli bianchi e gli occhi rosa, che scivolava come nebbia sul pavimento.
— Deve morire come sono morti migliaia del suo popolo — gridò Zymas. — Infilzalo nudo su un palo, e lascia che il popolo gli sputi addosso mentre urla di dolore.
— Dovrebbe essere bruciato — disse Sleeve — perché la forza del suo sangue ritorni nel mondo.
— È un Re — disse Palicrovol. — Morirà come un Re. — Palicrovol estrasse la spada. — Dagli la tua spada, Zymas.
— Palicrovol — disse Zymas — non dovresti essere tu a correre questo rischio.
— Palicrovol — disse Sleeve — non dovresti sporcarti le mani con il suo sangue.
— Quando i cantori diranno che ho sconfitto Nasilee — disse Palicrovol — sarà vero.
Così Asineth osservò suo padre sollevare la spada che gli diedero. Non tentò neppure di combattere: sarebbe stato poco dignitoso. Rimase fermo con la punta della spada sollevata. Palicrovol batté due volte contro la spada, cercando di farla arretrare, ma Nasilee non si mosse. Allora Palicrovol infilò la spada sotto le braccia di Nasilee, sotto lo sterno, dritto nel cuore. Asineth osservò il sangue di suo padre scorrere lungo la lama di Palicrovol e sulle sue mani, e sentì i soldati gridare di gioia.
Allora fece un passo avanti. — Sono la figlia del Re — disse con voce che era tanto più potente in quanto flebile e infantile.
Tutti tacquero e l’ascoltarono.
— Il Re mio padre è morto. Da questo momento io sono Regina, secondo le leggi di Burland. E Re sarà quell’uomo che sposerò.
— Il Re — disse Zymas — è l’uomo a cui gli eserciti obbediscono.
— Il Re — disse Sleeve — è l’uomo favorito dagli dèi.
— Il Re — disse Palicrovol — è l’uomo che ti sposerà. E io ti sposerò.
Con tutto il disprezzo che riuscì a mettere nella voce, Asineth disse: — Io ti spregio, Conte di Traffing.
Palicrovol annuì, come se onorasse il suo verdetto sul suo onore. — Come vuoi — disse. — Ma non ho mai chiesto il tuo consenso. — Si rivolse a una delle Fantesche che si faceva piccola sotto lo sguardo dei soldati. — Questa ragazza è diventata donna?
La fantesca balbettò qualcosa, mentre Asineth rispondeva per lei. — Perché non lo chiedi a me? Io non mento.
A queste parole la faccia di Palicrovol si illuminò, come riconoscendo qualcosa. — Ho conosciuto un’altra donna che non mentiva mai. Dimmi dunque, Regina Asineth: sei diventata donna?
— Tre volte — disse Asineth. — Sono grande abbastanza per sposarmi.
— Allora ti sposerai.
— Mai con te.
— Adesso. E con me. Non voglio si dica che non regno su Burland di diritto.
La vestirono con un abito da sposa che era stato fatto per una sposa bambina otto generazioni prima, di lei. Non era mai stato indossato, dal momento che la bambina era morta di una peste prima del matrimonio. Ora, mentre portavano Asineth in un carro per i prigionieri attraverso la città di Inwit, con diecimila persone che la schernivano e la maledivano, anche se non aveva mai fatto loro alcunché di male, Asineth pregò.
Pregò l’unico dio che restasse, il Dio di Palicrovol, il cui tempio stava sorgendo nell’angolo sud-est della città. Dio, gli disse, il tuo trionfo è completo, e anch’io disprezzo le Sorelle e il Cervo. Abbi compassione di me, Dio. Lascia che muoia senza sposare quest’uomo.
Ma non accadde alcun miracolo. Nessun coltello era rimasto abbandonato vicino alle sue mani; non era vicina ad alcun precipizio; non c’era acqua più di quella contenuta in un’urna. Non poteva tagliarsi la gola né gettarsi verso la morte, né affogarsi. Dio non ebbe misericordia di lei.
L’immagine del Cervo era stata portata via dal Tempio, e ora giaceva vergognosamente davanti al Salone delle Facce. Mille generazioni di maghi erano saliti sulla groppa del Cervo per pregare in favore di Burland e offrire il sangue del potere. Ora solo Palicrovol era lì, e l’attendeva indossando la corta tunica dello sposo. Non ci sarebbe stata alcuna Danza della Discesa, né alcun rito; era evidente a chiunque avesse occhi per vedere, che Palicrovol intendeva consumare il matrimonio di fronte a diecimila testimoni, cosicché nessuno in seguito potesse dire che non era il legittimo marito della figlia del Re.