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«Posso fare qualcosa?»

«No, niente. Puoi tornare dagli altri e cercare di tenerli su di morale. Ti chiamerò, se succede qualcosa.»

Andarono nel corridoio insieme, e George proseguì verso il salotto. Mandy spolverò l’esterno della porta, con cura, lentamente. Li sentiva parlare: una volta, George rise. Provò di nuovo quel grande senso di solitudine, ma sapeva che se anche fosse andata là non sarebbe successo niente: solo le voci sarebbero state più forti, e gli altri si sarebbero aspettati che ascoltasse, magari che rispondesse. Finì di spolverare e tornò in cucina. Adesso non li sentiva quasi, ed era meglio. Si versò un altro goccio, e pensò alla cena.

Il cibo stava diventando un problema. A parte le scatole di corned beef, c’era abbondanza solo di patate. La soluzione, probabilmente, era un piatto di patate ripiene. Poteva usare un uovo a testa, anche se la scorta era sempre più ridotta, e con prosciutto tritato e cipolle, e formaggio grattugiato avrebbero fatto la loro figura. E per contorno? Be’, c’erano tre barattoli di spinaci. E prima una crema di verdure, anche se la scorta ormai era agli sgoccioli. Tutto era ormai agli sgoccioli. Ah, be’, decise, domani si sarebbe arrangiata in qualche modo.

Bevve ancora un goccetto prima di andare in dispensa a prendere le patate. Per fortuna Peter aveva portato di sopra un sacco pieno, il giorno prima. Mentre sceglieva le più adatte, pensò a Peter e a Marie, e a quanto era diverso non averli più intorno. Si chiese cosa facevano, fuori, e come era venire cambiati come loro, le tornò in mente, in modo vago, qualcosa che aveva detto Selby… che facevano le cose insieme. Allora, forse, erano amici, perché la gente non poteva fare qualcosa insieme, se non c’era l’amicizia. Quella volta che aveva litigato con Clyde, e non gli aveva parlato per due giorni, e poi Cooper li aveva convinti a lavorare tutti insieme per costruire una diga sul fiume, e in un momento tutto era diventato diverso.

Portò le patate all’acquaio, le grattò scrupolosamente e le tagliò a metà. Stava svuotandone una quando udì la voce. La finestra era aperta, ma c’era l’asse inchiodata di traverso: aveva dovuto accendere la lampada per vedere quello che faceva. La voce veniva dall’esterno. La voce di Ruth Deeping.

«Vieni fuori, Mandy,» disse. «Vieni con noi.»

La voce non era forte, il tono né minaccioso né accattivante, solo ragionevole. E amichevole. Alzò la testa e guardò fuori. Tra le assi rozze vide il grigiore della nebbia, null’altro. La finestra era molto alta dal suolo, naturalmente… più di due metri.

«Vieni con noi, Mandy.»

Aveva promesso che avrebbe chiamato, se fosse successo qualcosa, e pensava che avrebbe dovuto dirlo agli altri… almeno a George. Ma la voce era serena, non pericolosa. Come poteva essere pericolosa? E non chiedeva niente: né una risposta, né attenzione. Era strano, ma il fatto che non chiedesse nulla la faceva sembrare più vicina delle altre voci. Mentre svuotava le patate, Mandy ci pensò. Non solo non chiedeva niente. Le dava qualcosa: la sensazione di essere desiderata.

«Vieni fuori, Mandy. Vieni fuori.»

Aveva lasciato la bottiglia sulla tavola; non era più il caso di rimetterla sullo scaffale. Il bicchiere era vuoto e lo riempì. Giocò con il liquore sulla lingua, prima d’inghiottirlo, per sentire il formicolio sulle papille gustative. E in quel momento, si vide nello specchio appeso alla parete dietro la lampada, e le venne voglia di ridere. Si avvicinò e si guardò attentamente. La faccia quadrata, un po’ rincagnata, la pelle rozza segnata dalle minuscole linee rosse dei capillari spezzati, le sopracciglia sempre troppo folte (tranne nel periodo del suo matrimonio con John, quando lui insisteva perché se le sfoltisse), e gli occhi, vacui e confusi: dov’era la bambina che avevano conosciuto Clyde e Cooper?

«Vieni con noi, Mandy. Vieni con noi.»

E dov’era, del resto, la madre che Lois e Annette e Johnny conoscevano, nella casa sulla Parkway, con le terrazze e i prati tenuti verdi dagli innaffiatoi automatici anche dopo un’estate così calda, in quella fulgida mattina d’autunno, con l’aria frizzante e odorosa di foglie e di fumo? Nessuno di loro mi riconoscerebbe, pensò, e vide il volto contrarsi, gli occhi della sconosciuta davanti a lei annebbiarsi di lacrime che non avevano senso.

«Mandy, Mandy. Vieni fuori, Mandy.»

«Non posso uscire,» disse lei.

Vi fu una pausa, poi la voce disse: «Sì che puoi. Niente può fermarti. Vieni, Mandy. Vieni con noi.»

Lei riportò il bicchiere all’acquaio, e continuò con le patate. Era stato un errore, pensare ai bambini. Si poteva pensare a loro durante le preghiere della sera, ma durante il giorno era sbagliato. Ingiusto nei loro confronti, ingiusto nei confronti di George. Quando si faceva una scelta, si prendeva una decisione, bisognava mantenerla, o si era perduti. E quando si diventava vecchi e ci si sentiva soli, pensò, c’erano inevitabilmente i ricordi, ma bisognava scegliere i ricordi permessi. Caesar, e i ragazzi, e i cugini. Non c’era niente di male, in questo.

«Vieni, Mandy,» disse la voce. «Con noi sarai felice.»

Quella volta che erano andati in bicicletta a fare un picnic, e il piccolo Charlie s’era perso. Lo avevano cercato, con ansia crescente, per un tempo che a loro era sembrato interminabile. Ansia e paura… un mese prima era stato assassinato un bambino, e gli adulti ne parlavano obliquamente, ma in toni d’orrore, i bambini con sgomento ed eccitazione. Dietro ogni cespuglio c’era un cadavere o un assassino. E alla fine l’avevano trovato addormentato tra l’erba in riva al fiume, come Portly ne Il vento tra i salici. L’avevano rimbrottato e avevano riso di lui fino a quando si era messo a piangere, e allora le bambine l’avevano coccolato e Catharine gli aveva fatto una ghirlanda di margherite. La paura e lo smarrimento potevano finire nella felicità… almeno, lo potevano allora.

«Vieni con noi, Mandy,» diceva la voce. «Vogliamo che tu venga con noi.»

Lei avrebbe voluto chiedere a Charlie se aveva udito la musica, il Pifferaio alle Porte dell’Aurora? Perché quello era il suo libro preferito, e quella era la parte più bella. A un certo momento l’aveva preso in disparte, ma naturalmente la domanda le era sembrata sciocca, all’ultimo momento, e lei non aveva saputo formularla. E se gliel’avesse rivolta adesso, alla faccia dalle guance cascanti e dagli occhiali da dirigente e dai capelli che cominciavano a diventare radi… che risposta le avrebbe dato? Mandy scosse il capo. Sarebbe rimasto sbalordito e l’avrebbe giudicata pazza: quelle sarebbero state le sole reazioni possibili. Sarebbe stato troppo orribile, se Charlie avesse risposto di sì.

«Vieni, Mandy. Tu credi che qui fuori sia freddo, ma non è vero.»

Lei disse, involontariamente: «Non è il freddo che mi preoccupa: è sentirmi sola.»

«Ma non c’è più solitudine, per noi. Siamo tutti insieme. Vieni con noi, Mandy. Non sarai più sola, quando sarai con noi.»

Mandy sentì dei passi nel corridoio, e dopo qualche istante entrò George, seguito da Elizabeth e da Jane. Lui disse:

«Mi è sembrato di sentire qualcosa.»

Mandy sorrise. «Ero io. Parlavo da sola.»

«Volevano darti una mano,» disse George.

Lei scosse il capo. «Non occorre. Me la cavo benissimo.»

«Senta,» disse Elizabeth, «è ridicolo che debba addossarsi lei tutto il lavoro. Siamo nella stessa barca.»

«Ma non ne ho bisogno, davvero.»

«Non importa: vogliamo aiutarla.»

Lei guardò George con aria supplichevole: doveva capire che voleva restare sola, doveva convincere le altre ad andare via. Ma il suo appello venne ignorato. Lui disse:

«Allora vi lascio tutte al lavoro. E un altro po’ di tè non andrebbe male.»