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Jane disse: «Vengo con voi.»

«No.» George la guardò, cupamente. «Sarebbe d’intralcio, non d’aiuto.»

«Voglio venire.»

La voce di lui divenne aspra. «Non m’interessa. Rientrate in casa. Tutti quanti.»

Elizabeth era rimasta vicino alla porta, con Stephen. Rientrò, e Mandy e Jane la seguirono. Mandy mise il catenaccio alla porta, e Stephen disse:

«È tutto sistemato, adesso? Possiamo continuare a giocare a Monopoli?»

«Per ora no,» disse Elizabeth. «Forse più tardi.» Guardò Mandy, sopra la testa del bambino. In apparenza era calma come al solito, ma la sua voce era un po’ meno ferma. «Sarebbe una buona idea preparare del tè, no?»

«Sì,» disse Mandy. «Metto sul fuoco il bricco.»

«Veniamo anche noi.»

Andarono tutti in cucina. C’era un gran silenzio: il ticchettio dell’orologio, il rombo del fuoco nella stufa, nient’altro. Avrebbero dovuto essere rassicuranti, pensò Jane, la vista e il suono delle cose comuni, di Mandy che riempiva un bricco e lo metteva a bollire. Ma lei pensava soprattutto al mondo che premeva dall’esterno, il grigiore e il freddo in cui era stata trascinata Diana. E in cui si erano avventurati gli uomini. Se fosse accaduto loro qualcosa…

Il suono, lontano ma inconfondibile, la sconvolse.

Stephen chiese: «Zio George sta sparando a qualcuno? A loro?»

A loro, pensò Jane, inorridita. Sua madre, suo padre, Andy. La mente del bambino si era adattata con un balzo che lei non sapeva imitare, da cui rifuggiva. Diana… si doveva avere paura anche di lei, e odiare anche lei? Ma forse non era un adattamento, era un’evasione, la capacità di dissociare il nome dalla persona, la paura nuova dal vecchio affetto. Un bambino aveva rifugi dove gli adulti non potevano entrare. Guardò Stephen, chiedendosi se doveva rabbrividire o rallegrarsi.

Elizabeth disse: «Spara per spaventarli e farli stare lontani, senza dubbio.»

Rimasero in attesa di un altro sparo: c’era tensione persino nella serenità di Elizabeth. Su di loro era caduto il silenzio dell’attesa; Jane si accorse di avere serrato involontariamente i denti e le mani: quando li disserrò con uno sforzo di volontà, tornarono a stringersi. Trasalì quando Mandy trascinò rumorosamente la scaletta sul pavimento, salì e prese una bottiglia nascosta dietro un barattolo di zucchero. Mandy guardò le altre due donne: aveva un’espressione strana, chiusa.

«Pensavo di bere un goccio,» disse, «mentre bolle l’acqua. Ne volete un po’?» Sorrise lievemente al loro rifiuto, versò il liquore in un bicchierino. Era trasparente; probabilmente gin. Continuò, con voce inespressiva: «Le notti passano, ma bisogna tirare avanti anche di giorno.»

L’osservazione aveva un’incoerenza folle che, in circostanze diverse, sarebbe apparsa buffa, ma adesso non lo era. Elizabeth disse: «L’acqua bolle. Lo preparo io, il tè?» Si sentiva il bisogno di fare qualcosa, pensò Jane: bere un sorso, anche se questo significava rivelare un vizio segreto o un nascondiglio… oppure fare il tè… o qualunque altra cosa. Sentì la propria voce chiedere:

«Ci sono rimasti dei biscotti?»

«No,» rispose Mandy, in tono di rammarico. «Ma in dispensa ci sono le ciambelle che ho preparato stamattina.»

«Vado a prenderle.»

La dispensa era a un passo dalla cucina, ma Jane affrettò il passo, nel tornare. Bevvero il tè e mangiarono le ciambelle in un silenzio che Jane detestava ma che non osava spezzare. Stava ormai per mettersi a urlare, quando suonò il campanello. Elizabeth disse, senza alzare la voce: «Dio sia ringraziato.» All’unisono, si alzarono e andarono tutti insieme nel corridoio.

Il sollievo nel veder rientrare gli uomini fu così grande che era solo un piccolo dolore constatare che Diana non era con loro. George le disse:

«Mi dispiace, Jane. Non l’abbiamo trovata.»

«Lo sparo?» chiese Elizabeth.

Douglas disse: «George ha intravvisto…» Diede un’occhiata a Stephen, che ascoltava. «Ha intravvisto qualcuno. Non credo che lo abbia colpito.»

Elizabeth disse: «Abbiamo appena preparato il tè. Andate a sedervi, ve lo porterò.»

Jane l’aiutò a portare il tè e le ciambelle in salotto; Mandy sembrava contenta di lasciarle fare. Quando entrarono, George stava aggiungendo ceppi sul fuoco. Selby era vicino alla finestra e guardava fuori. Sembrava ancora stordito. Jane gli portò una tazza di tè.

«Mi dispiace,» disse lui.

«Non poteva sapere che Diana l’avrebbe seguito. Se fosse rimasta dove lei l’aveva lasciata, vicino alla porta, non le sarebbe successo niente.»

Selby scosse il capo. «Mi sono comportato come uno stupido.»

Jane aveva parlato per consolarlo, ma aveva bisogno di conforto lei stessa. Disse:

«Diana si dibatteva. Potrebbe essersi liberata, no?»

«L’abbiamo chiamata. Non ci ha risposto.»

«Potrebbe essersi allontanata dallo chalet. Nella nebbia, e spaventata com’era, forse non sapeva dove andava.» Selby rimescolava il tè in silenzio. «Potrebbe essersi nascosta da qualche parte, in attesa che la nebbia se ne vada.»

«Sì.» Lui non la guardò. «Potrebbe essere andata così.»

George disse: «Ci sono alcune cose che dobbiamo chiarire.» La sua voce attirò l’attenzione di tutti. «Per esempio, non dobbiamo più correre rischi. Non dobbiamo andare in nessun posto da soli: anche in casa. Farò un’eccezione per quando si va al bagno, ma anche in questo caso, bisognerà aprire la porta in due e assicurarci che sia vuoto e che la finestra sia adeguatamente chiusa e sbarrata.»

Elizabeth disse: «Ma in casa dovremmo essere al sicuro.»

«Non possiamo sottovalutare i nostri avversari.» George si guardò rapidamente intorno. «Come ha fatto Selby. Ha visto il bambino e ha pensato di poterlo catturare… ha creduto che gli altri fossero diventati imprudenti. Ma quelli stavano facendo precisamente quello che avevano intenzione di fare noi: avevano organizzato una trappola. Probabilmente speravano di prendere Selby… assalirlo quando era abbastanza lontano dalla casa. Invece Diana ha deciso di seguirlo, e lei era un bersaglio più facile. Così l’hanno presa.»

«Uno alla volta,» disse Elizabeth. «È sempre stato così fin dall’inizio, non è vero?»

«Erano in quattro,» disse George. «Escludendo Andy. I due uomini hanno afferrato Diana e l’hanno portata via. Immagino che una delle donne abbia urtato Selby quando ha svoltato l’angolo. Non possono occuparsi di più di una persona alla volta.»

Jane chiese: «E cosa succede?» Poi cercò di cancellare il tremito dalla propria voce. «Cosa pensate che succeda?»

«Non lo sappiamo,» disse George. La fissò, quasi brutalmente. «Ha importanza? Loro se ne impadroniscono.»

«Loro?»

Con voce spenta, Selby disse: «Ci ho pensato molto.»

Poi tacque, e George chiese: «Dunque?»

«Non è una malattia, non nel senso che noi diamo comunemente alla parola. Lo stesso vale per l’isterismo. Qui c’è un’azione premeditata, un’intelligenza fredda. In quanto ai diavoli alpini di Marie, anche se ci credessi non potrei pensare che agiscano in questo modo. Lavorano insieme in un modo che sarebbe impossibile per esseri umani malati o isterici, e persino per i diavoli.»

«Fanno piani precisi,» disse George. «Questo sappiamo farlo anche noi. Non dimentichi che proprio lei stava pensando a un piano per impadronirsi di uno di loro. Poteva anche funzionare.»

«C’è una differenza,» disse Selby. «Ricordatevi quale esca hanno usato. Andy. Noi saremmo stati capaci di esporre Stephen allo stesso modo? E ci sono anche i suoi genitori. Se nella figura che sembra Ruth fosse rimasto davvero qualcosa di lei, pensate che avrebbe permesso una cosa simile?»