«Forse no,» rispose Selby. «Però, secondo me, Conosci il Tuo Nemico è un precetto molto simile a Conosci Te Stesso. Se quella è un’intelligenza aliena, c’è una cosa che deve sapere: che tra lei e noi non può esistere tolleranza. Noi dobbiamo annientarla, se non vogliamo esserne assimilati. Sa che noi, qui in casa, siamo sull’avviso, e sa di avere a disposizione solo un tempo limitato, prima che noi siamo in grado di dare l’allarme agli altri. L’elicottero, stamattina, deve averla spaventata. Ed è per questo, suppongo, che i tempi degli attacchi si sono fatti più serrati. Deve averci in suo potere, prima che arrivi qualcuno dal mondo esterno.»
Elizabeth disse: «Se questo è vero, allora Andy…»
«Allora che cosa?»
«Be’, il coma… e poi si è precipitato fuori dallo chalet. Se era stato catturato, perché non è salito subito da sua madre? Lei non avrebbe intuito la verità.»
«Forse il primo contatto è stato più difficile degli altri. Probabilmente c’è stata una confusione iniziale. La prima caratteristica di ogni intelligenza è la capacità di apprendere. Dobbiamo ammettere, credo, che questa ha imparato parecchio, negli ultimi giorni.»
George disse: «Secondo me, è ancora chiaro che non dobbiamo correre rischi. Se restiamo barricati in casa, non ci succederà niente. E quando la nebbia sparirà…» Si avvicinò alla finestra e guardò fuori. «Non sembra più tanto fitta.»
Jane lo seguì. Si sforzò di vedere attraverso i veli della nebbia. Diana era là fuori: quel pensiero la fece soffrire, come nessun pensiero l’aveva fatta più soffrire da tanti anni. Selby disse: «E dobbiamo aspettarci guai. Dobbiamo renderci conto anche di questo.»
XIII.
Mandy non aveva ascoltato con molta attenzione ciò che aveva detto Selby. Sembravano cose acute e impressionanti, forse anche importantissime, ma ciò che contava soprattutto era che il tepore stava svanendo, e con quella consapevolezza venne l’inizio della necessità. Come un innamorato pensa al viso e al sorriso dell’amata, lei vedeva mentalmente lo scaffale e la bottiglia. Ricordava che era già semivuota, sebbene l’avesse riempita di nuovo solo quella mattina. Forse lei beveva troppo? Ma non era affatto sbronza, e il tepore svaniva e, dopotutto, quelle erano circostanze speciali: gli altri lo sapevano.
Tuttavia, non era paura ciò che provava: era solitudine. Sebbene gli altri fossero a pochi passi da lei, lì seduta su una sedia con un piede proteso, le parevano molto lontani. Le loro voci venivano da una grande distanza… anche quella di George. A un certo punto si accorse che lui era indignato con Selby, ma quella collera era lontana, come il tuono sulle colline, d’estate, quando i cugini venivano a casa… Caesar aveva paura del tuono, e scappava sempre a nascondersi sotto la scala, e Hilda rideva, e anche lei e Clyde lo prendevano in giro, fino a quando una volta arrivò Cooper e disse che era una cattiveria, e fece loro vedere le cose da un altro punto di vista: il povero cane che tremava di paura per qualcosa che non capiva, e vedeva che a ridere di lui c’erano coloro che avrebbero dovuto volergli bene. E lei aveva capito che, sebbene Cooper parlasse a tutti, si rivolgeva soprattutto a lei… era lei che lo deludeva. Allora si era buttata in quel buio tiepido, aveva abbracciato il cane che tremava, gli aveva nascosto la faccia contro il collo, perché nessuno la vedesse piangere.
Si voltò, quando vi fu una pausa della conversazione, per sgattaiolare via. George le chiese:
«Dove vai, Mandy?»
«Solo in cucina.»
«Va bene. Ma lascia la porta aperta, e appena vedi qualcosa di sospetta, grida.»
Lei annuì ed uscì. Ma George la seguì e la raggiunse nel corridoio. Le chiese:
«Ti senti bene, tesoro?»
Le posò la mano sul braccio, ma lei non sentì che la toccava.
«Sì,» rispose. «Mi sento bene, George.»
«Ricordati. Non scendere in cantina da sola.» E aggrottò la fronte. «Dovremo chiudere la porta della scala, e mettere il catenaccio.»
La porta in cima alla scala della cantina, di solito, era fissata contro il muro. George la chiuse e mise il catenaccio. La parte esterna, che adesso era allo scoperto, aveva uno strato di polvere. Marie era terribilmente trascurata, se non le si stava dietro…
Disse: «Vado a prendere un piumino.»
I piumini erano nel cassetto di destra del tavolo di cucina. Mandy andò là, ne prese uno. Quando si rialzò e si voltò, vide lo scaffale, che assunse all’improvviso una realtà sconvolgente: lo scaffale, con una scheggiatura che mostrava la vecchia vernice verdescura sotto la nuova tinteggiatura, la forma tozza del barattolo dello zucchero con il baccello di vaniglia, nero su bianco. Lucide superfici nitide in un mondo cupo e nebbioso. La bottiglia era parzialmente nascosta dal barattolo: non si era preoccupata di spingerla in fondo. E la scaletta era lì, dove l’aveva lasciata. Salì, e prese la bottiglia, se ne versò un bicchierino, poi una dose più abbondante.
Aveva bevuto un sorso, e sostava pensando a un secondo, quando George entrò in cucina.
«Ero un po’ preoccupato…» cominciò lui. Le vide il bic chiere in mano. «Be’, penso che non sia una cattiva idea. È quel che ci vuole in una giornata simile. Prendo un bicchiere e ti faccio compagnia.»
La sua voce era gaia o meglio, pensò Mandy, forzatamente gaia. Era gentile da parte di George, ma lui era buono; lo aveva sempre saputo. Versò del gin nel bicchiere che le porgeva, e la mano le tremò leggermente. Mandy, si rimproverò, l’hai fatto apposta. È una cattiveria da parte tua.
George disse: «Salute.» Mandy sapeva che non gli piaceva il sapore del gin liscio, ma lo bevve con aria d’apprezzamento. «Mi sento un po’ riscaldato, adesso,» disse: Le cinse affettuosamente le spalle con un braccio: ma non bastò a farlo sembrare più vicino. «Mandy,» le disse, «quando questa storia sarà finita…»
Lei resse il bicchiere con tutte e due le mani, e attese che George proseguisse. Non riusciva a interessarsi di ciò che le avrebbe detto, e questo non era giusto. Sorrise, cercò di guardarlo come se le importasse: come se ci fosse qualcosa che importava, al mondo.
«Ce ne andremo,» disse George. «Disdiremo le prenotazioni per tutto il resto della stagione. Non sono in molti, e potranno andare al Buffet de la Gare. Faremo una vera vacanza. Prenderemo il minibus e andremo a girare un po’ l’Italia. Ci fermeremo dove vorremo e finché vorremo. Qualche settimana a Siena. Hai sempre detto che ti sarebbe piaciuto tornarci e restarci di più. Passeremo la primavera in Italia… è la stagione migliore.»
La stava guardando, sperando in una reazione, e lei sapeva che era importante non deluderlo. Disse:
«Sarebbe meraviglioso, George.»
«E potremmo andare a Venezia. Tu ci sei stata solo d’estate: è un posto diverso, quando non sei costretto a turarti il naso ogni volta che sali su una gondola. E a San Marino. Non abbiamo mai visto veramente l’Italia come si deve, con calma, senza correre.»
Mandy disse ancora: «Sarebbe bellissimo.»
Ma in realtà sembrava uno di quei radiodrammi di una volta, prima della televisione, quando alla radio trasmettevano drammi e commedie, e si ascoltava, mentre con gli occhi si badava ad altro… il lavoro a maglia, l’orologio appeso alla parete, il gattino che si prendeva la coda, o le facce degli altri presenti nella stanza. Così l’attenzione non era mai completamente assorbita, i problemi e le promesse non erano mai reali.
George chiese: «Ti piacerebbe davvero?»
La stava osservando. Mandy sorrise. «Davvero.»
Lui sembrò sollevato, e lei ne fu lieta. George disse:
«Adesso vieni a raggiungere gli altri?»
«No,» disse Mandy. «Devo spolverare quella porta, e poi devo tornare qui a preparare la cena.» Lui sembrava incerto. «Non preoccuparti, George. Vedi bene che qui sono al sicuro, e poi terrò la porta aperta, e tutto il resto.»