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«Non troppo male.» Mandy ci pensò sopra. «Comunque, posso dare da mangiare a tutti per una settimana. Roba in scatola, però.»

«E lo Scotch durerà ancora di più. Peccato che i Deeping avrebbero dovuto ripartire domani.»

Mandy aveva acceso la sigaretta di George, e adesso accese la sua.

«Perché?»

«Perché Leonard, se non mi sbaglio, sosterrà che il contratto comprende anche il trasporto fino a Nidenhaut. In caso di inadempienza…» George prese a imitare l’accento settentrionale di Deeping: «Ritengo che siamo stati trattenuti contro la nostra volontà, e di conseguenza ritengo che non le dobbiamo nulla per la pensione di questi giorni, anzi penso che abbiamo il diritto di chiedere i danni.»

Mandy rise. «È capacissimo di dirlo. Ce la faranno a riaprire la strada entro una settimana? Ne sei sicuro? Non dovremo cominciare a razionare i viveri, o qualcosa del genere?»

«Niente razionamenti,» disse lui. «A Nidenhaut lo sanno che abbiamo viveri, in caso d’emergenza. Se dovesse durare a lungo, chiamerebbero un elicottero, per farci lanciare qualche cassa di provviste. Siamo nel novecentosettanta e passa, tesoro. Non dovremo tirare a sorte per decidere chi deve essere mangiato dagli altri.»

«Allora non c’è da preoccuparsi?»

«Be’, dovrai preoccuparti di farli contenti con la roba in scatola.» George le passò un braccio intorno alle spalle: un normale gesto di affetto, ma lei sentì che le comunicava forza e sicurezza. «Fatti coraggio, cara: ma se c’è qualcuno che può riuscirci, quella sei tu. Sai che ti dico? Andiamo a berci un goccetto, prima che arrivi l’orda affamata per il tè.»

Mandy protestò: «A quest’ora?»

George le sorrise, e lei pensò che era da sciocca fingere. Lui doveva sapere, almeno, della bottiglia che teneva nascosta nel comodino, e probabilmente non gli era sfuggito che il livello delle bottiglie, nel bar, continuava a calare. Gli appoggiò la testa contro il mento.

«Qualcosa da bere mi andrebbe bene,» ammise.

Uno degli svantaggi rappresentati dai bambini è che la sera bisogna preparare un pasto apposta per loro. Quella sera, Mandy fece i maccheroni al formaggio: li avevano già mangiati altre volte, e li avevano graditi. E di maccheroni e formaggio c’era una buona scorta, in dispensa. Almeno, con i bambini Deeping, non doveva sovrintendere al pasto, oltre a prepararlo. Ruth Deeping era con loro. Mandy le porto una tazza di tè, e lei sorrise, riconoscente.

«Ne avevo proprio bisogno. Grazie, Mandy.»

Stephen, che dei due era quello che mangiava più in fretta, aveva già finito i maccheroni al formaggio.

«Posso avere un po’ di pane e marmellata?» chiese.

«Si dice per favore, caro,» fece sua madre.

«Per favore.»

Mandy disse a Ruth Deeping: «Il pane è una delle cose con cui dovremo stare attenti… non si sa mai. Può bastare una fetta a testa? Se hanno ancora fame, ci sono altri maccheroni.»

«Certo,» disse Ruth Deeping, «possono fare a meno del pane.»

Andy depose la forchetta. «Vorrei un po’ di pane e marmellata,» disse. Alzò gli occhi verso Mandy, con un sorriso tranquillo. «Posso, per favore?»

Ruth Deeping disse: «Forse può dargli la fetta di cui parlava prima?»

Mandy disse: «Certo. Vado a prenderle.»

Quando rientrò, i bambini avevano ricominciato a fare ipotesi sul tempo che avrebbero dovuto probabilmente passare isolati dal resto del mondo.

Stephen disse: «Più di una settimana, forse. Due settimane.»

«Un mese,» disse Andy.

«Sei settimane,» disse Stephen. «E così non andremo più a scuola, per quest’anno.»

La madre disse: «Non preoccupatevi, sarete di nuovo a scuola all’inizio della settimana prossima.»

«Lei che ne dice, Mrs. Hamilton?» chiese Andy.

Aveva l’abitudine di inclinare la testa da una parte quando faceva una domanda, un gesto interrogativo e intento che, in un bambino che si rivolgeva ad un adulto, era quasi impertinente.

Mandy disse: «Credo che tua madre abbia ragione, Andy. Rientrerete con un ritardo di un paio di giorni al massimo.»

«La Svizzera,» disse lui. «Mi piace stare qui.» Non distolse lo sguardo dalla faccia di lei e sorrise. «Grazie per il pane e marmellata. Ribes nero? Mi piace tanto il ribes nero.»

Nei suoi modi, pensò Mandy, c’era qualcosa di stranamente accattivante. Come se avesse un disprezzo generalizzato per il mondo degli adulti, ma te ne esentasse. Era interessante, come lo erano di rado i bambini della sua età, e naturalmente era fisicamente più bello del fratello maggiore. Si chiese se lo avrebbe preferito, se quei bambini fossero stati suoi, come faceva così apertamente Ruth Deeping. Io non avevo preferenze per i miei, pensò… li ho abbandonati tutti.

Stephen stava affrontando pane e marmellata, mangiando prima la crosta tutto intorno. Ruth Deeping disse:

«Mangia da persona educata, Stephen.»

«Preferisco tenere per ultima la parte centrale.»

Lei disse, severamente: «Fai come ti dico.» E come se sentisse il bisogno di spiegarsi, disse a Mandy: «Se lo lasciassi, farebbe così con tutto. È importante che imparino a comportarsi bene a tavola. Non le pare?»

«Sì, penso di sì,» disse Mandy.

Andy mangiava decorosamente, seduto a dovere, con i gomiti stretti. Anche questo poteva spiegare la differenza: uno che bisognava controllare continuamente, e un altro che non aveva bisogno di richiami. Mandy vide Andy strizzare l’occhio al fratello, un gesto amichevole e cospiratorio, ma che non escludeva una certa consapevolezza di superiorità. C’erano tante ingiustizie nella vita, pensò Mandy. Bisognava abituarcisi: e ci si abituava.

Per cena, Mandy servì prosciutto al forno, che venne accolto con entusiasmo. Poi, come avevano fatto la sera prima, giocarono a bridge e a dadi, e anche stavolta la partita a dadi durò più degli incontri di bridge. Mandy andò a letto alle dieci e mezzo. Tutto andava bene, pensò… meglio di quanto aveva previsto. Fino a quel momento non c’erano state difficoltà, né attriti dovuti al fatto di essere chiusi lì tutti insieme. Prese la bottiglia e misurò con cura il bicchierino finale: era importante non esagerare. Poi si lavò, si pettinò, e s’inginocchiò per recitare le preghiere.

III.

Un uomo pieno di dedizione, pensò Selby Grainger, avrebbe cominciato a preoccuparsi del possibile ritardo nel rientrare al lavoro. Si stiracchiò, si abbandonò sulla poltrona, con un lieve grugnito di soddisfazione. La dedizione, nel suo campo, aveva un suono leggermente comico… tranne, forse, in tempo di guerra. Quel giorno, ogni settimana, che lui dedicava all’Ospedale Pediatrico era più che compensato dai quattro giorni alla Clinica, soprattutto finanziariamente. Riconsiderò pigramente il suo elenco. Mrs. Enderby… i seni. Nathan, Levi e Moncrieff… i nasi. Juliet Minchin… una voglia. Quest’ultima era anche l’unica che gli avrebbe dato, probabilmente, una soddisfazione personale. I seni, per quanto la paziente potesse essere fiera del miglioramento, di solito non venivano esibiti in pubblico, e solo di rado era contento dei nasi. Sarebbe stato necessario rimodellare tutto il volto per ottenere un risultato veramente buono: di solito, il nuovo naso gli sembrava fuori posto, per quanto ne fosse soddisfatto il cliente. Ma una voglia era un’altra cosa. Togliere quella brutta chiazza dal viso della ragazza sarebbe stato uno dei lavori più soddisfacenti.

Prese il caffè, che Mandy aveva appena portato. Anche per quella non c’era fretta. La piccola Juliet se l’era portata addosso per ventisette anni, e qualche giorno di più non avrebbe fatto una grande differenza. La zia che, morendo, le aveva lasciato quel paio di migliaia di sterline che l’avevano portata alla Clinica… per il resto della vita, la ragazza avrebbe benedetto il suo nome. Ma aveva lasciato quasi ventimila sterline al nipote che stava in Rhodesia, e da quando aveva finito la scuola la piccola Juliet aveva assistito la cara zietta, le aveva fatto continuamente compagnia, e aveva tenuto la testa inclinata da una parte per nascondere l’orrenda guancia destra. Lui l’avrebbe liberata da quella grossa voglia: ma era pronto a scommettere che, anche da vecchia, Juliet avrebbe continuato a guardare il mondo con l’occhio sinistro.